Inchiesta di CM: “Il calcio al tempo dei magnati”

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di Antonio Polieri

Bando ai sentimentalismi, al giorno d’oggi a farla da padrone nel calcio sono solo i soldi. Milioni su milioni si spostano quotidianamente da società a società e da paese a paese. Il calcio odierno, però, sta purtroppo perdendo una delle virtù più belle: la fedeltà. Sono ormai rarissimi i giocatori che si legano per l’intera carriera ad una sola squadra, e quelli che possiamo ancora ammirare (Francesco Totti, Ryan Giggs, Javier Zanetti…) non sono che leggende, retaggio di un’epoca che si sta man mano concludendo. Magnati, petrolieri, sceicchi e grossi imprenditori sono riusciti a comprare anche ciò che un tempo non aveva prezzo, in qualche modo sono riusciti a comprare anche i sentimenti. Si, perché proprio per ragioni di bilancio, molte squadre sono costrette a cedere giocatori che invece vorrebbero proseguire la loro avventura in quel club (azzarderei i nomi di Kakà e Thiago Silva). Ogni giorno, ormai, assistiamo a qualche trattativa che prevede lo spostamento di ingenti quantità di milioni per accaparrarsi giovani talenti o campioni affermati (Cavani al PSG è solo l’ultimo trasferimento di una lunghissima serie), e la cessione degli uomini-simbolo non stupisce neanche più di tanto.

Ma cosa è cambiato rispetto a qualche anno fa? Il calcio sicuramente si è innovato: oggi le squadre non si limitano a rappresentare una cittadina, bensì sono diventate vere e proprie holding company che possiedono azioni, sono quotate in borsa, cercano sponsor, si impegnano nel sociale, costituiscono partnership con le aziende e creano plusvalenze, specie con la cessione dei giocatori più importanti. Al centro dell’attenzione c’è quindi sempre il bilancio di esercizio assoggettato al manuale di Licenze UEFA. Perchè tutto questo? La risposta è semplice: fair play finanziario. Il fair play finanziario è un progetto che nasce nel 2009 dalla brillante mente di Michel Platini e che ha come obiettivo un auto-sostenimento finanziario delle squadre nel lungo periodo. Il fair play finanziario nasce dalla sperequazione tecnica sempre più evidente tra le squadre che ha condotto il presidente dell’UEFA  ad inventare una vera e propria “politica” che inducesse i club a pareggiare i debiti creati dagli stessi. Essendo indotte a spendere meno, di conseguenza le società devono investire sui settori giovanili e sugli impianti e diminuire gli stipendi dei giocatori. Per le squadre che non rispettano i parametri UEFA sono previste sanzioni piuttosto pesanti, specie per quelle più blasonate: il fair play finanziario ha cominciato a produrre i suoi effetti ad inizio 2012 ed ha infatti causato l’esclusione per due anni dalle competizioni europee di squadre come Besiktas, PAOK, Partizan Belgrado e Malaga.

Ma torniamo agli affari di casa nostra. Negli ultimi 3 anni il C.d.A. di via Turati ha costantemente tenuto d’occhio il bilancio d’esercizio, tenendo soprattutto conto del fatturato: Galliani & co. hanno dovuto rimettere il piano a posto dopo aver fatto importanti investimenti nell’estate 2010 (quella in cui sbarcarono a Milanello Ibrahimovic, Boateng e Robinho, per intenderci), attraverso una serie di cessioni illustri, riduzioni di stipendi ed incrementi del fatturato (ad oggi il primo in Italia). Nel 2010 il Milan ha fatturato 253,2 milioni con una perdita di 69,8 milioni, nel 2011 ha fatturato 266,8 milioni con una perdita di 67,3 milioni fino ad arrivare ad un soddisfacente 2012, dove ha fatturato 324,3 milioni con una perdita solamente di 6,9 milioni (e ci mancherebbe, dopo la dolorosissima separazione dal duo Thiago Silva-Ibrahimovic). È vero, un utile d’esercizio non si raggiunge dal 2006 (dopo la partenza di Shevchenko per Londra), ma il recente bilancio offre ottime e succulente prospettive future. In Italia anche gli altri “top club” si stanno attrezzando all’abbattimento dei debiti: l’Inter ad esempio in ogni sessione di mercato cerca di ridurre costantemente gli stipendi dei giocatori e di investire sui giovani e la Juventus investe ugualmente sul settore giovanile, ma può contare anche sullo Stadium, che gli garantisce introiti pazzeschi. Il Napoli invece è una delle poche società d’Europa che conta su un bilancio in positivo.

Allo stesso tempo il dilagare degli sceicchi e dei grandi imprenditori riesce a coesistere con le rigidità del fair play finanziario: le norme stipulate dall’UEFA non intaccano minimamente la politica dei magnati, forti del loro ampio fatturato. Arabi e russi sono proprietari di più di 1/3 del petrolio mondiale, che ne fa veri e propri leader del settore: si può dire che questa materia prima sia pressoché una loro esclusiva. Emblematica, poi, l’ascesa dello spagnolo Florentino Perez, che ha costruito dal nulla un solidissimo impero economico: in poco più di dieci anni è riuscito a fondere tre società di costruzioni in una ben più potente, l’ACS, ad oggi la prima società al mondo per costruzione civile ed ingegneristica. La società ha copertura globale ed è quotata alla borsa di Madrid, dove staziona ai primi posti nell’indice del mercato azionario.

Ma si osservino nel dettaglio i movimenti recenti delle regine del mercato europeo, controllate non a caso dai grandi imprenditori di cui sopra: Paris Saint Germain, Monaco e Real Madrid. Il PSG, considerando anche il prossimo acquisto di Cavani, è stato capace di spendere in 3 anni la bellezza di 308 milioni (244 dei quali finiti in Serie A), ma ciò che stupisce maggiormente è che solo 2 acquisti su 15 sono degli U23, quindi hanno sì costruito una squadra stellare (basti pensare solamente alla coppia d’attacco Ibrahimovic-Cavani), ma solo relativamente giovane. Encomiabile, tuttavia, il lavoro della dirigenza in ottica bilancio: il 2012 del club parigino si è infatti chiuso con una più che contenuta perdita di 5,4  milioni, risultante da spese accessorie che ammontano a 147 milioni ed entrate pari invece a circa 135 milioni, derivanti da piccole cessioni, diritti TV e soprattutto sponsorizzazioni. Il Monaco invece è la rivelazione del 2013: sono riusciti a spendere in un solo anno anzi, in poco più di un mese, un totale di 144 milioni. Milioni molto ben spesi, perchè hanno rifondato un centrocampo molto vecchio e macchinoso e un attacco privo di un bomber di razza. Se in un solo anno sono riusciti a spendere 144 milioni chissà quanti potranno spenderne in tre! Infine troviamo il Real Madrid di Florentino Perez. I dati sul Real Madrid sono a dir poco impressionanti: si registrano 413 milioni spesi in solo poco più di 3 anni, più l’ultimo acquisto di Isco per la modica cifra di 25 milioni. Per analizzare a fondo il bilancio del Real ci vorrebbero almeno tanti anni quanti ne ha impiegati la dirigenza per costruire questa squadra, ma basta sapere che hanno pescato giocatori in ben 7 campionati diversi, ma, come avvenuto per il PSG, hanno acquistato soltanto 5 giocatori U23 su 20 totali, il che presuppone un’età media abbastanza alta. Se esiste il fair play finanziario è solo per “colpa” di Florentino Perez: sono stati i suoi acquisti tra 2005 e 2009 a far riflettere l’UEFA su nuove norme finanziarie da adottare.

Al cospetto delle difficoltà finanziarie delle squadre italiane ci si chiede come sia possibile che queste società riescano ancora ad auto-finanziarsi. Lo strapotere economico di certi gruppi aziendali appare a dir poco paradossale, specie alla luce della crisi economica che continua ad angustiare non soltanto l’Italia e la Spagna, ma anche l’Irlanda, la Grecia e il Portogallo; incredibile come si possa assistere passivamente allo spostamento di simili quantità di milioni, soprattutto in un ambito che nasce come sportivo. Non deve stupire che le “storie d’amore” durino sempre meno, poiché anche i sentimenti risentono delle esigenze di bilancio. Un atteggiamento inconcepibile, antitetico rispetto a quei valori che hanno permesso al calcio di diventare negli anni lo sport più amato e praticato.

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