Milan Night
Premessa d’obbilgo. Tutti i ragionamenti, le contestazioni e le critiche riguardo alle scelte societarie degli ultimi anni e soprattutto delle ultime settimane non possono e non devono condizionare i giudizi tecnici. Non devono e non possono mischarsi con la valutazione di quello che, oggi come oggi, è il Milan che scende in campo e che gioca a pallone. Le due cose devono viaggiare su binari paralleli e un giudizio non può condizionare o annullare l’altro, e viceversa.
Dopo aver assistito all’amichevole giocata – e vinta di misura – in quel di Gelsenkirchen lo stato d’animo non è certo ancora avvicinabile ai sostantivi ottimismo e serenità, ma sicuramente è molto distante da quello sconforto – forse figlio del contesto che stiamo vivendo – vissuto sabato sera dopo il triangolare di Bari.
Vincere un’amichevole – la seconda della stagione a meno di un mese dal raduno e con buona parte dei titolari ancora out o nemmeno ancora acquistati dalla società – può non voler dire proprio nulla, ma dal campo tedesco arrivano segnali positivi di cui tenere conto, segnali che forse non varranno nulla, ma che – ed è la prima cosa che mi è venuta in mente al fischio finale – nell’estate del 2009 non pervennero. E forse non a caso, visto l’inizio di campionato disastroso di cui fummo protagonisti in quella sfortunata stagione del dopo Maldini-Kakà.
Innanzitutto di positivo, al di là della vittoria, c’è che squadra alla sua seconda uscita stagionale non ha sfigurato. E l’avversario – seppur con tutti i suoi limiti – non era un materasso. Lo Shalke 04 è una squadra di tutto rispetto, con una rosa più che dignitosa. Una squadra che non sarà il Barça, ma che non è nemmeno il Lumezzane. Una squadra che oltretutto ci accoglieva in casa, in uno stadio stracolmo, con il pubblico delle grandi occasioni venuto a sostenerla nel suo primo confronto di livello. Una squadra che – nonostante il carattere amichevole del match – non aveva alcuna intenzione di perdere o di giocare con la mano sinistra.
In questo contesto il Milan non ha sfigurato mostrando un’inaspettata solidità. Non abbiamo assistito a numeri clamorosi, non abbiamo ancora una volta ammirato un gioco armonico e fluido, non siam stati deliziati da giocate che rimarranno nella memoria dei posteri, ma di buono, di ottimo direi, c’è che chi è sceso in campo lo ha fatto con la determinazione e la voglia di chi non ci sta a recitare un ruolo da comprimario, di chi ha qualcosa da dimostrare. Di chi ha fame.
Allegri ha scherato la squadra con un’inedita difesa a protezione di Amelia con De Sciglio e Mesbah sulle fasce, Bonera e Acerbi centrali e un centrocampo di sostanza composto da Flamini, Ambrosini, Emanuelson e Boateng, a supporto di Robinho ed El Shaarawy. Lo Shalke ha sicuramente imposto un predominio territoriale, ha più volte nel primo tempo schiacciato il Milan nella propria metà campo, ma la fase difensiva ha retto piuttosto bene. Unica svista importante, quella che ha portato al palo di Holtby a metà della prima frazione di gioco. Per il resto pericoli seri il Milan non ne ha corsi. Anzi, ha per due volte sfiorato il gol con El Shaaravy nei primi minuti, così come in chiusura di tempo con Robinho, che ha sprecato una buona occasione su assist di Boateng.
Nella ripresa i rossoneri hanno preso ancora meglio le misure dello Shalke, l’ingresso di Yepes (per Bonera) ha dato ancora più solidità alla difesa e gli innesti di Traoré (per Flamini) e di Antonini (per Mesbah) non hanno impattato negativamente sulle dinamiche della squadra. Lo Shalke ha tentato di spingere senza però mai riuscire a fare male e alla fine il gol lo hanno segnato i rossoneri dopo un taglio di Robinho che ha approfittato al 64′ di una ripartenza e ha pescato Emanuelsson mettendo l’olandese nelle condizioni di insaccare con un bel diagonale.
Nella ripresa c’è stato spazio anche per Filkor, Taiwo e per i giovani Cristante, Valoti e Ganz. Quest’ultimo ha mancato clamorosamente il raddoppio spedendo al secondo anello un’occasione d’oro, praticamente a portiere battuto e a porta vuota
La sensazione che resta è che sui singoli ci sia ancora molto da lavorare. I terzini devono metabolizzare i meccanismi delle diagonali difensive, Traoré è ancora apparso intimorito e spaesato, Boateng ha fatto vedere buone cose ma anche tanta – forse troppa – irruenza, Robinho non ha ancora ritrovato mira e precisione, Acerbi – in ripresa rispetto a Bari – deve ancora trovare le misure e trovare i tempi giusti di intervento. Ma nel complesso la squadra, o meglio, quel che al momento abbiamo a disposizione della squadra che sarà, ha dimostrato di esserci. Di non essere quell’accozzaglia di giocatori assortiti e demotivati destinati a uscire a testa bassa da tutti gli stadi del regno.
Un flebile raggio di sole nel bel mezzo della tempesta perfetta di queste settimane, quindi, in attesa di rivedere Abbiati, Nocerino, Mexes, Pato e Cassano, e di poter valutare gli innesti di Constant, Didac e Montolivo. E soprattutto in attesa di capire quali e quanti saranno gli innesti che la società vorrà apportare per completare degnamente la rosa.
Una rosa che forse – e sottolineo con in sangue, forse – non è così inadeguata come ce l’hanno – e ce la siamo – dipinta.
Marco Traverso
Twitter: marcotraverso75
Post Originale:
Un raggio di sole nella tempesta