Il Milan non spende, gli altri si: ecco perché. Che figuracce negli States ma Pippo non ha grandi colpe. Tifosi inviperiti: la fede ha un limite, come la pazienza

31 Ago 2014 18:00
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L’EDITORIALE

Giornalista pubblicista, a MilanNews.it dal 2009, prima firma del sito. Corrispondente e radiocronista per Radio Sportiva. Collaboratore di Tuttosport. Inviato al seguito della squadra. Ha collaborato con Sportitalia e Milan Channel

Sono tante le lezioni che la Guinness Cup ha dato a questo nuovo, vecchio Milan di Filippo Inzaghi. La prima, la più dura da mandare giù, è quella relativa al parco giocatori a disposizione dell’allenatore rossonero. In tutte e tre le partite giocate negli USA, la squadra ha messo in mostra il suo lato peggiore. A parziale scusante ci sono i grossi carichi di lavoro effettuati ma anche con le gambe imballate, se c’è un minimo di orgoglio (in pochi lo hanno dimostrato) d’indossare la maglia del Milan, beh questo non lo si è visto. Il calcio d’agosto è una sorta di cartina di tornasole. Serve a correggere le lacune che, allo stesso tempo, vengono evidenziate dai test effettuati con squadre più avanti di te nella preparazione atletica. Ma se anche le seconde linee di Manchester City e, in parte, Liverpool, ti mettono sotto, qualcosa non funziona.

Pippo lo sa bene, pubblicamente cerca di esternare calma e analizza i pochi spunti positivi offerti da questa disastrosa, almeno sul campo, trasferta americana. Quando si chiude nello spogliatoio, con i suoi collaboratori, i toni sono accesi perché anche lui ha notato che c’è qualcosa che non va. E purtroppo sembra che l’opera di installazione dei valori del vecchio Milan nelle menti di questi giocatori sia un processo molto, ma molto, difficile. Inzaghi ci sta mettendo l’anima, è una cavalletta impazzita che salta a destra e a sinistra per trovare il bandolo di una matassa che spera di sbrigliare entro il 31 agosto. Ma il materiale con il quale lavorare è questo, è quello voluto e avallato dalle precedenti gestioni tecniche (giusto ricordarlo) e, soprattutto, c’è una povertà tecnica imbarazzante, soprattutto a metà campo dove il solo Cristante, in attesa di Montolivo, rappresenta l’unico giocatore in grado di dare un senso alla manovra.

La cosa preoccupante, che forse non tutti i giocatori del Milan hanno capito, è l’enorme figuraccia che hanno fatto. Complice il fuso orario, le critiche dei tifosi sono arrivate negli States in maniera più mitigata rispetto alla realtà italiana. I profili dei giocatori, dei giornalisti che seguono il Milan quotidianamente e anche quelli della società, sono stati presi letteralmente d’assalto dalla rabbia dei supporters milanisti, stanchi delle brutte prestazioni e della perdita, costante, d’immagine, a livello sportivo, di un club che, una volta, veniva considerato come il punto di riferimento da tutte le società del mondo. Adesso non è più così e anche le ricche tournée oltreoceano rischiano, a partire dal prossimo anno, di andare a farsi benedire visto che gli organizzatori vorrebbero vedere partite più combattute e non spettacoli come quelli messi in scena dal Milan contro Olympiacos, City e Liverpool. Il campanello d’allarme, sotto questo punto di vista, è scattato in via Aldo Rossi, area commerciale dove i feedback dei tifosi incavolati neri sono stati recepiti in maniera forte e chiara. Tutto questo cosa comporta? Che il tifoso non si abbona. E San Siro rischia, seriamente, di diventare un teatro privo di spettatori, con soli pochi affezionati e con la tribuna stampa che, paradossalmente, rischia d’essere il settore dello stadio più completo.

Parlare di mercato, poi, è ancor più difficile. Il Milan non può spendere soldi se prima non riesce ad equilibrare il monte ingaggi. La storia del “non arriva nessuno se non esce nessuno”, ahinoi, è la pura realtà dei fatti. L’inizio della fine risale alla seconda metà del primo decennio degli anni 2000. Il Milan, pur di trattenere i suoi campioni, fece lievitare enormemente il monte ingaggi. Dopo l’esercizio del 2006, chiuso in attivo per la cessione di Sheva al Chelsea che generò una maxi plusvalenza, la voce che più ha gravato sui bilanci milanisti è stata quella relativa al costo del personale che toccò delle punte così alte da creare quei “rossi” poi saldati nel 2009 dalla cessione di Kakà al Real Madrid e, successivamente, nel 2012 con la doppia cessione di Ibra e Thiago Silva al PSG. In quegli anni si arrivò al punto tale che il 91% del fatturato netto era dedicato al pagamento degli stipendi dei giocatori. Oggi, la percentuale è scesa in maniera importante, ma non in maniera così netta da poter permettere al Milan di tornare ad operare pesantemente sul mercato. Per un’analisi più approfondita della vicenda, CLICCA QUI e consulta l’articolo degli amici di Milan7 sull’argomento.

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