Ciao, Cigno d’Ucraina dal collo sinuoso

Canale Milan

di Alfredo De Vuono

E’ notizia di oggi l’imminente addio al calcio giocato di Andry Shevchenko. Questo pezzo risale a quasi tre anni fa, e riviveva la storia del miglior giocatore Ucraino di sempre, in prossimità del suo ritorno alla Dinamo Kiev.

La città e la squadra che adesso lascerà nuovamente, per tornare ancora una volta al Chelsea, dove svolgerà il ruolo di allenatore degli attaccanti.

Chi meglio di lui, d’altra parte.

E’ durato dieci anni il viaggio dell’angelo biondo Andryi in giro per l’Europa Occidentale, a metà tra Italia ed Inghilterra. Dieci anni passati a dispensare emozioni, ad intrappolare il tempo dentro attimi di calcio che rimarranno indelebili nelle nostre menti, a disegnare parabole uniche, tuttora motivo d’ansia per i più blasonati estremi difensori del vecchio continente. Oggi Andryi chiude il cerchio, torna ufficialmente alla madre Russia, riparte – o prova a ripartire – lì da dove aveva cominciato, quindici anni fa: dalla Dinamo Kiev.

Il piccolo Andryi, all’anagrafe Andrij Mykolajovy Ševcenko, nasce a Dvirkivšcyna, in Ucraina, il 29 settembre 1976. A soli nove anni è costretto, insieme alla famiglia, ad abbandonare la sua casa ed a trasferirsi lungo la costa per sfuggire agli effetti della contaminazione. Intanto scopre il pallone. Viene respinto da una scuola sportiva specialistica di Kiev, per colpa d’una  malformazione al piede. Chissà quanto gli esaminatori ucraini d’allora avranno rimpianto questa scelta. Qualche mese dopo viene notato e prescelto dalla Dinamo, che lo manda in Europa a giocare il suo primo torneo Under-14: diventa capocannoniere e viene premiato addirittura da Ian Rush. Da lì in avanti saranno solo allori. A 18 anni esordisce in prima squadra, e segna il suo primo gol, sia in campionato che in Champions. Arriva la chiamata della Nazionale, e tempo pochi anni vince cinque campionati ucraini consecutivi, sotto la guida del suo rimpianto mentore: l’allenatore ex-sovietico Valerij Lobanovsky.

Nel 1999 arriva il Milan. Maggio di quell’anno: esattamente dieci anni fa. Il suo trasferimento vale 25 milioni di dollari. Gol all’esordio, ed un amore che tuttora in molti, nonostante il suo addio alla causa, targato maggio 2006, faticano a metter via. Durante i suoi 7 anni rossoneri segna 127 gol in 208 partite, trascina il Milan alla vittoria della Champions del 2003 contro la Juventus.

I video-secondi successivi al suo rigore vincente – prima del quale raggelava col morbido sguardo milioni di persone – che assegna ai rossoneri la coppa, ne immortalano il viso in una delle più belle immagini sportive degli ultimi anni.

Alla Champions sommerà poi  la Supercoppa UEFA, la Coppa Italia, lo scudetto dell’anno successivo, e la Supercoppa Italiana. Durante l’epoca milanista, diventa un idolo della tifoseria, ed un figlioccio del Presidente Berlusconi, che non gli nega il suo aiuto personale, in un momento particolarmente delicato della sua vita privata. Quello col Milan è un rapporto fantastico, che si incrina solo quando, a frammentare il feeling è il Dio Danaro. Fin dal 2005, infatti, il magnate russo Abramovich comincia a scalpitare per ottenere al Chelsea il Bambi di Kiev, come amabilmente usa soprannominarlo il suo adoratore Carlo Pellegatti. Ci riuscirà solo un anno dopo: il 14 maggio, con sfondo la curva rossonera, viene scattata un’altra istantanea che rimarrà marchiata a fuoco nell’animo dei tifosi meneghini. Sheva assiste ai minuti finali di Milan-Roma, visibilmente commosso, insieme ai tifosi, mentre si levano, solenni, i cori che lo implorano di restare.

Il resto è storia recente. A Londra, dove giunge per 45 milioni, trascorre due anni clamorosamente bui, durante i quali vince comunque, seppur non da protagonista, una Coppa di lega, una Community Shield, ed una Coppa d’Inghilterra. Il 21 luglio 2008 viene definito dal tabloid inglese The Sun il peggior affare di calciomercato dalle squadre della Premier League degli ultimi 10 anni.

Il ritorno alla famiglia rossonera è un  candido gesto d’amore di ambo le parti, dura una sola stagione (la scorsa), e tanto sa di ultimo bacio tra due amanti destinati a dirsi addio per sempre.

Andryi torna a Londra, viene congedato dall’amico-nemico Carletto Ancelotti,  e decide che la sua parabola discendente debba concludersi lì da dove era partita: dai freddi delle terre natie, con gli amici di vecchia data, dalla Dinamo Kiev. 

Svincolatosi dal Chelsea, oggi, a 33 anni, la Dinamo ha formalizzato la sua acquisizione, per mezzo di contratto biennale. Tornerà ad essere lo Zar di Kiev, a vestire il profondo blu – come i ghiacci che gli hanno dato i natali, e che porta ancora dentro, nello sguardo – della casacca che già fu sua fino a dieci anni fa.

Ed il cigno dei ghiacci ucraini potrà così ancora una volta levare al cielo, maestoso,  il suo lungo collo sinuoso, dopo una lunga e gratificante migrazione nei tiepidi mari occidentali.

Chissà che, in Champions League, già tra qualche settimana, non riesca a mandare ai suoi ancora tifosi rossoneri un ultimo, estremo saluto: un ultimo gol ai cugini nerazzurri.

Quando arriverà quel giorno, per il candido angelo biondo Andryi, inutile dirlo, sarà ancora derby. Un ultima, candida, volta.

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