Sdraiato comodamente sul lettino in riva al mare la mia unica preoccupazione era “distrarmi”, distogliere lo sguardo dalla rosea pagina di giornale che fotografava in maniera disarmante l’ennesima battuta d’arresto del Milan al Mestalla di Valencia. La mia speranza però cozzava subito contro i due lettini alle mie spalle da dove, in un ruvido accento romanesco, mi arrivava il seguente scambio di battute: «Ahò, er Milan ha perso n’artra vorta. Poveracci, stanno messi proprio male!», ghigna il primo. «Ammazza, ‘st’anno so’ proprio ridicoli, ma ‘ndo vojono anna’?», ammicca il secondo con un sorrido beffardo.
Che i due fossero romanisti o laziali, oppure magari interisti o juventini, conta poco. La certezza avvilente per tutti gli amanti dei colori rossoneri è che l’ex club più titolato al mondo, il glorioso Milan che una volta suscitava solo ammirazione e timore reverenziale, ora scatena solo i più beceri commenti, avvolti da umiliante commiserazione e cinico compatimento.
In quel frangente non ho provato astio, né rabbia nei confronti dei miei vicini di mare, solo un irrefrenabile senso di frustrazione e tanta, tanta pena. Ormai il Milan viene percepito come una squadra senza più alcuna velleità e soprattutto senza prospettive, un’immagine a dir poco deprimente, ma purtroppo perfettamente in linea con i risultati sul campo e soprattutto con le manovre di “rafforzamento” della squadra.
Ad inizio estate, confesso di essermi lasciato trascinare dall’ondata di entusiasmo portata dall’avvento di Pippo Inzaghi e condivisa dal presidente Berlusconi, convinto che tanta partecipazione potesse finalmente essere tradotta in investimenti per il rilancio della squadra. Come è invece sotto gli occhi di tutti, non è andata così e, a meno di clamorose – al momento impensabili – sorprese, il 1 settembre ci troveremo a fare le stesse considerazioni di oggi.
Ancora una volta, dopo l’ennesimo summit di mercato tra Berlusconi, Galliani e Inzaghi, ha prevalso la linea del low cost, così oggi si parla sempre meno di Cerci, Douglas Costa e Lavezzi mentre è tornato in auge il nome di un ragazzotto di belle speranze, tale Goran Pandev di Macedonia, 31enne attaccante mai troppo prolifico, messo praticamente fuori gioco da Rafa Benitez al Napoli (l’ex interista è stato escluso dalla lista per i preliminari di Champions League) e quindi preda perfetta per le mire a costo ed ambizione zero del Milan.
Se ci aggiungiamo anche Blerim Dzemaili, centrocampista svizzero entrato nei radar di Galliani, anche lui ormai ai margini del progetto partenopeo, il quadro del piano di rafforzamento del Milan è completo.
Poi c’è il capitolo cessioni. Inutile sottolineare che da un paio di colpi ben piazzati potrebbero arrivare le risorse necessarie per operare sul mercato. Da queste colonne però abbiamo spesso evidenziato le difficoltà della dirigenza rossonera a vendere al meglio i propri “gioielli”. E infatti, mentre gli uomini mercato delle principali squadre europee sono in giro per il mondo a “trafficare”, Galliani continua a intavolare trattative sdraiato sotto l’ombrellone di Forte dei Marmi, circondato dai soliti amici, Preziosi, Pulvirenti & co. Inutile dire che i risultati sono evidenti.
Non si riesce a cedere degnamente nemmeno uno dei pochi milanisti messisi in luce al recente mondiale brasiliano. Parliamo di Cristian Zapata, giocatore a cui Inzaghi rinuncerebbe volentieri, vista anche la presenza in rosa di altri 4 difensori centrali, soprattutto se il suo sacrificio consentisse di incrementare quel famoso tesoretto per puntare a Cerci e/o Rabiot.
Io mi domando, ma è possibile che mezza Europa cerca un centrale difensivo (Manchester United, Chelsea, Bayern Monaco in Europa; Juventus, Lazio, Torino, Genoa in Italia) e Il Milan non riesce a vendere Zapata? E soprattutto, se David Luiz vale 50 milioni, Mangala e Benatia circa 40, perchè il colombiano non dovrebbe essere valutato almeno una decina di milioni?
Misteri del calcio e del mercato rossonero. Intanto il campionato è alle porte…
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