L’anno che verrà

Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

28.12.2012 00:00 di Luca Serafini Twitter: @lucaserafini4  articolo letto 2568 volte

© foto di Pietro Mazzara

E’ stato un 2012 così difficile, affannato, angosciante che quasi appaiono venirci meno riserve di pudore nel parlare di pallone. La nostra vita quotidiana però è fatta di così tante cose, ciascuno di noi preposto a qualcuna di esse… Per chi racconta calcio dunque il dovere è anche questo, senza stare a sfoggiare la retorica delle emozioni e dei sogni che non devono, non possono venire meno specie nei momenti bui. Parliamo di calcio e basta.
Abbiamo fatto un passo indietro, nei comportamenti e nella logica, che scarseggia. Gli arbitri e gli arbitraggi trovano sempre maggiore spazio, velenosa attenzione, costituendo non più soltanto e semplicemente un alibi, ma addirittura una risorsa. Per giustificare, per scagliarsi sui meriti altrui. Non cambiano i modi, i toni di dirigenti e tesserati, giornali e giornalisti, tifosi e pseudo-sportivi. Il tavolo della pace ha prodotto volgarità, le inchieste hanno sparacchiato più o meno alla cieca, colpendo qua e là, senza estirpare radici. La nostra Nazionale ci ha regalato gioie inattese, senza comunque suscitare particolari simpatie perché alcuni dei suoi più reclamizzati protagonisti, sono esempi negativi. Sperare in un 2013 migliore è la minima utopia.
Il Milan si è sfaldato, in nome di una crisi finanziaria che, un po’ dovunque, taglia licenzia svuota impoverisce, senza dare alcun ossigeno grazie a un pur minimo investimento, a una vaga credibile strategia. Dunque, via tutti, Nesta Zambrotta Gattuso Seedorf Inzaghi Van Bommel Ibrahimovic Cassano, per alleggerire e buste paga di una rosa attualmente – appunto – da settimo posto o giù di lì, con picchi e rovesci che sconcertano non meno di un’estate avvilente. La squadra ha fatto fatica a trovare un assetto, un’identità affidabili, complicando il lavoro di un allenatore sovente disorientato sia dallo scarso rendimento e dall’ancor più marcata disaffezione di gente come Pato, Robinho, Boateng che dovevano garantirne la qualità, sia dagli impulsi ondivaghi di una società che lo ha esonerato virtualmente una mezza dozzina di volte, frenata unicamente dalla mancanza di alternative. Così le randellate romane di Petkovic e Zeman, le delusioni con Inter, Fiorentina, Malaga, ma anche Sampdoria, Udinese, Atalanta, hanno fato evaporare alcune sorprendenti imprese come la striscia di vittorie consecutive, la qualificazione in Champions, le partite gagliarde contro Napoli e Juventus.
A Capodanno sembra che siano pronti i biglietti aerei di sola andata per Pato, Robinho, Flamini rimpolpando una lista d’attesa che comprende nomi altisonanti dal rendimento incerto, vedi Drogba, Villa, Carvalho, lo stesso Kakà, i quali tra l’altro tradirebbero l’improvvisata vena di linfa verde sbandierata da Berlusconi. Un indirizzo nato più per caso che per pianificazione e che pure rappresenta la vera speranza cui aggrapparsi all’inizio di un anno incerto, sicuramente complicato. L’esplosione di El Shaarawy, la maturazione di De Sciglio, le promesse alterne di Bojan sono il patrimonio da cui ripartire, intorno alla leadership di Riccardo Montolivo, per un paio di mesi (prima della notte dell’Olimpico) bitta solida cui attraccare. Il Milan non può fermarsi a gennaio a reinvestire il pozzetto generato dallo scarico dei cartellini e degli ingaggi di Robinho, Pato, Flamini. Troppo eclatante la devastazione in tutti i reparti per pensare di poter ripartire dai saldi dell’Epifania. L’investimento, più che massiccio, deve essere mirato, chirurgico, funzionale in una macchina in cui troppo ingranaggi si spanano con frequenza oppure non funzionano affatto. Dopo il frullato di Natale al cospetto della Roma, 24 ore dopo il crudele sorteggio svizzero, le inquietudini sono cresciute soffocando gli aneliti dell’ultima serie di partite, vinte convincendo.
Occuparsi del Milan in queste prossime settimane per meri scopi politici non è necessariamente una colpa, visto che qualsiasi presidente nella storia ha usato il calcio per fini e interessi propri, nessuno avendoci mai rimesso un euro di tasca propria, eccezion fatta per Massimo Moratti. Che può farlo, costituendo una sorta di porto franco nell’austero panorama economico del pianeta. Occuparsi del Milan in queste prossime settimane con un minimo di entusiasmo è però necessario per non disperdere 5 lustri di vittorie e di filosofia vincente, additata ad esempio  per 25 anni in tutto il mondo. Se è vero che bisogna investire sui giovani, si investa davvero su di loro: sono l’unico tesoretto che consentirebbe di aumentare, nel tempo, il valore di una squadra drasticamente svalutata. Se invece si cerca qualche campione ammuffito in grado di dare una mano alla causa, lo si cerchi per reali opportunità, per ipotesi di rendimento e non solo per suggestione. Drogba è una di queste, Villa e Carvalho non lo sono. In ballo non c’è soltanto l’effetto di un mercatino di riparazione, ma la base di un progetto che dovrà avere per forza di cose un riscontro tangibile a giugno. Nessun tifoso rossonero è più disposto a subire la profanazione del proprio amore, questa squadra non è più in grado di sopportare ulteriori svilimenti. Bisogna che Berlusconi si convinca che San Siro vuoto è il frutto di una disillusione collettiva, oltre che di una morsa finanziaria che se investe uno degli uomini più ricchi del mondo, non può non incidere sulle scelte della gente comune. Non è un concetto difficile da capire, costituisce anzi (o dovrebbe costituire) il fondamento elementare della politica.
Buon 2013 a tutti, basterà poco perché sia un anno comunque migliore di quello che non vediamo l’ora di ammazzare a Capodanno.

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