Tifare humanum est

Milan Night

gb Tifare humanum est

LORO non meritano alcun rispetto

Ho pensato tutta notte a cosa scrivere questa mattina, calciomercato, squadra, allenatore, dirigenza, le solite cose, poi mi sono ricordato di una scena che ho vissuto qualche giorno fa al supermercato. Ho incontrato un amico, milanista ovviamente, che di solito mi fa sermoni di due ore sull’appartenenza, sul fatto che bisognerebbe tifare il Milan anche se dovesse lottare in Lega Pro per non retrocedere, eccetera, ed io sono d’accordo con lui. L’ho sempre detto anche tra queste pagine, in quanto milanista non conosco altra squadra italiana pe cui tifare, quindi tifo Milan, al di là della competizione o della rosa, io tifo Milan. Ma l’altro giorno, questo stesso mio amico, ha incominciato ad inveire contro tutto e tutti per la cessione di Thiago Silva ed Ibrahimovic “io questa squadra non la voglio, è piena di pippe, siamo da retrocessione, andassero a fanculo tutti, non mi trascineranno in serie B con loro! Da oggi tifo solo Legnano.” Proprio lui? Ma l’appartenenza, l’attaccamento ai colori, e tutto il resto? E mi è tornato in mente quel che scrissi tra i commenti del bel post di Raoul Duke la settimana scorsa.

Su cosa vuol dire tifare una squadra se ne parla da centinaia di anni, si sono scritte pagine e pagine di saggi, se ne sono dette di tutti i colori, tra tifosi stessi poi, non manca giorno che si giochi a “chi ce l’ha più lungo”, e la cosa assurda è che lo si fa anche tra tifosi della stessa squadra. “Io tifo dal 1982!” “Io vado allo stadio da prima ancora che tu fossi nel pisello di tuo padre!” “Ah si? E io sono andato a vederli anche a Caracas… In pullman!!” “Tsk! Io sono andato a Tokyo a nuoto! Stile libero all’andata, a dorso al ritorno!” Io credo che la verità sia semplice, il tifoso in quanto singolo individuo agisce principalmente per conto proprio, in secondo luogo in base al gruppo di individui a cui appartiene, come in ogni ambito, anche quello lavorativo o famigliare, si ragiona così.

NON ESISTE a mio avviso un vero modo di tifare, NON ESISTE il decalogo del vero tifoso, NON ESISTONO le regole imprescindibili del tifo, non esiste nulla di tutto ciò, perché il “come” tifare è soggettivo e va rispettato da tutti gli altri tifosi. Tifare vuol dire supportare ed ogni individuo supporta la propria squadra come meglio crede, andando allo stadio ogni domenica, andando al bar con gli amici ogni domenica, restando a casa sul divano ogni domenica, litigando con la moglie perché lei voleva andare in piscina, guardando solo le partite in casa, facendosi tutte le trasferte, facendosi solo le trasferte nel raggio di 500 km, e via dicendo, ogni tifoso tifa come vuole e va rispettato per questo, perché è il suo modo di tifare e lui lo ritiene giusto, lui sta bene con sé stesso così, perché come detto, come tifare è prima di tutto una scelta individuale, soggettiva, poi collettiva, quando un gruppo di individui si ritrovano in sintonia sullo stesso modo di tifare, “Oh ci si trova tutti da Mario!” “Oh ci si trova tutti al secondo arancio!” “Oh ci si trova tutti da me!”

Il tifo non morirà mai perché è come respirare, sentire dolore, mangiare e dormire. Tifare è una cosa spontanea, innata in ognuno di noi. Appena vediamo nostro figlio che cerca di alzarsi in piedi per la prima volta, siamo li a dire “dai! Dai che ce la fai!”, quando assistiamo al saggio di danza della figlia, alla laurea del fratello, all’operazione di un amico, il colloquio di lavoro di mamma, noi tifiamo per chi amiamo, è più forte di noi. Per quanto riguarda il calcio, la nostra squadra, vorremmo che fosse sempre bella e vincente, ogni maledetta partita deve essere bella e vincente, ogni giorno di mercato deve essere bella e vincente, ogni allenamento, ogni conferenza stampa, ogni giorno, bella e vincente, sempre.

Perché in quella squadra ci siamo noi prima di tutto, noi tifosi che soffriamo in silenzio appena si appoggia la palla sul dischetto del rigore, che restiamo in apnea su un calcio d’angolo, che gridiamo allo scandalo per una rimessa laterale non concessa, che inveiamo contro quei giocatori che di correre proprio non ne vogliono sapere. Perché deve essere sempre bella e vincente, e poi vuoi mettere la goduria di farsi vedere dagli altri tifosi, mentre si cammina a tre metri da terra per la gioia di aver conquisato una vittoria? E se ami la tua squadra se ami questi colori, li tifi, perché non sei tifoso di un’altra squadra, tu tifi quella, e se perde ti devi incazzare, perché vuol dire che ha vinto l’altra, quella per cui non tifi. Non esistono regole ineccepibili del tifo come dicevo, ma di sicuro c’è una cosa che non è concepibile, tifare contro.

Se ami la tua squadra, se provi emozioni per lei, se vivi per lei, tifare contro non è razionale, è contro natura. Smetteresti di mangiare perché ti stai antipatico? Non ha senso. Se ami la tua squadra, se davvero la ami indipendentemente da chi scende in campo, da chi siede in panchina o da chi la dirige, non esiste tifare contro. Sperare che perda la tua squadra vuol dire sperare che vincano le altre, che non sono la tua, e a gioire saranno gli altri, a godere saranno gli altri, e tu no perché tu tifi quella. E ti incazzi due volte perché per prima cosa hai perso, e in secondo luogo hanno vinto loro. Se proprio non ce la si fa a sopportare una situazione o come in questo caso la dirigenza, si potrebbe a malincuore smettere a tempo determinato di tifare, dedicarsi ad altro, per quanto si riesca.

Prima o poi quelli passeranno, i dirigenti, gli allenatori e i giocatori, passeranno, quel che resterà per sempre sarà il tifo, l’unica vera costante immortale, innata e spontanea di ogni individuo. Il Milan siamo noi, solo noi, sia che si giochi a San Siro coi cessi inagibili o su un campo di patate in Uzbekistan, o nello stadio più avveniristico al mondo, sia che in campo ci vada Van Basten o Luther Blisset, che in panchina ci sia Rocco o Tabarez, che negli uffici di via Turati ci sia Berlusconi o Trabattoni, loro passano, tutto passa, i tifosi restano. Se l’ami, il tifo è per sempre.

Cristian

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