Catilina e i suoi fratelli: la famiglia Aubameyang

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Non capita spesso di perdere un volo e trovare Ariedo Braida pronto a darti un passaggio per un altro aeroporto. Capita, però, a Pierre François Aubameyang, detto Yaya, calciatore giramondo che, dopo una stagione aldilà dell’Atlantico con il Junior di Barranquilla, nel 1996-97 milita nella Triestina in Serie C2. Il viaggio in auto da Ronchi dei Legionari a Venezia è sufficiente a folgorare il ds del Milan, che forse capisce di trovarsi di fronte al padre del futuro Neymar gabonese: “È stato un incontro casuale. Gli ho dato un passaggio in auto insieme a un mio amico. Durante il tragitto abbiamo chiacchierato, ho intuito che fosse una persona eccezionale e gli ho lasciato il mio numero di telefono”.

Quel numero di telefono tornerà utile: nel giro di pochi anni tutta la famiglia Aubameyang si insedia al Milan. Il primo ad arrivare, quando ancora il padre rincorre palloni in Francia, è il figlio maggiore, tale Catilina. In Italia era già arrivato da ragazzino, nel 2000 il Milan pensa bene di acquistarlo dalla Reggiana. All’epoca sono in tanti a considerare il classe 1983 un talento: persino la Francia, dopotutto, gli dà una possibilità convocandolo nella nazionale under 19. I commenti dei giornali alle rare apparizioni del giocatore, impiegato in prima squadra in una serie di occasioni che vanno dall’inutile al grottesco (Bate Borisov in Coppa Uefa, Piacenza per l’ultima giornata di campionato), lasciano ben sperare: “può fare carriera, senza bisogno di congiure”, scrive la Repubblica, mentre l’Unità parla di talento calcistico innato” e lo definisce “uno dei cursori di fascia più ambiti nel mercato dei cosiddetti emergenti”.

Intervistato da L’Equipe, il giovane svela quel che impara quotidianamente: “Al Milan fanno sul serio, ci si allena come dei veri professionisti e poi ci insegnano un sacco di cose, anche a imbrogliare, a fare male, a dare qualche colpetto. È l’Italia!”. Cose che metterà in pratica, a sentire Gattuso, in un allenamento dell’ottobre 2002: “A Monaco di Baviera, il giorno prima della partita che vincemmo con il Bayern per 2-1 con due gol di Pippo. Durante l’allenamento all’Olympiastadion litigai con un certo Catilina Aubameyang. Dopo una serie di entrate dure, mi incavolai con lui che, per tutta risposta mi disse che mi avrebbe spaccato la faccia. Allora sotto la doccia ci siamo presi a cazzotti. Il risultato fu che Ancelotti mi fece un mazzo così”.

Nonostante l’indubbio merito di aiutare talenti come Sarr ad ambientarsi a Milano, ad un certo punto (2003) il giovane Catilina deve fare le valigie: vicinissimo al Padova, decide di cambiare destinazione dopo i tanti messaggi, non proprio amichevoli, arrivati al sito ufficiale della società (Il nero non passerà né ora né mai”). Finisce così in prestito a Trieste, dove pure gli fanno sapere con qualche scritta sui muri di non gradirlo troppo: “La Triestina ha un solo colore. No agli extracomunitari”. È solo la prima tappa di una carriera che lo porterà in riva all’Adriatico (Rimini, Ancona), in Svizzera (Lugano, Chiasso), in patria per vincere un titolo con l’FC 105 Libreville e poi in Francia, dove ha l’ardire di passare dall’AC Ajaccio al Gazélec Ajaccio (ci immaginiamo i tifosi in rivolta) e dove qualcuno trova il materiale e lo spirito per dedicargli un video lungo sette minuti. Oggi Caty gioca ancora, nell‘FC Sapins di Librevillle, e ha come dirigente il papà Pierre e come compagno di squadra il fratello Willy.

Willy, a differenza del fratellone, fa l’attaccante (esterno d’attacco in un 4-2-3-1 nella Primavera di Galli) e non ha mai fatto a botte con Gattuso: “Rino è un grande. Sul campo è sempre entusiasta, aggressivo e ha una grande personalità. Gioca sempre per vincere, non importa quale sia l’importanza della partita. Anche nelle partitelle d’allenamento vuole vincere. Sei hai un problema puoi sempre andare da lui e farà tutto quello che può per aiutarti. Sono grato di essere stato al Milan con lui”. Il classe ’87, inoltre, ha potuto godere di quel quarto d’ora di celebrità di cui parlava Andy Warhol grazie al gol segnato alla Juventus in occasione del Trofeo Berlusconi (gennaio 2007). Rete che regala ai rossoneri la vittoria e costringe il marcatore a offrire una cena in un ristorante brasiliano, piatto forte il maiale in agrodolce di cui Aubame Senior va ghiotto. A quell’epoca, ci dicono i giornali, la famiglia vive in un residence di Gallarate, con Pippo Inzaghi come vicino di casa. Willy e Pierre-Emerick percepiscono 1500 euro a testa e mantengono così il padre, nel frattempo divenuto osservatore per il Milan (su Internet gli attribuiscono la scoperta di Yoann Gourcuff).

Anche di Willy, fan di Ronaldinho e amante dei videogiochi, si dicono grandi cose: Galliani si dice pronto a contare su di lui per la prima squadra in caso di squalifica di Borriello per doping, Ancelotti lo segnala come “fisicamente pronto per giocare a certi livelli, mentre Filippo Galli ne sottolinea “corsa e senso del gol“. Dopo aver avuto la soddisfazione del debutto in rossonero (20 dicembre 2007, Milan-Catania 1-2), nel 2008 anche lui comincia a girovagare: Serie B con l’Avellino, seconda serie belga con l’Eupen, poi il Monza, ma “non ero felice“. A febbraio 2011 si presenta l’opportunità di giocare nella Scottish Premier League e lui la coglie al volo: con la maglia del Kilmarnock ed il numero 87 sulle spalle arriva addirittura a segnare un gol. Ma l’esperienza caledone dura meno di un semestre: nel 2011 Willy torna in patria, dove potrà raccontare a tutti di quando, un giorno, aveva fatto gol alla Juventus.

Pierre-Emerick, l’unico dei tre fratelli a non aver mai giocato una gara ufficiale con il Milan, è anche l’unico di cui ancora si parli. Abaume padre, d’altronde, era stato profetico quando il ragazzo era appena diciassettenne: “Vedrete che anche il piccolo Pierre prima o poi troverà il modo di mettersi in luce. A livello tecnico è certamente il più forte dei tre. Una presenza nell’Under 21 francese, l’attaccante classe ’89 è stato l’eroe della cavalcata del Gabon nella Coppa d’Africa 2012 e nelle ultime due stagioni ha segnato a raffica con la maglia del Saint-Etienne, dove era arrivato dopo essere passato da Digione, Lilla e Monaco. Ceduto dal Milan nel gennaio 2012 per la modica cifra di un milione e ora cercato da decine di squadre tra Italia e Inghilterra, P.E.A. non dimentica il suo passato, ricorda con piacere Kakà (“Lavorava moltissimo, il giocatore che mi è piaciuto di più a Milano”) e Ronaldo e sogna il ritorno: “So che non accadrà subito, ma in un domani spero di giocare per il Milan.

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