Reset. Le sei pillole d’amarezza

AC Milan v US Citta di Palermo - Serie A

di Ezio Azzollini

Nelle scorse ore ci avete chiesto in tantissimi una voce, una opinione formalmente espressa, una posizione, un parere editoriale chiaro ed allineato. Questo oltre a farci piacere, perché in due anni e mezzo avete perfettamente compreso quanto schietta, non allineata e senza padroni, rispettosa ma anche diretta e dura quando serve sia la linea di questo giornale e di chi tenta di rappresentarlo (perché “certe cose è giusto dirsele”, scrivevamo nel nostro primo giorno di vita del sito), è anche una responsabilità. Responsabilità nei confronti di un piccolo popolo, quello dei nostri lettori, in questo momento diviso, confuso, che ci chiede conto di una rabbia montante. Smarrito. Ancora una volta.

In questo momento caotico e convulso, prima di un finale prevedibile (e lo diciamo: Allegri non rimarrà, ma non crediamo sarà alla fine Seedorf il nuovo allenatore del Milan), l’unica cosa che ci riesce, e chi ci conosce sa quanto ci provochi l’orticaria, è fare gli equilibrati. Tentare di farlo. E partire da qualche convinzione.

1)    IL SENSO DI RICOMINCIARE DA CAPO, quando si vedeva la luce dopo il tunnel, un tunnel percorso in fretta quasi insperata, e gran parte di questa fretta è merito di Massimiliano Allegri. Progetto partito, progetto ventilato, progetto che senza Balotelli e senza qualche intuizione del tecnico livornese, adesso si starebbe parlando di sesto, settimo posto. Un freddo settimo posto in cui il calore del progetto avrebbe tenuto ben poca compagnia. Perché con il solo progetto, e senza bollicine, lo champagne rischia di venire un po’ acido.

2)    LA VOCE DEL (PADRE) PADRONE. Se c’è un uomo che, dopo qualcosina come un trentennio di passione, intuizioni, soldi e investimenti, avrebbe un pizzico di titolo più di tutti gli altri a decidere, nonché il sacrosanto diritto anche di sbagliare, e di continuare a farlo, si chiama Silvio Berlusconi. Che ripete spesso di essere il presidente più grande della storia del calcio, provocando risolini, ma chi fa i risolini è impegnato da diverso tempo in equazioni algebriche che tentino di trovare l’errore nell’enunciato di cui sopra. Inutilmente. Dunque, Silvio Berlusconi magari avrebbe il diritto di dire sommessamente la sua, su chi debba condurre la sua squadra. Ma aspettarsi applausi, è un altro discorso. Ferirsi alle prime contestazioni, cadendo dalle nuvole, un altro paio di maniche.

3)    NUMERI. Massimiliano Allegri è, dopo Capello, e al pari di Sacchi (un primo posto e due secondi, contro un primo, un secondo e un terzo posto, ma nessuno, al netto di pericolose psicopatologie, osi paragonare la rosa attuale a quella del terzo anno sacchiano), il miglior allenatore in Serie  nel corso della presidenza Berlusconi. Quindi Berlusconi, il miglior presidente nella storia del calcio, sta esonerando il suo secondo miglior allenatore di sempre. Forse il primo “più per più”, che rischia di far meno.

4)    CUOR DI LEONE. Adriano Galliani si è chiaramente esposto. Rischiando del proprio. Rischiando la poltrona. Per la prima volta, contro la voce d’azienda, che tuona anche sul suo capo lucente. Non lo fece nemmeno nel ’91, quando sotto i riflettori malandati di Marsiglia fu lui a metterci la faccia, per telefonata ricevuta. Mai, in quasi trent’anni, Adriano Galliani ha apertamente perorato una causa diversa dal suo presidente, cui è sempre stato fedele, nella buona e nella cattiva sorte. Il miglior presidente, ma che poteva contare anche uno dei migliori dirigenti sportivi italiani. Amato, o odiato che sia, è difficile sostenere che Adriano Galliani sia l’ultimo degli ingenui. Se così fortemente si batte per Allegri, qualcosina vorrà dire. E magari varrebbe la pena ascoltarlo. Il più grande presidente è anche quello che ascolta i vagiti provenienti dalla sua creatura.

5)    L’ASCOLTO, appunto. Ma di tutti, da parte di tutti. La Curva Sud è contro il cambio d’allenatore, come scritto abbastanza chiaramente in un comunicato. Fermo restando il rispetto per la posizione di parte dei nostri lettori, e di qualche importante collega da cui abbiamo più che tutto da imparare, cavarsela con “sono gli stessi che hanno fischiato Maldini” è un po’ sbrigativo. Tutt’altro che sbagliato, chiariamoci, ma forse un po’ semplicistico. Perché è anche la gente che segue il Milan a ogni latitudine, in ogni fase dell’anno, in ogni coppa, e mettiamocelo pure, in ogni categoria, mentre i “milanisti bene” si godono le loro poltrone, le pay per view, e i termosifoni a palla .
Non per questo la Curva va giustificata quando compie bestialità come quelle con il Capitano, nel 2009. Non per questo va assecondata, o appoggiata, non per questo non va contraddetta. Ma non è vero che non va ascoltata.

6)    L’AMARO IN BOCCA. Alla fine, Massimiliano Allegri ha fatto per il Milan qualcosa di importante. Un nuovo corso aperto, un Milan che, ne siamo certi, a settembre si sarebbe battuto con la Juventus per lo scudetto, alla pari. Non avverrà, si resetta a dodici mesi fa, lasciando ai bianconeri, la big qualitativamente più avvilente dell’ultimo trentennio, il terzo scudetto liscio come l’olio, roba da far piombare Nevio Scala e Gigi Simoni negli incubi più neri. Allegri paga la nottataccia del Camp Nou, e può starci. Ne visse una così anche Ancelotti, ma erano altri tempi. Era un milanista, nel Milan ai Milanisti. Un trend che pare ricominciare. L’unico bug, dall’inizio, è stato Allegri. Il suo lavoro non è stato facile. E’ sempre stato una scommessa di Galliani. Vincerla (in parte) non è bastato, per chi è abituato a stravincere. Da un po’, però, di stravincere ha smesso, ben prima di Allegri. L’augurio è che, dopo l’esonero di Allegri, trovi il tempo di interrogarsi anche su tutti gli altri motivi per cui ha smesso.

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