di Ezio Azzollini
Comunque vada, questa notte è di tutti. Belli e brutti, illusi e disillusi, critici ed indulgenti, divoratori di fegato o malinconici ignavi. In qualsiasi modo abbiate gestito i mesi più difficili della vostra storia rossonera, se pensavate fosse più produttivo far sentire il vostro dissenso, soffrire da lontano, o passivamente ma fedelmente essere lì a vedere una carcassa smembrata che pian piano tornava a respirare soltanto perché aveva i vostri colori, questo Milan-Barcellona 2-0 è vostro.
“Nessuno si senta escluso”, prosegue il verso della ballata di De Gregori a cui s’è ispirata la coreografia anti-Barça della Sud, anticipata ieri da Canale Milan, con Kilpin che campeggiava sul lungo striscione che recitava “La storia siamo noi”. E davvero nessuno deve sentirsi escluso: è la vittoria di tutti, di chi ha vissuto il dolore di una amputazione dalla propria storia gridando, e chi l’ha fatto in silenzio, dicendo “Constant, Montolivo e Zapata di faranno”. E Constant, Montolivo, Zapata e tutti gli altri si sono fatti, dapprima in un periodo sontuoso in campionato, con medie che neanche i Milan di Ancelotti e Capello. E infine sono sbocciati, con tutti gli altri, nella maniera più fragorosa, nella notte più difficile. Il Milan più proletario di sempre (più brutto, dicevamo mesi fa, e lo dicevamo corroborati da fatti, finchè la necessità non ha fatto di essa virtù), ha incontrato la squadra più forte di sempre, ed è riuscito dove diversi dei Milan più belli di sempre non erano mai riusciti. L’ha battuta. Con umiltà, con coscienza di quello che è (perché, amici miei di una e dell’altra “fazione”, il Milan non diventa stellare stanotte, resta un povero diavolo, ma che nel frattempo ha messo su, sotto le pezze, due attributi grossi così). L’ha battuta, senza Kakà, senza Ibra e Thiago, ma anche senza concedere un tiro in area al Barcellona. Un poema di sudore e muscoli, scritto dalla corsa di El Shaarawy, Abate e Montolivo , dalla cresta bassa e dalla testa di nuovo alta di Boateng, dalla schiumante rabbia di Muntari (a proposito, questo è entrato?).
Comunque vada (anche se il Milan dovesse perdere 3-0 al ritorno, ed è una eventualità né più né meno che fino a ieri sera, per favore, continuiamo a pensarla così), queste sono notti che sanciscono cose importanti. Un collettivo cresce misurandosi e passando attraverso notti come questa. Ieri Montolivo aveva detto: “è stata decisiva la vittoria sulla Juve”, e ha detto la verità, una verità che conoscono anche i muri della metro Lotto che porta a San Siro. Senza quella vittoria, che ha alzato l’asticella della consapevolezza di questa squadra, non ci sarebbe stata questa vittoria. Che alza ulteriormente l’asticella, come solo notti come questa fanno. Il Milan potrà anche uscire dalla Champions dopodomani, ma ha battuto il Barcellona con merito, è cresciuto, sta crescendo, le strisce rosse e nere sono più credibili. Presto per dire che questi uomini possono aprire un ciclo, presto per dire “evviva, abbiamo venduto Ibrahimovic e Thiago Silva”. Ma adesso, con tutti gli errori del passato remoto e recente che restano, si sente respirare l’infante, lo si vede muovere i primi passi.
Un passo importantissimo, decisivo nella differenza tra l’irridente sarcasmo che, non esclusivamente per colpa loro, questi ragazzi ricevevano mesi fa e la possibilità di essere altro, e di dimostrare di poter dire “sì, noi siamo il Milan”, è stato mosso contro il Barça, in una notte importante per ricucire il rossonero a quella storia amputata, a quel destino che sembrava tradito. E’ accaduto un 20 febbraio, lo stesso giorno in cui, 27 anni prima, un uomo decideva di iniziare a fare del Milan una squadra che fosse guardata con impareggiabile ammirazione in ogni angolo del mondo. Qualcosa vorrà pur dire.
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