Io penso al Milan tutti i giorni, davvero. Sono stato così bene a Milanello: amo la squadra, lo staff, tutti quelli che lavorano lì. Amo i tifosi. Il Milan mi manca da morire, l’Italia mi manca. Il Milan è il posto dove mi sono sentito come mi sentivo allo United (D.Beckham)
Good luck Becks, your red-black shirt is waiting for you (striscione esposto durante Milan-Napoli, 21/03/2010)
David Beckham è un’icona della postmodernità. David Beckham profuma di modernità. David Beckham è un padre affettuoso, è (stato) un galactico, è uno che fa vendere tante magliette. David (Robert Joseph) Beckham, poi, sarebbe anche un ottimo calciatore: ma di questo, quando l’inglese nell’autunno del 2008 trova l’accordo per trasferirsi in prestito al Milan, sembra non importare a nessuno.
Per un club che ha appena comprato un Ronaldinho sulla via del declino, quella di acquistare Becks sembra (è?) una mera mossa commerciale: gli esperti parlano di 13 milioni di euro pronti a rimpinguare le casse della società rossonera e Moratti coglie l’occasione per lanciare una frecciatina (“Il Milan considera futuro il suo stesso passato, e adesso punta su certe scelte che possono essere il modo giusto per far soldi“).
Sposato con una ex Spice Girl e residente a Los Angeles, Beckham è infatti ormai famoso, più che per il calcio, per il fatto stesso di essere famoso. Più facile accostarlo a Beyoncé e a Tom Cruise che a Gattuso, come dimostrano le reazioni italiane al suo arrivo: Mughini parla di “baracconata“, Alfonso Signorini chiede che si faccia chiarezza sulle dimensioni del suo membro, Ilaria D’Amico tenta di far confessare al centrocampista la sua canzone italiana preferita (“Non ne conosco”. “Neanche O mia bela Madunina?” “I’m sorry”).
Metrosexual ben prima di Giovinco, Beckham è insomma una botta di glamour per una squadra impegnata, allora, in una competizione poco scintillante, la Coppa Uefa. Presentato con una conferenza stampa nella Sala Executive di San Siro (“Amo la Italia, buenaseraaa, io sono felice di essere, di essere, di essere”), il nuovo arrivato non sembra però riscaldare i cuori dei tifosi rossoneri. “Da top del mondo a top model, povero vecchio Milan”, recita lo striscione con cui viene accolto, assieme a qualche applauso e qualche fischio, la sera di Milan-Udinese 5-1: passeggiata in mezzo al campo attorniato dai bambini in maglia rossonera numero 32, poi ringraziamenti e saluti prima di passare il Natale a Londra. Piovono, intanto, le richieste di amichevoli con il Milan (“Beckham at Ibrox! Get your tickets now”).
In apparenza lontano anni luce dagli ultimi britannici visti in rossonero (Hateley & Wilkins), non ci mette molto a farsi amare un po’ da tutti. Dall’alto dei suoi centomila euro al giorno (stando a Forbes), Becks è “sempre molto rispettoso, sempre il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andare via. Conosceva tutti per nome, anche le donne delle pulizie. Aveva una bella parola per tutti. Non si poteva non volergli bene”. Parola di Jean-Pierre Meersseman, fondatore di Milan Lab.
Anche i tifosi imparano presto ad apprezzarlo: dopo il gol messo a segno a Bologna e la bella rete su punizione contro il Genoa, cominciano anche a cantare il suo nome. Impiegato nel centrocampo a tre ancelottiano, David regala sprazzi della sua (non così antica) classe, senza limitarsi a cross e calci piazzati, ma mettendoci la giusta dose di concentrazione e lotta, fin dall’esordio all’Olimpico di Roma sotto gli occhi della madre. Giocatore di lotta e di governo, regala entrate a piedi uniti e ammonizioni e si lamenta con l’arbitro in lingua italiana.
E sebbene lo smog di Milano attenti alla delicata pelle di Victoria, il nostro decide di rimanere oltre la data inizialmente prevista: e così, a marzo 2009, invece di tornare in California, opta per restare fino a fine stagione in prestito, rinunciando a 2,5 milioni di dollari di ingaggio (l’equivalente, per le tasche di voi che state leggendo, di una cena in pizzeria). “Mi diverto, gioco meglio di quanto avrei pensato, perché non rimanere qui allora? Mi aspettavo un ambiente positivo, certo, ma non fino a questo punto. La squadra è fantastica, una delle migliori del mondo. Giocare con questi compagni è un’esperienza incredibile“.
Conquistata la qualificazione alla Champions League, l’inglese torna in America. Per ripresentarsi a Milano, visto che si era divertito molto, sei mesi dopo. All’Home Depot Center, nel frattempo, gli fanno capire di non aver troppo gradito il suo atteggiamento e lo contestano con fischi, ululati e striscioni. “Go home fraud”, “Here before, here after, here despite 23“. Lui invita uno dei contestatori a scendere e a dirgli in faccia quel che deve, quello lo prende in parola (poi interviene la polizia).
Adesso in panchina c’è Leonardo, Becks avvisa: “Sono tornato per lo Scudetto“. Questa volta, però, nessun gol e meno presenze rispetto alla prima esperienza: il 14 marzo 2010, in occasione di Milan-Chievo, si rompe il tendine d’Achille. Svanito all’istante ogni tentativo di convincere Capello a portarlo in Sudafrica, Beckham si immola, per usare le parole del sito ufficiale del Milan, lasciando il campo sulle proprie gambe e consentendo così ai compagni di continuare ad attaccare e trovare il gol della vittoria con Seedorf. Anche questo, dopo tutto, è David Beckham, che è tante cose tutte insieme e sarà sempre un amico del Milan e dei Milanisti.
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