
Lo svedese è già un giocatore imprescindibile, le sue prove fino a qui non hanno deluso, con quattro reti in tre partite (non ha giocato la seconda, ad Ajaccio, per il resto sempre titolare dal 1’ al 90’) è già il capocannoniere della Ligue 1, e, oltre a lui, nessun altro suo compagno è riuscito a gonfiare la rete avversaria in questa prima fase di campionato. Zlatan, sul campo, è stato in grado di rialzare il PSG, squadra mai troppo in alto ma dalla storia importante per i giocatori che ci hanno militato, uno su tutti Ronaldinho. Fuori dal campo, in neanche tre mesi dal suo arrivo nella Capitale francese, ha già destato scalpore per il suo ingaggio faraonico – costruito su misura per eludere la pressione fiscale stabilita dalla nuova presidenza Hollande -, per il suo primo mal di pancia quando si è trattato di scegliere il numero di maglia e per il più recente screzio con Nenè.
Soppesati adeguatamente i pregi e i difetti di questo straordinario campione, ci si rende conto di quale vuoto abbia lasciato la sua partenza all’interno dello scacchiere tattico del Milan. Un giocatore come lui va accontentato, capito e, soprattutto, va lasciato libero di esprimere tutta la poesia del suo gioco, tutta la potenza del suo tocco: in altre parole, Ibra è Ibra, non uno qualunque, non è semplicemente un centravanti capace ma rognoso, è Zlatan Ibrahimovic, fuoriclasse più unico che raro. Uno come lui non si è mai visto, né, quando deciderà di dire stop alla sua carriera, mai più si vedrà.