L’ingaggio di Tevez è un segnale per Pato (e Mascherano è già più di un’ipotesi)

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Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

09.12.2011 00:00 di Luca Serafini   articolo letto 397 volte

© foto di Pietro Mazzara

Quando Cassano si è fermato, sono rientrati Robinho e subito dopo Pato. In panchina o in tribuna ci sono anche El Shaarawy e Inzaghi. Dunque, con Ibrahimovic e senza Fantantonio Allegri avrebbe a disposizione 5 attaccanti per 2 soli posti da titolare. Uno alla Maxi Lopez, a pensarci bene, bastava e avanzava. Perché dunque Tevez? Anzitutto, perché da quando i rubinetti di Arcore si aprono soltanto quando serve l’acqua, Galliani si è specializzato nel ruolo del guaritore… Da Ronaldinho fino a Ibra, passando per Robinho, Van Bommel e Cassano fino a Carlitos, pensando con passione a Balotelli: studia i talenti in grave rotta di collisione con i propri allenatori o i propri club, aspetta di capire di non avere concorrenza per i costi troppo elevati dei cartellini e degli ingaggi che tengono lontani altri club, si presenta al Barcellona, al Manchester City, al Bayern, alla Sampdoria e limandosi le unghie chiede loro se interessi risparmiare una barcata di stipendi per campioni che vanno in panchina o addirittura sono fuori rosa. Chi risponderebbe di no? Poi va dal giocatore e gli chiede se vuol continuare a guadagnare 8, 10, 12 milioni e non giocare o se si accontenta di guadagnarne un terzo o la metà e giocare nel Milan (nel caso, tra premi, sponsor e marketing, si fa sempre in tempo ad arrotondare i compensi). E incassa i “sì” di presidenti, dirigenti, procuratori, agenti, fratelli, mogli, genitori…   
Secondo motivo: Tevez è un top-player, Maxi Lopez – con tutta la stima – no. Formerebbe, formerà, una coppia perfetta per caratteristiche tecniche e tattiche con Ibrahimovic. E’ un titolare. Pato è avvisato: il calcio di Allegri non prevede un tridente Ibra-Pato-Tevez, né oggi né in prospettiva, specie con un centrocampo con attitudini più offensive che di copertura e con una difesa in condizioni fisiche precarie come quella attuale. In questa stagione il Papero non sta alzando l’asticella come ci si aspetterebbe. Dopo la partita di Praga, lo ha incalzato Carlo Ancelotti: “Ti ho lasciato dicendoti che è troppo poco accontentarsi di un gol ogni 2 partite per uno come te. Dovresti sempre segnarne uno o due…”. Una provocazione, solo per fargli capire che tarda a crescere, tarda a imporsi, tarda a raggiungere l’Olimpico. Cacciato Ronaldinho un anno fa, preso Tevez un anno dopo, questo sembra davvero l’ultimo segnale per Pato.
Lo staff di Tevez è il medesimo di Mascherano, grande giocatore ex-Liverpool attualmente ai margini del Barcellona. Scommettiamo che…?

Non è stato comunque solo Pato a brillare per indolenza a Praga. Lui il compitino nei 10’ contro il Viktoria, un gol e un assist, lo ha svolto e consegnato per prendersi il solito 6. Al di là del furore assente contro i piccoli cechi e della scarsa consistenza di una difesa inedita e senza benzina, le indicazioni dei singoli dalla partita di Champions risultano deprimenti: ammettiamo una volta per tutte che il Taiwo di Marsiglia è rimasto a Marsiglia o forse era un sosia, ci arrendiamo a Emanuelson che da laterale all’Ajax ci metteva almeno gamba e corsa mentre nel Milan, che non prevede il suo ruolo, somiglia a un pulcino spaesato. Il resto è una squadra che storicamente le ultime 2 partite del girone, a qualificazione raggiunta, non riesce proprio a vincerle nemmeno se gioca contro il Poggibonsi. Che possiamo citare visto che giocano un paio di amici.

Un ringraziamento a colleghi e amici che hanno presenziato al “Just Cavalli” di Milano, ieri, alla presentazione dell’opera “Milan – 25 anni di gloria” in libreria da questa settimana, firmato dal sottoscritto insieme con Luigi La Rocca, lo storico più autorevole e documentato del mondo sulla vita del club rossonero. Quando Kennes ci ha chiesto di scriverlo, abbiamo obiettato che la storia del Milan ha 112 anni e non 25. Hanno risposto: “E’ vero, infatti una settantina delle 250 pagine del volume saranno dedicate alle statistiche, alle squadre, ai racconti di 112 anni. Ma dal 1986 per tutta l’era-Berlusconi lei è stato un testimone diretto e privilegiato, vorremmo che la raccontasse vista da vicino”. Grazie anche a loro.

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Si attende solo l’ufficialità. Prima meglio stare zitti. In passato se ne sono viste di parole dette e poi ritrattate. Come accadde ad esempio nell’affare Suazo, ma anche quello che poi portò Ibrahimovic all’Inter. Insomma manca solo il sì del Manchester City e poi l’Apache sa…

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