Ibra come Mou? E se Berlusconi avesse sogni premonitori?

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Giulia Polloli inizia a seguire il Milan per Varesenotizie.it, voce del commento tecnico su Radio RVL, collabora con Vco Azzurra Tv, Tribuna Novarese e Il Biancorosso.

14.03.2012 00:00 di Giulia Polloli   articolo letto 1067 volte

Giulia Polloli

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Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ecco un detto popolare che ben si sposa con l’ultima avventura a S.Siro del Milan, che vale la testa della classifica con ben quattro lunghezze di vantaggio sulla “silenziosa” Signora, ora costretta a tirar su le gonne, scendere dai tacchi ed inseguire col fiato corto i rossoneri.
Il diavolo fa le pentole, dicevamo e la vittoria contro il Lecce ne è la riprova. Ibrahimovic è veramente diabolico nell’impostazione del ritmo di gara. Colpisce inizialmente con un assist al bacio per Nocerino, che non smentisce la sua ormai chiara fama di goleador e insacca alle spalle del pur ottimo Benassi, che non può certo opporsi alla prodezza di quello che, sempre più, viene descritto come l’ottimo acquisto di fine estate. Un rendimento inaspettato forse, ma che diventa sempre più pregnante nel calcolo meramente statistico delle occasioni create dal Milan nella sua rincorsa vittoriosa, almeno per ora, alla Juventus. E se di pentole stavamo parlando, come non sottolineare la gran botta con cui lo stesso Ibra porta al raddoppio che vale la vittoria ai danni del Lecce. Un boato accompagna la palla in rete, segno che ancora una volta il Milan si inchina di fronte alla capacità dello svedese di trascinare i suoi per le corna fino al raggiungimento dell’ennesimo successo. Ma poi, quando l’adrenalina rimane in circolo, quando i muscoli rimangono in tensione, quando la materia grigia è ancora in piena fase euforica e festeggia il successo, ecco la mancanza di un coperchio che possa contenere il ribollire del sangue nelle vene. E accade che Ibrahimovic non accetti di buon grado un commento a fine gara, che risponda in modo poco opportuno alla domanda di una collega, che macchi con un’espressione da dimenticare il sigillo di uomo partita appena conquistato. E allora i giudizi euforici diventano taglienti, diventano lame affilate e nulla sembra poter contenere lo spirito in ebollizione che lo svedese ha messo, suo malgrado, anche questa volta, fuori dal campo.
In un certo senso, analizzando in senso lato tutta la vicenda, questo comportamento può essere assimilato a quello più propriamente di marca mourinhiana, quell’esternare senza filtro le impressioni e le sensazioni personali, che poco ben si sposano con una condotta comunicativa senza sbavature che è invece di chiara firma rossonera. Ibrahimovic diventa catalizzatore di attenzioni, nel bene e nel male, dentro e fuori dal campo. Esattamente come il suo amato allenatore portoghese, che con questa strategia ha sempre preservato la squadra da stress mediatici consentendo ai suoi uomini di lavorare in tranquillità, lontano dai riflettori del caos mediatico. La differenza paradossale però, tra i due, è che l’uno, Ibrahimovic, è completamente trascinato dall’istinto, retaggio di esperienze vissute in un ambiente selvaggio, mentre invece Mourinho era più filosofo, razionale all’estrema potenza, stratega che ben ponderava ogni singola parola. Ecco dunque che entrambi si ritrovano titoli a nove colonne sui giornali, ma lo svedese ne esce con il ritratto stereotipato di una personalità ribelle, in un certo senso border-line, capriccioso e a suo modo poco incline a rispettare le regole della serena e civile convivenza. Un Ibrahimovic a cui viene appiccicata anche l’etichetta misogeno di nuova generazione che mal accetta la presenza di noi donne nel mondo del calcio. Questa cosa non mi stupisce. Ma non perché sia Ibrahimovic ad esternare questo concetto, ma perché purtroppo il pensiero è diffuso nel calcio di ogni ordine e categoria, pur senza generalizzare. Quindi, se posso tollerare le sue sfuriate in campo, i suoi atteggiamenti da bullo di paese, che però vengono cancellati dalle grandi prestazioni, questo aspetto del campione svedese, che peraltro stimo, mi fa venire i brividi. Soprattutto perché tutto questo avviene portando sulle spalle la maglia rossonera, che nel mio immaginario è simbolo di una società attenta ad ogni sfaccettatura, soprattutto in ambito comunicativo. Ma passiamo oltre.
Della gara contro il Lecce mi è rimasta impressa la gioia di Abbiati, che al richiamo della curva, ancora stregata dalla prodezza inglese ai danni di van Persie, si è messo a saltellare sulla linea di porta, alzando il pollice in segno di assenso. Un giocatore di cui a volte si parla poco, ma che con i suoi volteggi tra i pali ha sempre regalato grandi soddisfazioni a questo Milan. Pochi sorrisi forse, poche parole, ma fatti intangibili che l’hanno reso quasi immortale tra i pali rossoneri.
Ora si guarda avanti. In campionato la corsa verso il traguardo è ancora lunga, il prossimo avversario sarà il Parma dell’ex bandiera Donadoni. Nulla deve essere dato per scontato, ma prima del campionato il Milan attende l’esito delle urne di Champions. Venerdì infatti si scoprirà quale sarà il prossimo avversario in cammino europeo. Si sprecano le preghiere in questo contesto, si impegnano le scienze statistiche, ma solo il caso svelerà i prossimi scenari rossoneri. Sensazioni, scongiuri, sogni … già, i sogni! Berlusconi ha dichiarato di sognare Cristiano Ronaldo ogni notte. La mia speranza è che lo stato onirico del presidentissimo, non si riveli, a questo punto della stagione, addirittura premonizione pura!

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