Giornalista sportivo e scrittore. I suoi libri: “La vita è rotonda”, “Soianito”, “L’oro di Sheva”, “Calcinculo”, “La vita è una”, “Sembra facile”. Attualmente online l’ebook “La rivoluzione di Giuseppe” Gruppo Viator
© foto di Federico De Luca
Questa estate milanista va concludendosi come una celebre commedia di Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”, capolavoro che suscita riso, ironia, rabbia e tenerezza allo stesso tempo. Qui però non c’è nessun capolavoro: sappiamo tutti bene che quello costruito in 25 anni di trionfi, dal 2012 viene preso a picconate con la promessa non mantenuta di ridargli una sistematina in seguito. Il numero di bugie somministrate agli e dagli araldi su pergamene più gialle di talune sgargianti cravatte di gala, ha superato il numero e la qualità della fantasia di qualsiasi autore. La verità nuda e cruda è che questa società senza più alcuna prospettiva credibile, senza più strategie né idee, consegna nelle mani di Pippo Inzaghi una squadra indebolita, ancora peggiore di quello scempio manipolato da Allegri e Seedorf nell’ultima stagione. Se è vero che finalmente si è liberato di zavorre insopportabili, il Milan ha perso comunque anche la qualità minima sindacale di Taarabt, Kakà e Balotelli senza sostituirli se non con il solito parametro 0, l’oggetto misterioso Menez unica scommessa possibile dell’anno insieme con El Shaarawy. Che Montolivo sia convalescente, che il centrocampo sia un’accozzaglia senz’anima con l’insofferente De Jong che darebbe di suo per andarsene, che la difesa a parte Alex abbia consumato tutte le barzellette con l’ultima raccontata su Rami, frega a nessuno e nessuno infatti è intervenuto.
Ecco dove arrivava dunque tutto il ritrovato entusiasmo del presidente ormai ad honorem: sta recuperando valuta dagli scarichi e dagli ingaggi. Punto. Nell’assordante silenzio di Barbara (e che dovrebbe dire?), non sono serviti summit, non sono serviti pranzi, né cene, né ballate in nave, né secchiate d’acqua gelida a far svegliare la società Milan o quel che resta di essa: l’entusiasmante ritorno di Berlusconi appare l’affresco postmoderno di un pittore ubriaco, la farsa-Torres non procura nessun imbarazzo a Galliani. E del resto se non glielo procura questo mercato allucinante nel suo insieme, figurarsi se lo tange la farsa-Torres appunto. Non è servito farsi un giretto sul web per cogliere l’umore dei tifosi: il web del resto è uno dei tanti abbagli da sbandierare nel mucchio tra ranking, brand, trend se fanno comodo, altrimenti da rinfacciare ai tastieristi se e quando danno fastidio perché disamorati, disillusi, amareggiati. Tristi. Inferociti.
Al caro Pippo Inzaghi non resta che raccattare gli stracci e provare a pulire la polvere. Lui sì che di testardaggine, passione, entusiasmo, voglia ne ha da vendere, Da regalare. Gli stolti che lo definiscono lacchè non hanno capito: Seedorf ha pagato l’intuizione, nemmeno geniale, di voler cambiare 3 quarti della rosa. E soprattutto di aver reso pubblica questa palese verità. Inzaghi era la soluzione interna più semplice, davvero non riusciamo a trovare un solo motivo per cui avrebbe dovuto rinunciare. Gli allenatori sono tutti indistintamente presuntuosi, guai se non lo fossero: covano la convinzione intima di poter arrivare a vincere il Mondiale per Club anche se allenano l’Ibiza Calcio. Pippo ha fatto bene, benissimo ad accettare, ha uno staff di prim’ordine e merita, oltre che rispetto, stima, affetto e sostegno. Incondizionati. Sulle sue spalle Silvio Berlusconi e Adriano Galliani hanno costruito quest’ultimo castello di carte stracce, sulla sua pelle da domenica si giocano i risultati. Sarà come sempre, in ogni caso: se vince il Milan è merito di Silvio, se perde è colpa dell’allenatore. Meno male che chi ha ancora un minimo di materia cerebrale saprà giudicare molto bene e lucidamente. Così come ha saputo giudicare molto bene e lucidamente che nemmeno la vergogna fa parte del bilancio di quest’ultimo miserabile mercato.
Non si tratta di competere con gli sceicchi, questo è uno spauracchio qualunquista per mistificare l’assoluta mancanza di pianificazione e voglia di cavare un euro. Si trattava semplicemente di competere con Verona, Torino e Parma che hanno disputato un campionato nettamente migliore. Si trattava di provare a evitare umiliazioni come a Sassuolo. Si trattava di non mandare Inzaghi allo sbaraglio con un’armata Brancaleone più patetica che comica. Niente. Niente di niente. A parte un mucchio inverecondo di cognomi che sono apparsi e scomparsi come nelle esibizioni dei prestigiatori dei circhi di periferia. A parte l’elemosina di prestiti e parametri 0.
Almeno per quello che Inzaghi significa per la storia di questo club e perché pronto ad immolarsi per esso, stiamo con lui. E con il Milan. Del quale siamo parte e che rappresenta una parte della nostra vita. Chi si accontenta e si ferma alla sterile riconoscenza per un capolavoro di 25 anni fingendo di non accorgersi che ora viene preso a sputi e martellate, non ne fa più parte da tempo, non senza avercelo lasciato in mano – il Milan – così pesto e malconcio. Irriconoscibile. I tifosi veri lo riconosceranno comunque, come sanno riconoscere e distinguere tra bugie e verità, tra meriti e demeriti, tra pudore e vergogna. E’ l’unico patrimonio di cui oggi continua a disporre la società rossonera.
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