Why Always Me?. La storia di Mario Balotelli è nota, conosciuta, raccontata. Una nenia, anche per le orecchie di chi il calcio non lo mastica ogni giorno e respira ogni secondo. Le freccette, i petardi, le acconciature, le liti, le meraviglie, le bizze. E chi più ne ha più ne metta. Tutto a solo ventiquattro anni. Ed ora torna in Inghilterra, dopo l’ennesima avventura monca, a metà. L’Inter lo liberò per il Manchester City, per le tante sterline ma pure perché nel gruppo era divenuto corpo estraneo. Poi, con Mancini, stelle sì ma anche tante stalle. Così cercò di nuovo gloria in Italia, col Milan. Col suo Milan. Un Balotelli che ha però fallito e steccato anche e soprattutto con l’Italia, al Mondiale, là dove doveva essere protagonista. Invece il Milan ha deciso di liberarlo, di lasciarlo andare, lui che è centravanti di un’Italia ora nuova e che doveva essere pure fulcro di una squadra nuova. Invece, sempre lui, senza domandarsi troppi perché. Sempre lui, a trovare nuova squadra, a cercare ancora sè stesso. Non ha chiesto direttamente di partire, stavolta, ma è stato il Milan ed è stato Inzaghi a liberarlo senza troppi patemi. In cerca di un’identità, nella piazza con più identità e senso d’appartenenza d’ogni altra. Liverpool.