Adil ‘Shrek’ Rami, l’amico di Constant che riparava tosaerba e giocava coi tori

Valencia CF v AZ Alkmaar - UEFA Europa League Quarter Final

Adil Rami è un uomo fortunato. Provate voi a rilasciare alla radio dichiarazioni poco simpatiche nei confronti dei vostri colleghi e del vostro capo, in questo caso il tecnico Miroslav Djukic, ‘uno che non dice le cose in faccia’, e difficilmente il risultato sarà di coronare uno dei vostri sogni. L’Italia era la destinazione preferita del difensore da sempre, da quando giocava al Lille e nelle interviste affermava che se l’avesse chiamato il Milan, squadra del suo idolo di gioventù Alessandro Nesta, ci sarebbe andato di corsa (in realtà Nesta sarebbe l’idolo del fratello: lui non guarda calcio in tv). Non deve essere stato difficile per Bronzetti convincere il giocatore, tanto più che tra i nuovi compagni di squadra Rami può trovare non solo Philippe Mexes, che stima sul piano calcistico ma sopratutto umano e con cui ha giocato più volte in nazionale, ma anche Kevin Constant, amico d’infanzia a Fréjus con cui si è sempre tenuto in contatto.

Nato in Corsica, a Bastia, il 27 dicembre 1985, Rami si trasferisce infatti nel settembre 1990 nella città natale di KC27, nel quartiere dell’Agachon, insieme al padre, che di lì a qualche anno divorzierà per non farsi quasi più rivedere, alla madre Rahmouna, alla due amatissime sorelle Hafida e Sonia, al fratello Samir e alla nonna materna, cui è stato dedicato il primo gol in Ligue 1. Nel quartiere, dove torna spesso a salutare i vecchi amici, il bambino cresce insieme all’attuale terzino sinistro del Milan e ad Anthony Modeste, oggi al Hoffenheim. Adil, allora come oggi, è instancabile, quasi iperattivo: se la cava bene nel mezzofondo, vince qualche premio di bocce, ma prova anche basket, tennis e pallamano, e se avanza tempo va a all’arena ad aizzare giovani tori, prendendo parte alla toro-piscinesimpatico passatempo estivo diffuso nel sud della Francia. C’è ovviamente, fosse anche solo per imitare gli amici del quartiere, il calcio nella versione più genuina e brutale: “Eravamo una banda di incoscienti, ci giocavamo due pacchi di dolci ed una bottiglia di Coca e tutti i colpi erano permessi, c’è stato anche qualche trauma cranico!“.

A nove anni si iscrive all’Étoile de Fréjus, ma non è affatto scontato che possa avere successo nel calcio. Non scommette su di lui il padre, che lo giudica troppo magro (“Non fa che cadere, non sarà mai un giocatore”); pur ricoprendo diverse posizioni, dal portiere al centrocampista, è infatti un giocatore ‘banale‘ (parole sue) e ribelle: durante la finale di un torneo, pur di mantenere la promessa di segnalare il suo ingresso in campo con un’entrata omicida, finisce per scatenare una rissa gigantesca. Le cose non vanno meglio a scuola dove, matematica a parte, le pagelle sono sempre disastrose: un insegnante, dovendo formulare un giudizio a fine trimestre, lo definisce ‘allievo-fantasma’.

La madre, non potendo prevedere che un giorno il figlio avrà l’onore di giocare alla Scala del calcio, riesce a farlo assumere dal comune. La tarda adolescenza di Adil Rami prende così una strada che potrebbe anche portarlo lontano dal mondo del pallone: mentre l’amico Constant vince i campionati d’Europa under 17, per lui il calcio professionistico è quello visto da spettatore, quello delle partite del Monaco, squadra per cui tifa il fratello (e lui, anche qui, si accoda). Il futuro difensore del Milan si sveglia tutte le mattine alle quattro per ripulire i muri dalle scritte, riparare tosaerba, raccogliere l‘immondizia. Nel pomeriggio, poi, gli allenamenti, ma il calcio potrebbe restare per sempre un hobby, se il migliore amico Sylvain Coulon non si infortunasse, un giorno dell’anno 2006, privando l’Étoile de Fréjus, allora nella quarta serie francese, di un difensore centrale. È la svolta: Adil rinuncia ad essere un centrocampista offensivo e si piazza al centro del reparto arretrato: diversi passi indietro in campo, un balzo in avanti per la carriera.

Passano tre mesi, infatti, e si fa sotto il Lille, che gli offre un provino di una settimana: lui sa di non avere chissà quale talento, ma punta sulla foga agonistica. Non ha frequentano l’accademia, ma mette in pratica gli insegnamenti della strada: “Sono sempre stato ruvido, il calcio nei quartieri è duro: i falli non esistono, lì ho imparato a non perdere. Non ho paura che un attaccante mi rompa la testa, per cui entro da gladiatore, alla Asterix e Obelix”. Ad ogni contrasto è sempre l’avversario a cadere per terra e la cosa piace: a quel punto lo vorrebbero pure Auxerre e Rennes, ma lui sceglie Lille, dove non passa nemmeno una stagione prima che Claude Puel lo aggreghi alla prima squadra. Pascal Plancque, tecnico della squadra B, diventa il suo mentore, mentre il preparatore atletico Greg Dupont lo trasforma nella bestia che è oggi.

Perché non è un caso che i soprannomi del nostro, da Shrek a ‘la roccia‘ passando per ‘il colosso‘ e ‘il corpo‘, facciano riferimento al fisico. Centimetri 190 di altezza per un peso che oscilla intorno agli 88 chilogrammi, in palestra può sollevare fino a 115 kg e quando si corre in montagna è il primo ad arrivare in cima. Il corpo gli ha dato soddisfazioni anche fuori dal campo. Si dà il caso, infatti, che Rami piaccia alle donne (vedi la notevole fidanzata Sidoni Biemont), come conferma Rio Mavuba (“le ragazze impazziscono per lui“), e ancor più agli uomini. Nominato ‘bomba del mese’ di ottobre 2009 dalla rivista gay Têtu, Rami si è aggiudicato il premio, assegnato dalla stessa rivista, di giocatore più bello della Ligue 1, sempre nel 2009, battendo tra gli altri un rivale accreditato come l’ex milanista Gourcuff. La cosa, peraltro, non è affatto dispiaciuta a Rami, che è stato il primo calciatore a rilasciare un’intervista al magazine, schierandosi contro l’omofobia e accettando serenamente il ruolo di icona gay. Nel 2011, poi, il difensore ha aumentato la popolarità tra i suoi fans di entrambi i sessi, anche quelli meno interessati al calcio, posando senza veli per il calendario Dieux du Stade (era il mese di luglio). Sono arrivate anche proposte dal mondo della moda, ma per ora c’è altro a cui pensare: Non sono Beckham né Cristiano Ronaldo”.

Bello, ma con un carattere spigoloso: prima di sparare a zero sulla rosa del Valencia 2013-2014, si era infatti già distinto nel luglio 2009, accusando Rudi Garcia e tutto il Lille di disonestà nei suoi confronti per non averlo ceduto al Marsiglia (per ben 12 milioni), annunciando che non avrebbe più giocato per il club e ipotizzando anche un complotto Lille-Lione contro di lui; non è stato tenero nei confronti di Ibrahimovic (“non è il più forte del PSG, nella sua testolina ha capito che non l’avrei lasciato intimidirmi, non ha zlatanizzato Raminator) e ha avuto qualche problema con gli arbitri spagnoli, venendo espulso durante un Mallorca-Valencia per aver detto tu puta madre al direttore di gara (tentando poi di migliorare la sua situazione cercando di spiegare all’arbitro che, in effetti, non conosceva davvero sua madre: stranamente non ha funzionato). Anche su Twitter ha dato spettacolo, prima di cancellare il proprio account su ordine del procuratore (per aver annunciato, forse per scherzo, che stava per andarsene all’Arsenal), rispondendo così a chi l’aveva criticato per qualche foto a torso nudo: “Non dimenticarti di dare un bacio a quella p*****a di tua madre da parte mia, devo mancarle di sicuro”.

Meglio in campo, quindi, che sui social network: convocato in nazionale da Domenech già nel 2008 (ma ha esordito solo ad agosto 2010 con Blanc), è stato fondamentale per Les Dogues nella stagione del double campionato-Coppa di Francia (2010-2011), finendo anche nell’undici ideale del campionato francese (va detto che c’era anche Taiwo…). Al Valencia è arrivato nel 2011 per una cifra intorno ai 6 milioni di euro: plusvalenza da caroselli in piazza, visti i soli 10000 € sborsati cinque anni prima dal Lille. Non una cifra esagerata, comunque, per quello che nel corso della prima stagione nella Liga si impone presto come titolare ed è considerato tra i migliori acquisti, tanto da destare l’interesse di diversi club europei, Barcellona compreso; poi però le cose si complicano un po’, le prestazioni da applausi si alternano alle disattenzioni.

Per quanto gli venga riconosciuta efficacia nell’anticipo ed una certa abilità nell’impostare l’azione, l’accusa che gli è stata rivolta in più di un’occasione è quella di credersi Beckenbauer, di sbagliare spesso per la voglia di strafare, di uscire troppo palla al piede anche quando, davvero, non sarebbe il caso; insuperabile nel corpo a corpo, ma più di una volta sorpreso fuori posizione. Di certo sarà utilissimo in rossonero nel gioco aereo: forse il sito di statistiche WhoScored non sbaglia molto, segnalando i duelli aerei come suo punto di forza e la mancanza di concentrazione come principale debolezza. Ha il gol nel repertorio, spesso il classico colpo di testa su calcio d’angolo, più raramente perle su calcio di punizione come contro il Saint-Etienne. Capace di trovare la porta dalla propria metà campo in Coppa del Re, contro il Llagostera, ma anche di farsi uccellare dal primo Dieguito di passaggio.

Sempre allegro e pronto allo scherzo, ha fatto da mascotte per il Lille, ha cantato “Ai se eu te pego“ e si è infortunato ballando Gangnam Style per beneficenza. Accanito giocatore di Call of Duty, considera i film di Walt Disney una fonte di ispirazione, ci tiene a vestirsi bene e passa molto tempo dal parrucchiere, dove non a caso ha incontrato Bronzetti prima di spostarsi al ristorante. Orgoglioso delle origini marocchine ma francese al 100% (“la Francia mi ha dato da mangiare e nel ’98 mi ha fatto sognare), dice di non essere troppo interessato al denaro: mesi fa avrebbe potuto trasferirsi all’Anzhi, ma “ho altre ambizioni, se andassi là mi metterei delle barriere”. Sa come farsi rispettare da un Simao qualunque, ma piomba nel terrore davanti a ragni e insetti volanti: a quelli dovrà pensarci Mexes.

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