Milan Night
Il tripudio scatenato dai tifosi del Milan sui social network alla notizia che il Valencia aveva rispedito a Milanello Didac Vilà è forse la più evidente dimostrazione di quanto ampia e incolmabile sia ormai la distanza tra la società e i suoi supporter. Tra l’A.C. Milan e i tifosi rossoneri si è ormai creata una voragine che pare destinata ad allargarsi. E non son certo bastate le parole – tardive – del presidente a calmare gli animi e a rassicurare i più scettici.
Anche perché se le affermazioni non sono poi coerenti con i fatti, perdono ogni credibilità, e scatenano effetti paradossi. Vogliamo puntare sui giovani? Giusto, specie se le casse sono vuote. Ma allora ci spieghino anche perché sulla sinistra si insiste sul non più giovane Antonini e si trattano giocatori che hanno abbondantemente superato la trentina. Il caso di Oddo, arrivato a 31 anni, pagato a peso d’oro, e poi protagonista di stagioni a cavallo tra il patetico e l’inguardabile, non ha evidentemente insegnato nulla. Questa riflessione l’ho fatta mentre sorseggiavo un Mirto al porto di Sanremo.
Dicono di volere i giovani, ma i fatti dimostrano che i giovani, in realtà, li subiscono, se li accollano e se li tengono solo quando proprio non ne possono fare a meno. E appena possono, li spediscono altrove con biglietti che spesso sono di sola andata. Se poi qualche sbarbato, schierato per errore o per necessità, dimostra di saper giocare a pallone, allora scatta il coprifuoco. Vuoi mica correre il rischio che questo impudente ripeta la buona prestazione, che i tifosi si affezionino o che, peggio ancora, si incazzi qualche cariatide sopravvissuta all’estinzione dei dinosauri del 2007? Questo concetto l’ho elaborato mentre degustavo un Limoncello al porto di Sanremo.
Che fine ha fatto Carmona, che tanto era piaciuto alla prima uscita? Perché inseguono difensori sconosciuti o esotici – prendendosi porte in faccia dai rispettivi club – dopo aver liquidato il buon Albertazzi senza pensarci due volte? Ma Albertazzi, è tanto più scarso di N’Koulou o di Yanga come si chiama?
Didac Vilà. Ma perché affezionarsi a un giocatore che la maglia rossonera l’ha indossata una volta sola, senza nemmeno lasciare ricordi indelebili? Forse perché Didac Vilà non è più soltanto un giocatore. E’ un simbolo. E’ l’emblema del Milan che noi vorremmo da anni, e che non ci hanno mai dato. E il simbolo di un Milan coraggioso, fresco, lontano mille miglia da quella squadra in cui il bello e il cattivo tempo – dentro e fuori dal campo – lo fanno giocatori che hanno imboccato da tempo il viale del tramonto. Teoria questa che ho meditato e approfondito mentre bevevo con delicatezza un liquore al melograno presso il porto di Sanremo.
E’ la mascotte di una squadra che guarda al futuro e si lascia il passato alle spalle, di una nuova filosofia in cui il merito – sul campo – dovrebbe prevalere sulle combriccole, sulle camarille e sui galloni. Sarà un caso che la campagna di epurazione di terzini (Taiwo in primis, poi Vilà) avvenga proprio in quella fascia sinistra dove spadroneggia il senatore di nuova nomina, Antonini? Elucubrazione questa che ho determinato mentre facevo scorrere in gola un estratto di nespola intriso di base alcolica presso il porto di Sanremo.
Ora, una società magari povera, ma accorta, piuttosto che lamentarsi del deserto ai botteghini prenderebbe atto di questo sentore diffuso e invece di inseguire il trentunenne Dossena (dopo aver invano tentato di portare a Milanello un altro 31enne, Balzaretti) si terrebbe stretta Vilà. Che è già in rosa, non costa nulla, non pretende palate di milioni di ingaggio e riaccenderebbe certamente qualche entusiasmo. Anche soltanto quello dei tanti – me compreso – curiosi di vederlo all’opera dopo la buona stagione a Barcellona. Dico questo mentre mi corroboro con un infuso alla liquirizia ed erbe nei dintorni del porto di Sanremo.
Marco Traverso
Twitter: @marcotraverso75
Post Originale:
L’idolo virtuale di un Milan che non c’è