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MILANELLO IN ROSA |
Inizio con una riflessione. Se si accetta una gaffe come quella del candidato principale alla carica di presidente del nostro calcio, senza battere ciglio o senza metterlo di fronte alla reale portata delle sue parole, allora le curve chiuse durante la stagione appena passata, le squalifiche di giocatori in ogni serie per almeno dieci giornate per insulti più o meno razzisti, il pugno duro tanto acclamato nei confronti di quel barbaro modo di porsi nei confronti di chi ha un colore di pelle diverso, tutto questo diventa l’ennesima barzelletta del nostro paese. Bravo a far leggi e decreti, pronto però a trovare una scusa qualsiasi quando, ai piani alti, vengono infranti. Personalmente non conosco Tavecchio. Questo però non significa che io non possa esprimere una sacrosanta opinione in merito, tra l’altro senza l’arroganza di avere la ragione assoluta. Ritengo che le parole pronunciate nel corso del discorso che ha aperto una campagna elettorale (inutile, visto che il candidato sa di vincere a mani basse) ricca di progetti futuri, non possano essere minimizzate. E’ la chiara dimostrazione che la mentalità antica del calcio nostrano ha radici ancora profonde. Qualcuno, forse cercando di minimizzare, ha semplicemente fatto notare che una persona dell’età di Tavecchio, appartiene ad un apparato abituato, in maniera molto semplicistica, a ragionare in questo modo, a esprimere opinioni in pubblico esattamente come le esprime al bar tra amici. Non so voi, ma questa arringa difensiva non solo non mi basta, ma addirittura mi lascia basita. Fa tutto parte del modus pensandi tipicamente italiano, quel valzer delle poltrone sul tappeto del potere che coinvolge solo quei ballerini in grado di stare in equilibrio sul fondo reso viscido dagli eventi passati. Arroccati al proprio scranno nonostante gli errori, con l’arroganza di giudicare gli altri dall’alto, come se fossero despoti senza contraddittorio. Nessuno sembra ricordarsi le prime parole pronunciate da Tavecchio in risposta alle prime domande sull’ipotetica candidatura. Certo, allora non aveva la vittoria in tasca e dunque prima di sbilanciarsi ha agito con la diplomazia dei politici, la stessa che fa rimanere in uno stato di immobilità permanente anche il nostro paese.
Con questo non voglio dire che nelle due ore di conferenza non abbia dimostrato “entusiasmo” (parola d’ordine di questi tempi, non trovate?) o idee percorribili per cercare di risollevare il nostro calcio, ma quando la credibilità del personaggio viene minata dalle sue stesse dichiarazioni, possibile che a nessuno dei suoi sostenitori venga il dubbio che forse è più logico fare retromarcia? Non assisteremo al tanto acclamato passo indietro, statene certi, anzi si troveranno motivazioni di facciata per cercare di oscurare la gaffe compiuta in favore di qualche altro atto di profonda umanità.
Un vecchio detto recita: “una volta toccato il fondo, non si può che risalire”. Eppure a me sembra che si stia raschiando a mani nude nel tentativo di scavare ancora più in basso.
Chiusa questa parentesi, mi piacerebbe raccontare di un Milan attivo e pronto sul mercato per colmare quei gap resi evidenti anche dalla prima sconfitta americana. Non è una tragedia: questo il messaggio che traspare dalle reazioni dei protagonisti. Il Milan era ancora privo dei suoi nazionali, rientrati da troppo poco tempo al fortino di Inzaghi. Inoltre, anche la Juventus ha perso contro una squadra di Eccellenza…
Non sono così ottimista come invece, solitamente, mi sento in estate. Anche in periodi di carestia, come lo scorso anno, senza fondi da investire nel calciomercato, ho sempre avuto la sensazione che qualcosa sarebbe potuto succedere fio all’ultimo. Questa estate invece ho la netta sensazione che Inzaghi dovrà compiere il miracolo raccontato nell’episodio delle nozze di Cana: con la differenza che Pippo, non me ne voglia, non è il Messia. La situazione che dovrebbe sbloccare gli affari è la cessione di Robinho, ma le trattative per salutare definitivamente l’attaccante verdeoro sono complicate dalla mancanza di denari da parte dei pretendenti brasiliani. Ci sono altre offerte provenienti da nazioni che però il brasiliano evidentemente non gradisce e quindi, con un velo di pessimismo, comincio a vedere tutto nero. La situazione Balotelli è quella che più mi spiazza: un mese di prova, per vedere se davvero il giocatore può caricarsi sulle spalle il Milan. Alla fine del mercato quindi potremmo assistere ad eventi inattesi. Inzaghi continua a sottolineare le sue esigenze, che convergono verso il nome di un esterno. Cerci è il giocatore che più piace al Milan, ma ancora una volta il costo del cartellino blocca ogni tipo di contatto tra i rossoneri e l’ufficio di Cairo. Non mi stupisce che nei giorni scorsi sia circolata la voce relativa ad un interesse per El Shaarawy, che in questo momento è l’unico fascio di luce che illumina i pensieri di molti tifosi. Lui e qualche altro giovane, sul quale però non si può avere la certezza di un rendimento costante, sono le scommesse da vincere. Ma, e la questione Tavecchio lo dimostra, il nostro calcio è troppo legato ai vecchi schemi. La mia paura è quella che il Milan si trovi nella condizione di cedere a offerte interessanti proprio per i nuovi talenti, invece che pazientare, lavorare e aspettarli. E’ meglio veder fallire un campione arrivato a fine carriera, è più facile addossare la colpa ad un singolo che non ad una inesistente programmazione in chiave futura.
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