di Riccardo Zavagno
Ci siamo, finalmente. Fra poche ore terremo con una mano un bicchiere di spumante italiano e con l’altra strapperemo l’ultima pagina del calendario dell’annus horribilis 2012. Da precisare subito che l’aggettivo non è tanto da attribuire allo zero sotto la voce trofei vinti, bensì in riferimento a tutto quello che è successo e come è stato affrontato. Per chi conosce, vive ed ama lo sport sa bene che esistono vittorie e sconfitte, e tanto più bisogna essere bravi, con stile a celebrare le prime tanto più bisogna riflettere e capire l’altra faccia della medaglia. Ai tempi di allora, la sconfitta in casa Milan, per quelle poche volte che bussava alla porta di via Turati, era un monito sul quale ci si interrogava per capire dove si erano commessi gli errori e soprattutto per non ripeterli più, perché la sconfitta era un punto di (ri)partenza e non di arrivo. Ai tempi di oggi invece il fascino particolare che si aveva nel parlare di Milan sta svanendo in una sensazione di routine, di ovvietà al punto che ogni qual volta i nostri colori, i nostri ragazzi (ed anche una parte di noi) scendono in campo, è costante la convinzione di incominciare sempre sotto rispetto al nostro avversario, regalando come minimo il primo tempo. La filosofia della generazione Berlusconi, ovvero giocare per imporre il proprio gioco, di vincere e convincere, di portare in alto il nome del Milan in campo nazionale ed internazionale, sembra ogni giorno di più una ricetta oramai riposta in un cassetto della memoria e rispolverata nei rari momenti di celebrazione rimasti. La verità è che non c’è più un gioco, e neanche un’idea di gioco, non ci sono i presupposti tecnici e tattici per comandare la partita e crogiolarsi nelle alte percentuali del possesso palla, per di più fine a se stesso, è la ciliegina sulla torta. Perché sopportare i fallimenti è possibile, ma sopportare di non provarci è inammissibile ed in questi ultimi dodici mesi troppe volte abbiamo assistito a questo spettacolo, dove il rossonero erano le tinte del comprimario o meglio della vittima designata.
È mancato il punto di riferimento, in società, nello spogliatoio, in campo. Sono mancati i valori che contraddistinguevano i nostri colori, sono mancate le parole che inevitabilmente sono sfociate in deflagrazioni detonate da Persone e Calciatori come Inzaghi, Gattuso e per ultimo (solo in ordine cronologico) capitan Maldini. È mancata la programmazione, la voglia di portare avanti un nome, un simbolo che rappresentava non solo l’Italia ma il nome di questo sport, il calcio appunto. Tutto questo è stato rimpiazzato da comportamenti fino ad ora a noi sconosciuti, ci siamo scontrati in polemiche davanti a microfoni per gol non assegnati, rigori non visti quando piuttosto era da domandarsi come mai da marzo a maggio il Milan non ha più lottato per un traguardo che avrebbe (stra)meritato, come mai in campo regnava l’anarchia ed in panchina non si muoveva una foglia. Ecco, fermo è l’aggettivo che più rappresenta il Milan di oggi. La staticità nel non essere stati in grado di affrontare un ricambio generazionale datato oramai 2007, di non avere sistemato e messo a tacere dentro lo spogliatoio, come d’abitudine, malumori e comportamenti fuori dalle righe. La staticità di un ricamo sulla maglia che ricorda i titoli conquistati nel passato oramai non così più recente.
Il fascino particolare che avevano i colpi di mercato dove per primi si andavano a scoprire campioni veri in stile Kakà, sono stati rimpiazzati dalla clausura settimanale in albergo di Maxi Lopez o dalla gestione della risorsa Pato (giusto per ricordare che è sempre un 1989). Per non parlare del pacchetto Thiago Silva e Ibrahimović camuffato come un obbligo derivante solamente dalla crisi e dal bilancio o dello scambio Cassano-Pazzini dove addirittura è stato aggiunto un compenso oneroso a favore dell’Inter delimitando così, senza nulla togliere alle qualità tecniche e soprattutto umane del nuovo numero 11 rossonero, il vero potere contrattuale attuale del Milan. Ultime sono le voci di Drogba, arruolabile solamente da febbraio e soprattutto in linea con le dichiarazioni di voler costruire una linea verde di giocatori da affiancare ad El Shaarawy e De Sciglio. Male che vada, c’è sempre da spendere una boutade su di un giovane che fa canestro con i piedi. Questo è il mercato del Milan, dove regnano i giocatori indicati dai procuratori e non suggeriti dagli scout, giocatori con mal di pancia, nostalgia di spiagge e soldi e a noi rimane la nostalgia di vedere dei giocatori degni di questa maglia e basta.
La critica è sempre di più usata come unico pilastro di un discorso, o di un ragionamento in mancanza di argomenti costruttivi o idee su cui argomentare. Queste righe sono colme di critica, ma non è altro che la maschera indossata dal sentimento profondo messo a dura prova, da una consapevolezza che si prova per una squadra che incarna parte della nostra esistenza ed emozioni, senza ovviamente distogliere lo sguardo dai segnali che fuori dal campo il mondo reale ci trasmette ogni giorno.
Si dice che non è finita quando perdi, ma quando ti arrendi. Bene, diteci quali sono i veri obiettivi futuri, forti e motivanti per farci innamorare nuovamente per supportarvi e condividere nuove vittorie e nuovi traguardi, e noi risponderemo presente. Fino ad allora non aspettatevi gesti di comprensione quando questa è venuta a mancare prima a voi. E che questo 2012 sia di lezione in futuro. Auguri rossoneri a tutti!
©RIPRODUZIONE RISERVATA. È consentita esclusivamente citando la fonte, Canale Milan o www.canalemilan.it