Il piano Bee, tra speranze e realismo


Sinisa MihajlovicLe trattative da 400 milioni e fischia non si chiudono in un’ora e nemmeno in una notte. Servono settimane, mesi. Il comunicato che ieri pomeriggio Fininvest e Bee Taechaubol hanno diramato rappresenta il punto di arrivo di un lavoro lungo e riservato del quale negli ultimi tempi è stata mostrata soltanto la punta dell’iceberg, per vedere l’effetto che faceva. Ora non resta che leggere bene e attendere. Leggere bene, innanzitutto. Perché il comunicato non parla di cessione di quote, ma si limita a ufficializzare una trattativa in esclusiva per la cessione di un grosso pezzo di Milan. Il 48 per cento. Tanto per essere chiari, nulla è ancora definitivo. Per quanto scritto nero su bianco la trattativa può andare in porto oppure no. E per saperlo occorrerà attendere otto settimane, fine luglio inizio agosto.

Certamente, però, si sta facendo sul serio. A dimostrarlo è la presenza a villa San Martino di Marina Berlusconi, il dominus di Fininvest che attualmente è l’unico proprietario del Milan.  Marina  è persona concreta, che non ama la ribalta, non perde tempo. Se si muove lei significa che c’è ciccia e non soltanto fumo mediatico. Prevedere però cosa succederà da qui a fine estate e da qui a dieci anni è impresa impossibile. Come non è semplice capire se questi personaggi, fino all’altro ieri perfetti sconosciuti, saranno in grado e vorranno risollevare il Milan dal baratro in cui è finito e riportarlo dove merita. Il programma è all’incirca il seguente: ingresso con quote di minoranza oggi, iniezione di denaro fresco per il mercato e sostegno del fondo Doyen, un’ultima vittoria sotto la presidenza Berlusconi (scontata in questo senso e preannunciata da tempo, la temporanea conferma di Galliani e Barbara Berlusconi nei loro rispettivi ruoli) e poi via libera al cambio definitivo di proprietà. Vedremo.

Intanto sui social e nei bar è esploso l’entusiasmo. Il tifoso medio ama sognare e non c’è nulla di più intrigante delle suggestioni d’Oriente. La speranza, nel giorno in cui l’italianissima (di proprietà) Juventus si gioca la Champions contro il catalanissimo Barcellona, è quella di riveder le stelle, in campo e sulle magliette. Anche se questo comporta un salto nel vuoto, un azzardo. Già, perché la situazione del Milan di oggi è come quella di un malato grave, al quale viene proposta una cura promettente ma sperimentale, la cui efficacia non è ancora stata dimostrata. Il malato è contento perché oggi sta malissimo, non aveva chances ed ora ha una speranza, ma la famiglia prima di festeggiare deve aspettare di vedere se la medicina funziona e se gli effetti collaterali non sono peggio dei sintomi. Ad oggi è così. Inutile giocare a spararle grosse. Bisogna andare avanti a piccoli passi, senza farci travolgere dall’emotività, ma nemmeno dallo scetticismo preconcetto.  SIA CHIARO: COSI’ NON SI POTEVA PIU’ ANDARE AVANTI. Ma la storia insegna che al peggio non c’è mai limite e certi barili non hanno fondo.  Quindi calma e gesso. Osserviamo, valutiamo. Passo dopo passo.

“Perché Carlo Ancelotti vuole sapere tutto del Milan e non deve l’ora di tornare al Milan, sì non vede l’ora avete letto bene”. Così scriveva il principe della comunicazione rossonera a inizio maggio. Abbiamo letto bene. Così come abbiamo letto bene il comunicato, di circa un mese dopo in cui il Milan annunciava che il tecnico – sì, proprio quello che voleva sapere tutto del Milan e che non vedeva l’ora di tornare – aveva rifiutato i presunti ponti d’oro costruiti dalla società per riaverlo in panchina. D’altronde, mossa elettorale o meno, ci voleva poco a capire che Ancelotti non avrebbe avuto alcuna ragione per accettare la proposta indecente: né tecnica, né economica. Si riposi, Carletto. Che intanto – se tutto quanto detto e scritto in questi ultimi giorni verrà confermato – al Milan arriverà Sinisa Mihajlovic, che ad oggi rappresenta la figura più adatta per allenare questa squadra. L’avevamo scritto e lo ribadiamo oggi. Al Milan serve uno che sappia allenare, motivare, strigliare. Serve un duro, uno capace di tirare fuori il sangue dalle rape. Uno che non faccia sconti, che non alimenti consorterie, conventicole e camarille di spogliatoio. Un sergente di ferro, per adoperare una definizione tanto abusata in anni meno recenti. Ancelotti non lo è mai stato e non lo sarebbe mai stato. Carletto più che un allenatore è un grandissimo gestore di campioni. Quello gli riesce benissimo. Sinisa invece è abituato al pane duro e in tutti i posti in cui è stato ha fatto bene con quel poco a disposizione. La scelta è quella giusta, vediamo se sarà confermata e soprattutto supportata con un mercato all’altezza, che non dovrà in alcun modo essere condizionato dalle trattative societarie.

Intanto salutiamo senza rimpianti Mister Entusiasmo, vittima innanzitutto di se stesso e poi di chi lo ha mandato allo sbaraglio, conoscendone perfettamente i limiti caratteriali. Dell’eroe di Atene resterà l’immagine di un omino schiacciato da un goffo cappello più grosso di lui, che fissa sconsolato il vuoto in una notte fiorentina. Di lui resterà il mantra dell’Entusiasmo, probabilmente cucitogli addosso dagli esperti di comunicazione per caratterizzare il brand del nuovo Milan che avrebbe dovuto nascere dalle ceneri della scorsa stagione. Lo salutiamo con rispetto, con il rispetto che si deve a chi ha contribuito a fare la storia della propria squadra. Ma non gli esprimiamo la nostra solidarietà, al contrario di quanto a più riprese fatto con il bistrattato Clarence Seedorf. No, nessuna solidarietà per chi ha fatto carte false per sedersi su quella panchina. Per informazioni rivolgersi a Massimiliano Allegri e a Clarence Seedorf. Pippo ha voluto con ferocia la bicicletta, ma poi non si è dimostrato capace di pedalare. L’ha voluta subito, tutta per lui, senza ponderare, attendere, valutare. Trovate le differenze con Christian Brocchi. Stesso percorso: Allievi Nazionali e Primavera. E poi l’odore di prima squadra. Languido, attraente. Ma Brocchi, quando è stato chiamato in causa è stato chiarissimo. Avrebbe accettato (e chi, non accetterebbe a 39 anni la panchina del Milan?) ma mettendo le mani bene distese in avanti e consapevole che quella di Milanello è una panca che scotta e che necessita di un culo di amianto. Non ha insistito ed oggi è contento così.

Avrà tempo di crescere e di capire se davvero fare l’allenatore è il suo destino. Mentre chi pensava già di avere il posto assicurato per i prossimi 30 anni oggi si ritrova giù dal castello di carta, a tentare di capire che cosa farà da grande.

Marco Traverso

Twitter: @marcotraverso75

Ps: Forza Barça!

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