Milan news
Nato a Milano il 10 Maggio 1965; Giornalista Professionista dal 1994. Dopo le esperienze professionali di carta stampata (La Notte e Il Giorno) e televisive (Telelombardia, Telenova, Eurosport), dirige Milan Channel dal 16 Dicembre 1999.
© foto di Studio Buzzi
Era una normalissimo venerdì invernale e in televisione c’era del calcio. Sapete com’è il calcio di oggi, un polpettone quasi sempre uguale a sé stesso: Italia, Europa, Mondo, calcio giocato, calcio parlato, un carrozzone autoreferenziale che rumina più o meno sempre le stesse cose. Quella sera, invece no. Guardi lo schermo una volta, la seconda, la terza, e poi allunghi il collo. Ma che succede? Che calcio è questo? L’occhio ormai era partito. Le frequenze e la velocità di quella partita: qualcosa di superiore alla media. La verità è che in quel momento in televisione non c’era il calcio. C’erano due squadre che giocavano a pallone, libere dalla paura di perdere, sciolte, affrancate dalla nevrosi della vittoria. Quella partita di pallone era Pescara-Modena. Una delle due, indovinate chi, aveva contagiato in meglio l’atteggiamento dell’avversaria.
Diciamo la verità: l’avevamo perso di vista Zeman, distratti dai nostri veleni e dalle nostre ossessioni. In Campania tra Napoli, Salerno e Avellino si era un po’ perso, al Brescia era parso il classico allenatore di fama che avesse perso la bacchetta magica chissà dove. Poi, quel ritorno a Foggia senza infamia e senza lode. Avevamo pensato che fare Zemanlandia senza la landia, fosse un esercizio inutile e noioso. E che lui da solo, non bastasse e non servisse più. E invece la Terra promessa c’era ancora. Bastava buttare l’occhio, senza normalizzarsi, senza rassegnarsi. Ed ecco che Zeman germoglia ancora. Gli autori di uno dei più bei documentari del panorama televisivo italiano, Zemanlandia, Foggia, possono già iniziare a tracciare le linee del sequel.
Zeman è ancora lui, è quel qualcosa di diverso che sfugge alla catena di montaggio del nostro calcio. Più i suoi ragazzi corrono e più lui gioca a carte, più si segnano gol nelle sue partite e più lui mormora. Zeman migliora anche te, anche l’avversario. Nel calcio normale, vince uno. Nel calcio di Zeman, vincono tutti. Lui e gli altri. Il tifoso avversario, se perde da Zeman, non manda gli occhi fuori dalle orbite, ma applaude. Il suo pallone ricalca lo spirito sportivo delle partite femminili di calcio: proteste verso l’arbitro e isterie varie ridotte all’osso, il fiato è meglio conservarlo per correre, per inserirsi, per esultare dopo i gol. Ricordo bene una conferenza stampa di Adriano Galliani dei primi anni ’90: “A San Siro abbiamo il maggior numero di tifosi nelle partite contro Juventus, Inter, Napoli di Maradona e Foggia”. Foggia? Perché il Foggia? Risposta: “Perché il Foggia gioca bene, la gente lo capisce e viene allo Stadio volentieri”.
Già li vediamo, davanti al computer, i profeti del “ma cos’ha vinto”? Sappiano che la loro sentenza, Zeman non ha vinto niente, è poverina, piccolina, vuota. Zeman vince a prescindere, perché è l’unico che fa poesia nel nostro mondo. In questo senso è solo al comando, una maglia rosa senza avversari. Quella del non ha vinto niente è una esibizione muscolare senz’anima. Quando ti accorgi che lui gioca a pallone con l’avversario e non contro l’avversario, hai già deciso che Zeman vince. Sempre.
Un anno fa il giochino più innocente del mondo, pensato senza secondi fini in una redazione come tante, e assecondato con spontaneità da Massimiliano Allegri a Milan Channel, aveva generato uno sciame mediatico senza precedenti. Mister X, Mister Y, Mister Fabregas, un giocatore pur definito irraggiungibile dal Milan fin dal primo minuto di mercato. Al Milan era stato attribuito di tutto, senza fondamento. Nei giorni pre-Lodo Mondadori, era semmai Hamsik l’obiettivo. Ma quello è tutto un altro discorso. In ogni caso quest’estate, il Milan è stato subito chiaro. Persi 69 milioni nell’anno solare 2010, persi 67 milioni nell’anno solare 2011, deve passare la nottata. La Borsa perde, le aziende perdono, la proprietà del Club, che fa parte di questo mondo e non vive su altri strani pianeti, perde a sua volta. Quindi se non parte nessuno non arriva nessuno e se parte uno ne arriva uno. Nessuno potrà dire al Milan di aver illuso qualcuno. Chi vive la realtà della crisi tutti i giorni ma pensa che nel calcio la crisi non ci sia, chissà perché poi, ci rimarrà male, protesterà, diserterà lo Stadio, cosa che purtroppo è diventata una abitudine non bellissima, ma non potrà dire che il Milan non sia stato chiaro. Per i voti, per gli abbonamenti o per altre amenità del genere, già sentite e già incassate negli anni scorsi. Mister X non esiste, evviva! Ne siamo liberi, finalmente! Non ne sentiamo la mancanza. Meglio migliorare, come dice Ibra dalla Svezia, piuttosto che inseguire chimere. I milanisti sono arrabbiati? E’ il calcio italiano, dove si vive giudicando e puntando il dito, un po’ meno amando. I colori vanno bene se vincono e perdono soldi. Altrimenti, rabbia. Diciamo che è un modo di amare un po’ singolare, ma certo è amore anche questo. Forse sarebbe tempo speso un po’ meglio accorgersi, con orgoglio, che il Milan sta resistendo, e resisterà, a offerte da 50 milioni a botta per Thiago Silva, un Kakà della difesa nel pieno della carriera e nel fior fiore delle sue possibilità. Chiunque, al posto del Milan, avrebbe già ceduto. Chiunque. E invece il Milan no. Sta lì, ascolta, fa spallucce e tira avanti guardando il bilancio sempre più in rosso e facendo conti sempre più in basso.
Adesso stanno cercando un Mister X alla rovescia, ogni giorno i media vendono un giocatore del Milan. Sono stati già venduti Thiago Silva, Ibrahimovic, Boateng, Pato, Cassano e Robinho. Non sono un po’ troppi? Ma non è che se le voci sono così tante e dispersive, forse forse non c’è una voce vera e fondata? I sospetti, purtroppo, non sfiorano mai chi ne ha troppi e poco attendibili.
Certo che l’Inter è su Giovinco. Nelle ultime due stagioni l’Inter a Parma ha perso Scudetto e Champions League. Nel 2011, quando era ancora a meno cinque dal Milan, perde 2-0 (gol di Giovinco e Amauri) e dà l’addio definitivo al Tricolore. Nel 2012, in piena rincorsa al terzo posto, perde 3-1 (gol di Giovinco, Marques e Biabiany) sempre a Parma e saluta la compagnia che va verso il Sorteggio di Montecarlo dell’Europa di Serie A. In entrambi i Parma-Inter, il giocatore decisivo è stato Giovinco. L’Inter ha preso atto, capito e metabolizzato. Lo vuole, gli gira attorno, rimane sul pezzo. La prossima settimana, il prossimo colpo spetta alla Juventus. Tocca al Club bianconero parlare con il Parma e trovare una soluzione per arrivare alle buste. Perché se l’extrema ratio fossero proprio le buste, il Parma potrebbe non essere solo all’appuntamento. E Giovinco fra le braccia del terzo incomodo potrebbe mandare di traverso l’estate della terza stella. Attenzione.
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Post Originale:
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