Guardiola: con i soldi serve un progetto

Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

09.11.2012 00:00 di Luca Serafini Twitter: @lucaserafini4  articolo letto 1558 volte

© foto di Pietro Mazzara

Chi si occupa di Milan e chi tifa per i colori rossoneri, ormai è preso dalla sindrome di San Tommaso: se non vede, se non tocca con mano, non crede. Non crede più. A costo di vedere le streghe dove non ci sono, a costo di rinnegare quello che ieri era vero. Troppo destabilizzante la comunicazione relativa all’ultimo “mercato” estivo, troppo sconcertanti le perdite umane e tecniche, troppo lontani per spessore gli acquisti dai predecessori, se si esclude Montolivo che sta prendendosi sulle spalle la squadra.
Lecito tremare per il futuro di El Shaarawy, lecito temere che sia sempre in arrivo un’offerta “cui è impossibile dire di no” per lui, per il riscatto di Bojan, per Boateng, Pato ed altri. Galliani e Allegri devono convivere con questi stati d’animo vissuti intorno all’ambiente, l’allenatore ha nella pancia lo spauracchio di un esonero avvenuto già una mezza dozzina di volte dalla primavera all’autunno 2012, sventato esclusivamente dall’assenza di un credibile, affidabile assistente per Mauro Tassotti. In questo clima non è facile lavorare per una squadra in cui la frustrazione è sempre dietro l’angolo: con quella di martedì scorso, sono salite a 4 le partite non vinte in cui l’avversario ha segnato con un solo tiro in porta, uno solo di numero: Sampdoria, Parma, Inter, Malaga. In questo quadro, va dato atto almeno di un ritrovato orgoglio che ha permesso di sfogare sana, vitale rabbia nell’ultima mezzora con il Palermo, con il Chievo, con il Malaga appunto. Oggi il Milan è vivo e respira, con i suoi limiti che non sono pochi, ma in piedi.
Berlusconi è tornato allo stadio per una partita ufficiale, dopo un’assenza di quasi 8 mesi. L’accoglienza della squadra non è stata esattamente calorosa: dopo la doccia, buona parte dei giocatori se ne sono andati, allenatore compreso, senza prendersi nemmeno il tempo di una stretta di mano. La presenza dei tifosi, ancora una volta numericamente trascurabile. Risultato inevitabile, anche se molto discutibile: è il presidente che si è allontanato, non viceversa. A Milanello l’elicottero non atterra più da un periodo ancora più lungo. In ogni caso, è lui che paga gli stipendi e solo per questo un saluto collettivo doveva essergli riconosciuto.
In questo scenario, le voci su Guardiola ci paiono voci e basta. Non è tanto, non è solo, una questione di soldi. Crisi o non crisi, lodo o non lodo, Berlusconi qualche euro da spendere per il Milan lo avrebbe eccome, senza la magnanimità di una volta, ma almeno per supportare un progetto dettagliato: via i super-ingaggi, via le icone, largo ai giovani (i migliori in circolazione), che costituiscono, costituirebbero, l’unico percorribile investimento nel calcio. Che altrimenti costituisce un vuoto a perdere e basta. Non è così: Ogbonna, Verratti, Destro – tanto per fare dei nomi – hanno preso altre strade, se vogliamo lo stesso Merkel immolato sull’altare del Faraone. Non è così: non c’era un progetto, c’era unicamente una serie di necessità materiale, di cui la prima il pareggio di bilancio. Capire se Guardiola ci si ritrovi, in un contesto come quello attuale del club più titolato al mondo, è molto difficile.A Guardiola può anche essere offerto l’ingaggio più ricco del pianeta, ma quale strada dovrebbe seguire? Per sua natura, lo pensiamo disposto a lavorare con i giovani, con certi giovani, senza necessariamente pretendere Ronaldo, Messi, Rooney o altre star di pari luminosità. Però è vero che il Chelsea, ad esempio, sembra abbia già incominciato a costruire una squadra su misura per il tecnico catalano.
Guardiola ama l’Italia, lo si può incontrare spesso durante l’anno a Brescia o nelle Marche al mare, a Firenze o Roma a fare shopping, il suo primo pensiero la notte della prima Champions vinta a Barcellona fu una sorprendente dedica a Paolo Maldini. Che ami anche il campionato italiano, dopo averlo conosciuto da giocatore, e che ami anche l’idea di riportare in alto un Milan ai minimi termini, è tutto da verificare. Quel che è certo, è che l’unico incentivo non può essere un assegno, per quanto pieno di zeri. Ci vuole anche un progetto, studiato, dettagliato, e (almeno fino ad oggi) non se ne vede traccia.

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