Penultima giornata, finalmente. Nonostante le voglie autolesioniste di Inzaghi la stagione sta volgendo al termine e sono rimasti tre obiettivi: evitare il record di sconfitte dellâera berlusconiana, non inasprire lâodioso primato di cartellini rossi, e non sprofondare oltre lâundicesimo posto divenendo dunque anche in termini di risultati il peggior Milan del trentennio. Titolo che comunque, anche senza la certificazione numerica, spetta certamente a questa squadra. Obiettivi miserrimi. Cosa ne pensa Adriano Galliani, il costruttore e ispiratore di questo progetto di rifondazione che doveva essere unâescalation di successi? Mi piacerebbe avere lâopinione di colui che trovava triste lâEuropa League. A proposito, circa un anno fa di questi tempi il Milan di Seedorf si giocava senza grande convinzione le residue chanche europee a Bergamo, buttandole via in una gara sfortunata. Partiva dunque il piano di cancellazione dellâolandese. Trentacinque punti, quarta forza del campionato nel girone di ritorno, un derby vinto, qualche complimento non di circostanza dai rivali, un processo di crescita che dagli alti e bassi in avvio aveva portato a sei risultati utili consecutivi, di cui cinque vittorie, prima dello stop contro una Roma troppo tonica; non bastò: il gol di Brienza al 96esimo scatenò nella servaglia foraggiata dal Condor del Forte uno stillicidio. Il Milan DI SEEDORF era fuori dallâEuropa! Scandalo! In realtà la matematica non lo decretava ancora, e la licenza UEFA del Parma pure. Questâanno chissà perché la Gazzetta ha dato per possibile lâEuropa League numericamente fino a domenica scorsa, altri giornali hanno insinuato che anche lâottava piazza poteva essere utile: follie. Due pesi, due misure. Quando leggeremo dei bei pezzi sullo sfacelo di questâanno, o anche solo la critica degli allenamenti pomeridiani, che a Milanello si fanno dai tempi di Ancelotti ma con Seedorf chissà perché erano sinonimo della vita discinta dellâallenatore? A quando lâelenco delle lamentele dei giocatori che poverini vengono interrotti durante lâallenamento dal coach? Ah giusto, questâanno non succede: Inzaghi non ha nulla da dire. Per dare a Cesare ciò che è di Cesare: lâEuropa non sarebbe stata meritata lo scorso anno, il discreto lavoro di Seedorf doveva bilanciarsi col pessimo girone dâandata, e i giocatori per molti motivi non fecero abbastanza per riscattarsi. Anche perché alcuni non lo volevano. Questâanno non è meritato il decimo/undicesimo posto in cui languiscono questi giocatorucoli, che avrebbero invece beneficiato eccome, e con loro il paraculato della panchina, di una bella sudata fredda nei piani bassi.
Milannews ci ricorda che il Torino non vince a Milano da trentâanni. Un poâ come il Genoa da cinquantacinque anni, ecco. Ventura e i suoi vengono a San Siro col sorriso dovuto ad una stagione tranquilla, con un debole avvio in campionato seguito però da una buona ripresa. La partecipazione all’Europa League gli ha portato qualche soddisfazione e si sono ripresi il derby. Probabilmente ci chiuderanno davanti per il secondo anno di fila, meritando, e sono ancora in corsa per l’Europa League pertanto credo se la vorranno giocare fino all’ultimo visto che il turno finale gli riserva il Cesena retrocesso. Visto che all’andata la banda Inzaghi prese pallonate per 91 minuti salvandosi non si sa come, fossi in Pippoloro sarei agitato. Essenziale per svoltare dal brutto inizio l’arrivo in granata di Maxi Lopez, combattivo e determinante non solo in fase realizzativa, e reduce da una doppietta contro il Chievo. Osservato speciale Matteo Darmian, prossima tentazione del Condor in prestito a zero con diritto di riscatto parzialmente esercitabile nei giorni dispari di marzo del 2017, diviso due. Ovviamente era un nostro primavera regalato prima d’averlo visto all’opera eccetera, eccetera….che ve lo dico a fare?
Il Milan affronterà il match privo di molti giocatori, come al solito. La colpa è della stregoneria praticata dai non evoluti, e in parte del maltempo che ha colpito gli Appennini. Montolivo e De Sciglio servono ormai a rimpolpare le statistiche del numero di spettatori; Antonelli ha la pubalgia: affarone. Poi gli squalificati: Menez per bestemmia, Bonaventura per confusione, sua e soprattutto dellâarbitro, Suso perchè a quanto pare oltre ad essere un fenomeno incompreso è pure una testina calda. Ci mancava questo tipo di giocatore. Volete sapere come si schiererà e quali accorgimenti ha pensato Inzaghi? Ma valà che non volete, piuttosto vi faccio venire qualche sana voglia raccontandovi la storia dellâIndia Pale Ale.
Abbiamo la fortuna, come appassionati, di vivere unâepoca di esplosione birraria in termini di diffusione, innovazione, crescita della qualità produttiva. Sono molti i fattori che hanno favorito questa resurrezione dopo decenni di oscurantismo organolettico industriale e forse può risultare un poâ pretenzioso stilarne la classifica. Non credo però si faccia torto a nessuno di questi se ponessimo sul podio più alto fra gli ingredienti cruciali il luppolo, la riscoperta del suo carattere e lâesplorazione del territorio sconosciuto dellâamaro. Questa rivoluzione, che è partita principalmente dagli Stati Uniti, ha visto nellâultimo ventennio uno stile birrario rinascere e imporsi come interprete indiscutibile del modo moderno di bere birra: le India Pale Ale, nelle loro accezioni britanniche, americane, nord europee e pacifiche. Oggi se diciamo IPA intendiamo spesso una Ale dâimpronta americana, dal profilo neutro di lievito, abbastanza alcolica e di colore dorato che può virare anche verso lâambrato carico in molte interpretazioni, in cui lâamaro e lâaroma del luppolo la fanno da padrone con unâesplosione di sentori erbacei, speziati, terrosi e molto più spesso anche agrumati, resinosi e tropicali. Sono birre certamente di moda, molto apprezzate da un pubblico che, perso ogni timore reverenziale nei confronti del luppolo, ne abbraccia lâaromaticità  e lâamaro qualche volta fino allâeccesso. La storia di questo stile parte da lontano e, naturalmente, dal Regno Unito.
Si racconta spesso la leggenda per cui le India Pale Ale, nate in epoca coloniale durante la seconda metà del diciottesimo secolo, debbano la loro intensa luppolatura alla necessità di conservazione durante il lungo viaggio verso lâIndia. Nonostante le indubbie qualità antisettiche del luppolo possano aver favorito il loro successo, le cose non sono andate esattamente così, e non câè evidenza che queste birre siano state prodotte appositamente per la colonia (si veda qui). In quellâepoca erano molte le ales che nelle stive delle navi solcavano i mari per ristorare i palati degli emigrati britannici e fra queste câera anche una birra stagionale di ottobre prodotta dalla Old Bow Brewery di George Hodgson. Era una birra chiara con un amaro robusto e piuttosto alcolica, come era normale a quei tempi in terra britannica prima dellâaumento della tassazione portato dalle Guerre Mondiali. Era anche una birra secca e ben attenuata, il che riduceva i rischi di eccessive contaminazioni batteriche dovute al lungo viaggio e alla conservazione in botte. La combinazione di questi fattori e gli sbalzi climatici nel corso del trasporto la resero particolarmente gradita e molto popolare fra i britannici dâIndia, dando grande reputazione a Hodgson.
Il successo vero e proprio però arrivò solo nella prima metà del diciannovesimo secolo, quando i birrifici di Burton-Upon-Trent, di fronte a tanto gradimento, si misero a produrre ales dalle caratteristiche simili. Lâacqua di Burton fu la chiave del loro successo: ricca di solfati di calcio, risultò particolarmente adatta alla produzione di birre fortemente luppolate e il prodotto risultò chiaramente superiore. Fu così, dal caso e dal successo commerciale, che a poco a poco nacque lâidentità dello stile. Intorno al 1840 queste birre cominciarono a riscuotere un grande successo anche in Patria. Il loro consumo e la loro popolarità continuarono a crescere in maniera costante nei decenni successivi e presto si cominciò a riferirsi a queste birre âindianeâ e ad etichettarle con il nome di India Pale Ale. Anche altri birrifici fuori da Burton cominciarono a produrne, a volte cambiando semplicemente nome alle Pale Ale luppolate già in produzione. Lâaumento delle accise durante la Prima Guerra Mondiale comportò per tutte le birre un calo della gravità originale e quindi del loro tenore alcolico e del loro corpo. Le IPA divennero di fatto molto simili alle Best Bitter e non più distinguibili al palato dei consumatori, dando inizio al declino del loro prestigio. Il termine India Pale Ale verso la metà del Novecento divenne sostanzialmente obsoleto e lâidentità dello stile venne dispersa.
La resurrezione si deve alla reinessance birraria americana. Anche negli Stati Uniti, dove le IPA erano state prodotte e apprezzate nel Nord-Est, queste grandi birre erano state dimenticate, ma agli inizi degli anni â80 i giovani microbirrifici della West Coast trovarono in questo stile quello che più si prestava allâesaltazione degli eccellenti luppoli coltivati in quella regione. Da allora le IPA sono ripartite alla conquista del mondo e stanno vivendo una diffusione e un successo produttivo inarrestabile, forse paragonabile a quello che ebbero in passato le Porter. Oggi le versioni inglesi possono virare verso un colore ramato scuro e avere note caramellate e qualche tostatura, mentre le American IPA sono in genere dorate o leggermente ambrate e indulgono maggiormente sulle note di miele. Gli aromi del luppolo inglese (Goldings, Challenger, Target e via dicendo) si muovono su sentori terrosi, erbacei e pepati, mentre i cugini americani esaltano lâagrumato, il resinoso e il tropicale grazie a luppoli come Cascade, Amarillo e Simcoe. Anche nel Pacifico, in paesi come Australia, Nuova Zelanda e Giappone, questo stile è divenuto molto popolare ed esalta le varietà locali, parecchio spinte su sentori tropicali, di uva spina, cocco e frutti a polpa gialla. In Europa continentale ha avuto successo principalmente presso i birrifici del nord, dove a fianco di alcune grandi interpretazioni si assiste spesso a versioni filo-americane un poâ eccessive e caricaturali, con la rincorsa allâamaro fine a sé stessa a scapito dellâarmonia e dellâequilibrio che sempre dovrebbero esserci. Le versioni italiane, anche a causa della mancanza di varietà di luppolo nazionali, sono ancora acerbe per unâimpronta veramente originale.
Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 7
Larry
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