MILANO.

Il caso letterario del momento, le memorie più scottanti mai rivelate e il suono degli scontenti, delle rivelazioni dello svedese più sudista che esiste. Stiamo parlando di Zlatan, l’antidivo, quello che gestisce i propri sentimenti in base non alle opportunità, ma rispetto ai propri crucci e ai propri desiderata, vera e proprio macchina da soldi e, diciamolo pure, fisico da paura, strafottente come pochi, ma capace di decidere da solo le sorti di una partita anche solo con la sua presenza e possanza. Odiato e temuto da giocatori e tifosi avversari e riverito, finché rimane, dai propri tifosi. Non ha avuto un infanzia semplice, reietto finché non ha saputo imporsi grazie alle sue capacità fisiche e funamboliche, ma che ha tenuto nei propri geni quelle che erano le caratteristiche della sua origine.

Abituato a lottare non si è rifugiato nei classici schemi da bravo ragazzo, non è un diplomatico, è semplicemente Ibra. Non è un modello né pretende di esserlo (le bravate a 325 Kmh in auto sono pericolose e lo ammette anche lui), ma è un uomo con tutti i suoi difetti, le sue debolezze ma anche i suoi pregi, se gli passa per la testa qualcosa, state pur certi che la dirà, alla faccia dei benpensanti. La strana coppia poi non è Jack Lemmon e Walter Matthau ma bensì Zlatan e Mino. Ripercorre le sue gesta e se deve dire che qualcosa non gli piace lo fa, fosse anche Guardiola, il mister perfetto (ma sarà così?). Alla fine ci rimane la parabola di un uomo – ed è giusto che sia così – che racconta le sue esperienze e dice cose magari non politically correct ma che pensano tutti.
(…) “Calciopoli non esiste, io gli scudetti li ho vinti sul campo”, “L’Inter? Un’accozzaglia di clan”, “Guardiola? Succube di Messi”, “Mino si veste in modo improbabile” (…)

Il discorso è: oggigiorno siamo tutti Guardiola o Zlatan? Io dico che quasi quasi assomigliamo di più al campione svedese, perché in fondo nessuno è perfetto.

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