La giustizia sportiva da Moratti a Marotta, ma Ibra se la fa da solo

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10.02.2012 00:00 di Luca Serafini   articolo letto 378 volte

© foto di Pietro Mazzara

Dallo smoking bianco a quello bianconero, la giustizia sportiva nel calcio italiano è passata nelle mani di Moratti prima e di Marotta adesso. Sono loro a voler stabilire le regole e misurare il rispetto di chi e per chi, mentre il Milan deve tacere e non rompere troppo i maroni avendo come presidente un potente politico e come vicepresidente amministratore l’ex presidente della Lega Calcio. In questo scenario, alla faccia di chi deve aiutare gli arbitri, Moratti e Marotta scudisciano al primo errore, alla prima svista, allontanandosi dal tema della sana mediocrità, ma sventolando ipotesi di complotti, congiure, manovre, favoritismi, aiutini, disegni oscuri. Fa niente se i loro tifosi magari prima o poi ci crederanno pure… Sul loro carro, sul carro Moratti-Marotta che non sfigurerebbe a Rio come a Viareggio, c’è il terzo “Ma” della combriccola, Mazzarri, cosicché Moratti Marotta Mazzarri sono perseguitati e il Milan strafavorito. Sempre, comunque. Di conseguenza, nessuno stupore che le prove televisive valgano per uno e non per l’altro, che le giornate di squalifica di uno e il condono dell’altro dipendano dall’umore del giudice sportivo quel giorno lì che deve decidere, nessuna protesta se uno è sempre e comunque colpevole e l’altro sempre e comunque innocente. Siamo pur sempre gli stessi italiani che hanno fatto diventare un idolo Materazzi campione del mondo e Zidane un povero pirla. Il nostro senso di giustizia è umorale nel dna.
Galliani e soprattutto Berlusconi continuino pure a tacere, a non parlare mai di torti e favori, a subire in silenzio: per tutti, sono in credito e ci mancherebbe altro. Forse è il momento che pensino a questo, perché tacere non sembra il frutto di una scelta o di stile, ma il risultato di favori già incassati. Oltretutto, non è che Ibrahimovic aiuti la causa: oltre ai guai tecnici che provoca alla squadra, mette i carichi di briscola sullo sbriciolamento dell’immagine sua e della squadra, appunto. Nel calcio dove i giudici sportivi morali sono Moratti e Marotta, il giustiziere della notte Ibrahimovic non ha cittadinanza (e non l’avrebbe nemmeno in altri casi). Qualcuno gli dica che non se ne può più dei suoi schiaffi, dei suoi volti truci, dei suoi insulti, di quella sua aria da Charles Bronson di Malmoe. E se quel qualcuno fosse proprio Galliani e gli facesse pagare anche una bella multa da devolvere a favore dei più sfortunati (parliamo di poveri e malati, non Moratti Marotta e Mazzarri), beh, sarebbe finalmente un bel segnale. Anche per chi pensa che il Milan debba solo e soltanto stare zitto.

Non c’è dubbio che gli infortuni pesino terribilmente in questa fase della stagione, così come pesavano in settembre e ottobre. Ricordando che da un paio d’anni non esiste più Milan Lab, informando che Milan Lab (una struttura studiata da campus americani e moltissimi club stranieri) non era né un bosco magico dove nessuno si faceva male, né un centro di recupero miracoloso di infortunati, le spiegazioni sono altre e molte: l’età di alcuni giocatori rossoneri, il campo di San Siro, i troppi impegni, un pizzico di sfiga (Gattuso e Cassano su tutti, Merkel per ultimo). Se a gennaio hai 10 infortunati, non puoi comprare 10 giocatori. Ma almeno un paio di qualità sì, dopo i botti del 2011 con Cassano Van Bommel eccetera. I rubinetti però sono chiusi e ad aprile si riapriranno per sistemare il bilancio con 70 milioni, inutile tornarci su. Come è inutile tornare sull’errore della liberazione da Pirlo. Vale di più parlare di quelli che ci sono. C’è un terzino che non fa mai il terzino ma fa il rifinitore, il mediano, la punta, gli manca di fare il portiere. C’è un attaccante che sbaglia gol facili come l’emergenza neve quando nevica e l’emergenza afa quando è estate (del resto, anche se è brasiliano, gioca in un Paese costantemente in emergenza). C’è un allenatore che il vecchio Inzaghi o un giovane Primavera non li mette nemmeno nella più inutile delle coppe. C’è un modulo di gioco che non cambia sia che giochi contro il Bate Borisov, sia che giochi contro il Resto del Mondo. Il Milan sembra attorcigliato sull’albero dei suoi limiti, quando sembra aggrapparsi al ramo giusto, si gratta col braccio sbagliato e casca per terra.
In questo quadro, arrivare al fischio finale di Milan-Juventus con 3-4 punti di ritardo sui bianconeri sarebbe un bel successo.    

Dopo il 2006, il Santo Petroliere presidente nerazzurro ha mandato affanculo i suoi ex giocatori, ha dato dei figli di puttana agli arbitri, ha fatto il gesto dell’ombrello a chi gli pare (il gesto delle manette lo ha fatto Mourinho subito dopo aver censito la prostituzione intellettuale italiana), ha stabilito che lo scudetto conta più della Champions quando lo scudetto lo vince l’Inter e la Champions il Milan, ha ribadito che la Champions conta più dello scudetto quando la Champions la vince l’Inter e lo scudetto il Milan. Ha ridisegnato la mappa del Mondiale per club sentenziando che è un torneo da bar se lo vince il Milan battendo il Boca Juniors, è un Mondiale pazzesco se lo vince l’Inter travolgendo una squadra del Congo. Sempre rigorosamente bene inquadrato dalle telecamere, seduto sulla sua tribuna di censore. Dalla prima giornata di questo campionato, Juventus-Parma 4-1, il Santo Petroliere è affiancato dal suo quasi omonimo direttore generale dei martiri del 2006. Basta prenderne atto. E decidere se rassegnarsi o cominciare ad alzare la voce.

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