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Quinto appuntamento. Milannews.it vi legge “Io, Ibra”, l’autobiografia di Zlatan Ibrahimovic.
© foto di Federico De Luca
Quante sono le cose che non si sanno sul periodo torinese di Zlatan Ibrahimovic? Tante, decisamente. Torino è la prima città italiana che accoglie lo svedese nel calcio che conta. A 23 anni, agli occhi dello svedese finalmente l’Europa appare un continente più grande, tutto da scoprire. Soprattutto, il calcio assume una dimensione totalmente differente. Come fa Zlatan Ibrahimovic a raggiungere il Belpaese? Ci riesce, manco a dirlo, grazie al lavoro di Mino Raiola, che nella primavera del 2004 si ritrova alle prese con una delle “crisi” del suo assistito più bizzoso, più difficile da prendere, ma anche più forte e prestigioso. Con Ronald Koeman in panchina Zlatan trova la propria dimensione ideale, ma i rapporti con il ds Van Gaal peggiorano sempre di più. Abbiamo già visto come Raiola non sia per niente morbido con Zlatan: non lo incoraggia quando gioca male, non gli dà pacche sulle spalle, ma lo capisce sempre perfettamente, se scende in campo svogliato se ne accorge, se gioca male glielo dice senza peli sulla lingua. Dopo le partite, Zlatan aveva preso l’abitudine di telefonare al suo procuratore. Una domenica Koeman sostituì Ibra nella ripresa, questo chiamò Raiola: “Che idiota è quello a sostituirmi? Come si fa ad essere così dementi?” Raiola rispose: “Certo che ti ha sostituito, eri il peggiore in campo. Non hai combinato nulla, avrebbe dovuto tirarti fuori prima”. Ibra: “Che cazzo stai dicendo? Potete andare all’inferno, tu e l’allenatore”. Si lasciarono così, ma al ritorno a casa, davanti alla porta c’era Mino: “Devi smetterla di prendere a calci i cartelloni pubblicitari. Devi crescere!”. Una serie di insulti reciproci e poco carini, poi: “Voglio andarmene da qui!”. Raiola: “Puoi trasferirti a Torino allora”. “Come”. “Hai sentito. Forse ho in ballo qualcosa con la Juventus, non c’è ancora niente di definitivo, ma ci sto lavorando. La Juventus era a quei tempi uno dei club più grandi d’Europa, ci giocavano Cannavaro, Thuram, Trezeguet, ed in panchina c’era Fabio Capello, un allenatore intrigante come pochi. A comandare c’era invece Luciano Moggi, che Ibra descrive come un uomo con il pelo sullo stomaco, venuto su dal nulla e divenuto l’uomo più potente del calcio italiano. Un maestro della trattativa, uno che amava i sigari e i completi eleganti, ma con cui Mino Raiola non aveva buoni rapporti. Aveva cercato di incontrarlo prima di diventare procuratore, ma era stato rimbalzato più volte in malo modo. Moggi e la Juventus volevano Ibra, ma fin dall’inizio il dg bianconero si mostra superficiale nei confronti della trattativa: “Non aveva mai tempo per noi, la prima volta lo incontrammo nella saletta vip in aeroporto, io e Mino arrivammo sudatissimi, lui (Raiola) indossava shorts hawaiani, una maglietta Nike e scarpe da jogging senza calze, al vederlo Moggi rimase a bocca aperta”. L’incontro non ebbe esito, Moggi proseguì a fare il prezioso per un altro po’ di tempo, e quasi in chiusura di mercato saltò fuori con una storia assurda: Ibrahimovic e Trezeguet non sono adatti per giocare insieme. Ne era talmente convinto che solo Capello riuscì a fargli cambiare idea, e fu soprattutto grazie al tecnico di Pieris che lo svedese arrivò alla Juventus. La prima casa torinese di Zlatan, dopo un periodo trascorso all’Hotel Le Meridien di Via Nizza, fu l’appartamento di Filippo Inzaghi in Piazza Castello, dove poco dopo lo raggiunse la sua compagna, Helena.
Se state pensando ad Ibra in Italia come al principe azzurro nel mondo delle favole, siete fuori strada, perché a preparare il comitato d’accoglienza per il ragazzo di Rosengard fu proprio Fabio Capello, un uomo che impone rispetto: “Quando Capello si arrabbia sono pochi quelli che osano guardarlo negli occhi e se ti offre una possibilità e tu non la sfrutti, puoi anche andare a vendere le salsicce fuori dallo stadio. Nessuno va da lui a parlargli dei suoi problemi. Capello non è un tuo amico. Non chiacchiera con i giocatori, non a quel modo. Lui è il sergente di ferro, e quando ti chiama in genere non è un buon segno. Lui distrugge e costruisce”. Ma fin dai tempi del Milan, Capello ha un assistente più che fidato, Italo Galbiati, preparatore tecnico, che Ibra chiama “il vecchio”. Ad Italo, Don Fabio chiede espressamente di andarci giù duro con Ibra. Detto fatto. Fin dal primo giorno, ad intervalli irregolari, quando tutti vanno a fare la doccia, Ibra rimane sul campo a calciare, agli ordini di Galbiati. 70-80 tiri alla volta, da posizioni e in condizioni diverse. L’obiettivo del lavoro extra lo chiarisce Capello: “Ti tirerò fuori l’Ajax dal corpo a legnate. Non ho bisogno di quello stile olandese. Tic-tac, tic-tac, cercare sempre il numero, dribblare tutta la squadra, non me ne frega niente di questa roba. Ho bisogno di gol. Lo capisci? Devo farti entrare in testa il modo di pensare italiano. Devi acquisire il killer-instinct”. In realtà, Ibra sta già cambiando, sotto la guida di Capello si trasforma comunque in maniera irreversibile, diventando pian piano il fuoriclasse che tutti conosciamo, un atleta capace di fare reparto da solo. Sempre a Torino, comincia a fare body-building e vede il proprio corpo irrobustirsi gradualmente, avvicinandosi a quello di un attaccante completo. Capello trasformò Ibra come calciatore e, in parte, come uomo. Soltanto in parte, perché anche in bianconero non mancano i problemi con qualche compagno. Zebina nella fattispecie: “Non credo stesse granché bene, aveva dei problemi personali, in allenamento giocava sempre aggressivo. Un giorno entrò particolarmente duro su di me, mi piantai davanti a lui e gli dissi che se voleva giocare pesante non aveva che da dirlo. Mi diede una testata, e dopo la situazione precipitò in fretta. Non ebbi neppure il tempo di pensare, fu un riflesso automatico, lo colpii all’istante, andò giù secco”. Un episodio poco edificante, ma meritevole di menzione. Tra alti e bassi la storia di Ibra alla Juventus va avanti, con lo svedese che fa sognare i testi con le sue giocate, e riesce ad offuscare tutti i compagni d’attacco, compreso Del Piero. Fino al testa a testa con il Milan che, ahinoi, si risolse con la gioia bianconera, e soprattutto, con la catastrofe di Calciopoli, devastante per la Juventus Campione d’Italia e, potenzialmente, anche per Zlatan, che quando avverte il pericolo, cerca un appiglio per rimanere a galla. Giovane, forte e voglioso, Zlatan si trova su una nave che sta affondando.
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