Una scena dantesca – sì, di nuovo

Rossonerosémper

Una scena dantesca – sì, di nuovo

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N.B. Stavolta, a differenza delle prime due “scene dantesche”, si raffigurano personaggi ancora vivi. Ovviamente si rimarca l’intento scherzoso del post, nel quale vengono proposte critiche già stilate in forma “prosaica” nei post precedenti. 

Lo duca mio indi mi condusse
ove sta per l’etterno imprigionato
colui che in vita sovente produsse

falsa testimonianza a un magistrato
o a un giornalista – se è lecito dirlo,
dato ch’egli a mentire è molto usato

e coccola il lettore per circuirlo
con un peana, un “grazie, Presidente”
o altre formule volte ad imbonirlo.

Stava, con sguardo poco intelligente
e con Tonio da Lecce là sedea
 un giovane, ma già ivi penitente

In vita nomeato Agnelli Andrea.
Assai bravo a imbonire era il tifoso
che come il suo cognome conducea,

 ad asserir, con tono molto ascoso
un numero fasullo di scudetti.
Egli esordì, con fare ancora astioso,

ed artifizi e retorici effetti,
parlando con la voce tetra e lenta,
ed occhi spesso da lagrime affetti:

“Ebbene sì! Ventotto son, non trenta”
ma con un lieve abbraccio e una carezza,
la sua lagrimazion fu presto spenta.

Ei continuò, stavolta con fermezza
“Di mentire, sul computo totale
dei titoli, ne avevo la certezza!

Però facevo ciò, e fè molto male
anche se allora non l’avea capito
che mi gettavo nel gorgo infernale.” 

E subito egli si fè ammutolito.
Ormai mi stavo per allontanare
Quando ascoltai un gemito, un vagito

ben facile da identificare.
Di titolo Geometra in realtà,
Dottore si faceva nomeare

 tale dannato, in vita in potestà
del club di proprietà di un Cavaliere
che coi tifosi ben poca onestà

ebbe: ciò che dicea tutte le sere
alcun valore aveva di mattino.
 Parea che lo facesse di mestiere,

il mentitore alquanto sparagnino, 
al punto da ingannar su un giocatore
che aveva il rossonero nel destino,

diceva lui, e invece in poche ore
la nostra barca per degli sceicchi
abbandonò, rompendole il motore

per volontà di loro che, già ricchi,
nessun desiderio di dar denaro
avevan più, raggiunti gli alti picchi.

 ”Di certo non puoi definirmi avaro
– disse il Geometra, e io testè trasalii –
i conti con me fuor sempre al riparo.

Eppure lo mio duca, lì per lì
a brutti teatrini mi costrinse,
ai quali, sottomesso, dissi sì.”

A tali frasi il cor un po’ si strinse,
ma forza ebbi per quest’affermazione:
“Eppure, anche se egli ancor ti vinse

l’obbedienza porta alla dannazione.”
“Mi scuso, mai studiata teologia.
La laurea non fu mai mia aspirazione,

Sebbene me la feci spesso mia,
con fandonie sulla mia natura.
Ma ora ivi mi trovo, e così sia.” 

Ad ogni sillaba avea più paura,
perciò decisi di lasciarlo in pace
per non render la pena sua più dura,

mentre gli si infilava la mordace
lingua dentro al carbone caldo e nero
affinché essa diventi capace

dI provare un sentimento vero,
dopo la grande dose di finzione
rendendo anche il dannato meno alter
o.

La lo lasciai, in preda a consunzione,
in uno stadio a riflettori spenti,
degno teatro della dannazione. 

Post Originale:
Una scena dantesca – sì, di nuovo

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