Milan-Torino Serie A 2014/2015: presentazione


"Che devo fare più di prenderli a pallate 90 minuti? RI-prenderli a pallate altri 90 minuti!

“Che devo fare più di prenderli a pallate 90 minuti? RI-prenderli a pallate altri 90 minuti!

Penultima giornata, finalmente. Nonostante le voglie autolesioniste di Inzaghi la stagione sta volgendo al termine e sono rimasti tre obiettivi: evitare il record di sconfitte dell’era berlusconiana, non inasprire l’odioso primato di cartellini rossi, e non sprofondare oltre l’undicesimo posto divenendo dunque anche in termini di risultati il peggior Milan del trentennio. Titolo che comunque, anche senza la certificazione numerica, spetta certamente a questa squadra. Obiettivi miserrimi. Cosa ne pensa Adriano Galliani, il costruttore e ispiratore di questo progetto di rifondazione che doveva essere un’escalation di successi? Mi piacerebbe avere l’opinione di colui che trovava triste l’Europa League. A proposito, circa un anno fa di questi tempi il Milan di Seedorf si giocava senza grande convinzione le residue chanche europee a Bergamo, buttandole via in una gara sfortunata. Partiva dunque il piano di cancellazione dell’olandese. Trentacinque punti, quarta forza del campionato nel girone di ritorno, un derby vinto, qualche complimento non di circostanza dai rivali, un processo di crescita che dagli alti e bassi in avvio aveva portato a sei risultati utili consecutivi, di cui cinque vittorie, prima dello stop contro una Roma troppo tonica; non bastò: il gol di Brienza al 96esimo scatenò nella servaglia foraggiata dal Condor del Forte uno stillicidio. Il Milan DI SEEDORF era fuori dall’Europa! Scandalo! In realtà la matematica non lo decretava ancora, e la licenza UEFA del Parma pure. Quest’anno chissà perché la Gazzetta ha dato per possibile l’Europa League numericamente fino a domenica scorsa, altri giornali hanno insinuato che anche l’ottava piazza poteva essere utile: follie. Due pesi, due misure. Quando leggeremo dei bei pezzi sullo sfacelo di quest’anno, o anche solo la critica degli allenamenti pomeridiani, che a Milanello si fanno dai tempi di Ancelotti ma con Seedorf chissà perché erano sinonimo della vita discinta dell’allenatore? A quando l’elenco delle lamentele dei giocatori che poverini vengono interrotti durante l’allenamento dal coach? Ah giusto, quest’anno non succede: Inzaghi non ha nulla da dire. Per dare a Cesare ciò che è di Cesare: l’Europa non sarebbe stata meritata lo scorso anno, il discreto lavoro di Seedorf doveva bilanciarsi col pessimo girone d’andata, e i giocatori per molti motivi non fecero abbastanza per riscattarsi. Anche perché alcuni non lo volevano. Quest’anno non è meritato il decimo/undicesimo posto in cui languiscono questi giocatorucoli, che avrebbero invece beneficiato eccome, e con loro il paraculato della panchina, di una bella sudata fredda nei piani bassi.

Milannews ci ricorda che il Torino non vince a Milano da trent’anni. Un po’ come il Genoa da cinquantacinque anni, ecco. Ventura e i suoi vengono a San Siro col sorriso dovuto ad una stagione tranquilla, con un debole avvio in campionato seguito però da una buona ripresa. La partecipazione all’Europa League gli ha portato qualche soddisfazione e si sono ripresi il derby. Probabilmente ci chiuderanno davanti per il secondo anno di fila, meritando, e sono ancora in corsa per l’Europa League pertanto credo se la vorranno giocare fino all’ultimo visto che il turno finale gli riserva il Cesena retrocesso. Visto che all’andata la banda Inzaghi prese pallonate per 91 minuti salvandosi non si sa come, fossi in Pippoloro sarei agitato. Essenziale per svoltare dal brutto inizio l’arrivo in granata di Maxi Lopez, combattivo e determinante non solo in fase realizzativa, e reduce da una doppietta contro il Chievo. Osservato speciale Matteo Darmian, prossima tentazione del Condor in prestito a zero con diritto di riscatto parzialmente esercitabile nei giorni dispari di marzo del 2017, diviso due. Ovviamente era un nostro primavera regalato prima d’averlo visto all’opera eccetera, eccetera….che ve lo dico a fare?

Il Milan affronterà il match privo di molti giocatori, come al solito. La colpa è della stregoneria praticata dai non evoluti, e in parte del maltempo che ha colpito gli Appennini. Montolivo e De Sciglio servono ormai a rimpolpare le statistiche del numero di spettatori; Antonelli ha la pubalgia: affarone. Poi gli squalificati: Menez per bestemmia, Bonaventura per confusione, sua e soprattutto dell’arbitro, Suso perchè a quanto pare oltre ad essere un fenomeno incompreso è pure una testina calda. Ci mancava questo tipo di giocatore. Volete sapere come si schiererà e quali accorgimenti ha pensato Inzaghi? Ma valà che non volete, piuttosto vi faccio venire qualche sana voglia raccontandovi la storia dell’India Pale Ale.

Abbiamo la fortuna, come appassionati, di vivere un’epoca di esplosione birraria in termini di diffusione, innovazione, crescita della qualità produttiva. Sono molti i fattori che hanno favorito questa resurrezione dopo decenni di oscurantismo organolettico industriale e forse può risultare un po’ pretenzioso stilarne la classifica. Non credo però si faccia torto a nessuno di questi se ponessimo sul podio più alto fra gli ingredienti cruciali il luppolo, la riscoperta del suo carattere e l’esplorazione del territorio sconosciuto dell’amaro. Questa rivoluzione, che è partita principalmente dagli Stati Uniti, ha visto nell’ultimo ventennio uno stile birrario rinascere e imporsi come interprete indiscutibile del modo moderno di bere birra: le India Pale Ale, nelle loro accezioni britanniche, americane, nord europee e pacifiche. Oggi se diciamo IPA intendiamo spesso una Ale d’impronta americana, dal profilo neutro di lievito, abbastanza alcolica e di colore dorato che può virare anche verso l’ambrato carico in molte interpretazioni, in cui l’amaro e l’aroma del luppolo la fanno da padrone con un’esplosione di sentori erbacei, speziati, terrosi e molto più spesso anche agrumati, resinosi e tropicali. Sono birre certamente di moda, molto apprezzate da un pubblico che, perso ogni timore reverenziale nei confronti del luppolo, ne abbraccia l’aromaticità e l’amaro qualche volta fino all’eccesso. La storia di questo stile parte da lontano e, naturalmente, dal Regno Unito.Fullers-IPA

Si racconta spesso la leggenda per cui le India Pale Ale, nate in epoca coloniale durante la seconda metà del diciottesimo secolo, debbano la loro intensa luppolatura alla necessità di conservazione durante il lungo viaggio verso l’India. Nonostante le indubbie qualità antisettiche del luppolo possano aver favorito il loro successo, le cose non sono andate esattamente così, e non c’è evidenza che queste birre siano state prodotte appositamente per la colonia (si veda qui). In quell’epoca erano molte le ales che nelle stive delle navi solcavano i mari per ristorare i palati degli emigrati britannici e fra queste c’era anche una birra stagionale di ottobre prodotta dalla Old Bow Brewery di George Hodgson. Era una birra chiara con un amaro robusto e piuttosto alcolica, come era normale a quei tempi in terra britannica prima dell’aumento della tassazione portato dalle Guerre Mondiali. Era anche una birra secca e ben attenuata, il che riduceva i rischi di eccessive contaminazioni batteriche dovute al lungo viaggio e alla conservazione in botte. La combinazione di questi fattori e gli sbalzi climatici nel corso del trasporto la resero particolarmente gradita e molto popolare fra i britannici d’India, dando grande reputazione a Hodgson.

Il successo vero e proprio però arrivò solo nella prima metà del diciannovesimo secolo, quando i birrifici di Burton-Upon-Trent, di fronte a tanto gradimento, si misero a produrre ales dalle caratteristiche simili. L’acqua di Burton fu la chiave del loro successo: ricca di solfati di calcio, risultò particolarmente adatta alla produzione di birre fortemente luppolate e il prodotto risultò chiaramente superiore. Fu così, dal caso e dal successo commerciale, che a poco a poco nacque l’identità dello stile. Intorno al 1840 queste birre cominciarono a riscuotere un grande successo anche in Patria. Il loro consumo e la loro popolarità continuarono a crescere in maniera costante nei decenni successivi e presto si cominciò a riferirsi a queste birre “indiane” e ad etichettarle con il nome di India Pale Ale. Anche altri birrifici fuori da Burton cominciarono a produrne, a volte cambiando semplicemente nome alle Pale Ale luppolate già in produzione. L’aumento delle accise durante la Prima Guerra Mondiale comportò per tutte le birre un calo della gravità originale e quindi del loro tenore alcolico e del loro corpo. Le IPA divennero di fatto molto simili alle Best Bitter e non più distinguibili al palato dei consumatori, dando inizio al declino del loro prestigio. Il termine India Pale Ale verso la metà del Novecento divenne sostanzialmente obsoleto e l’identità dello stile venne dispersa.

La resurrezione si deve alla reinessance birraria americana. Anche negli Stati Uniti, dove le IPA erano state prodotte e apprezzate nel Nord-Est, queste grandi birre erano state dimenticate, ma agli inizi degli anni ’80 i giovani microbirrifici della West Coast trovarono in questo stile quello che più si prestava all’esaltazione degli eccellenti luppoli coltivati in quella regione. Da allora le IPA sono ripartite alla conquista del mondo e stanno vivendo una diffusione e un successo produttivo inarrestabile, forse paragonabile a quello che ebbero in passato le Porter. Oggi le versioni inglesi possono virare verso un colore ramato scuro e avere note caramellate e qualche tostatura, mentre le American IPA sono in genere dorate o leggermente ambrate e indulgono maggiormente sulle note di miele. Gli aromi del luppolo inglese (Goldings, Challenger, Target e via dicendo) si muovono su sentori terrosi, erbacei e pepati, mentre i cugini americani esaltano l’agrumato, il resinoso e il tropicale grazie a luppoli come Cascade, Amarillo e Simcoe. Anche nel Pacifico, in paesi come Australia, Nuova Zelanda e Giappone, questo stile è divenuto molto popolare ed esalta le varietà locali, parecchio spinte su sentori tropicali, di uva spina, cocco e frutti a polpa gialla. In Europa continentale ha avuto successo principalmente presso i birrifici del nord, dove a fianco di alcune grandi interpretazioni si assiste spesso a versioni filo-americane un po’ eccessive e caricaturali, con la rincorsa all’amaro fine a sé stessa a scapito dell’armonia e dell’equilibrio che sempre dovrebbero esserci. Le versioni italiane, anche a causa della mancanza di varietà di luppolo nazionali, sono ancora acerbe per un’impronta veramente originale.

Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 7

Larry

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