“Quelli del Milan sono tutti dei biondini con gli occhi verdi. Maldini è troppo bello per giocare a calcio”
Carlos Tévez
Andy Warhol l’aveva detto: anche gli ex Venezia, in futuro, avrebbero avuto il loro quarto d’ora di celebrità. A Matías Abel Donnet, passato dalla laguna nel 2001 senza fare troppo rumore, il momento di gloria tocca il 14 dicembre 2003 in terra nipponica, in occasione della finale di Coppa Intercontinentale tra Boca Juniors e Milan.
Dieci anni dopo, il Puchero resta negli annali del calcio mondiale proprio grazie al gol del pari segnato in quella gara ed al conseguente premio di migliore in campo, ma all’epoca né il Milan né lo stesso Boca Juniors avrebbero pensato ad un ruolo da protagonista per il centrocampista di Esperanza. Rossoneri e xeneizes, d’altra parte, sono all’epoca ai vertici del calcio mondiale, hanno in rosa ben altri giocatori e non per caso si trovano in Giappone.
Il diavolo, guidato da Ancelotti, ha vinto la Champions League a Manchester, nove anni dopo Atene, e accoglie senza troppo entusiasmo l’esito della finale di Copa Libertadores, che ha visto scontrarsi, esattamente come quarant’anni prima, Boca Juniors e Santos: questa volta, a differenza di quando in campo c’erano Pelé e il Nene Sanfilippo, a guadagnarsi l’onore di sfidare il Milan sono gli argentini in maglia azul y oro, che tra andata e ritorno segnano cinque gol, subendone uno soltanto, alla squadra di Robinho e Ricardo Oliveira. Carletto mette subito in chiaro che avrebbe preferito vedersela con i brasiliani: “Gli argentini hanno una mentalità vincente, più simile alla nostra”.
Ad allenare il Boca, poi, c’è Carlos Bianchi, che non solo ha vasta esperienza di finali importanti, avendo trionfato tre anni prima sul Real Madrid dei galácticos per poi perdere nel 2001 con il Bayern Monaco, ma che vanta anche un curriculum da bestia nera del Milan. L’ex bomber del Paris Saint Germain aveva fatto conoscenza con il Diavolo nel 1994, uscendo vincitore, alla guida del suo Vélez Sarsfield. dalla Coppa Intercontinentale; una volta chiamato in Italia alla guida della Roma, pur non lasciando un buon ricordo di sé (tentare di vendere Totti alla Sampdoria non ha aiutato), conserva il tocco magico per le partite contro i rossoneri, sconfitti 3-0 all’Olimpico (12 ottobre 1996, Totti-Cappioli-Balbo) e costretti ad accontentarsi di un punto a San Siro (2 marzo ’97, 1-1, reti di Vierchowod e Fonseca).
Vanno meglio, invece, le relazioni tra i due club: nel 1956 il Milan è alla ricerca di giocatori e, nella persona di Giulio Cappelli, entra in contatto con Félix Latrónico, dirigente del Boca e figlio di calabresi, che consiglia l’acquisto di Ernesto Cucchiaroni. Seguiranno quattro amichevoli tra il 1958 ed il 1962, tre a Buenos Aires ed una a Milano, e un episodio curioso: il 26 giugno 1963, impegnato alla Bombonera con l’Universidad de Chile per una partita di Libertadores, il Boca indossa per un tempo la divisa rossonera del Milan. In tempi più recenti, il Boca di Maradona, campione in carica del Metropolitano, arriva a sfidare un Milan di Serie B l’8 settembre 1981. Vittoria per gli argentini, che impressionano Tassotti: “Il giorno prima sono venuti a Milanello ad allenarsi e, mamma mia, che tecnica che avevano…quello che facevano con la palla mi stupì, non solo Diego“.
Gli anni passano, ma il fascino, alla vigilia della prima sfida ufficiale tra gli attuali due club più titolati al mondo, resta intatto anche in Italia. Roberto Baggio, a quanto pare, ascoltando i cori dei tifosi del Boca Juniors quando è in auto, ma tra gli inaspettati simpatizzanti c’è anche Rino Gattuso, che confessa di avere come sogno quello di giocare nel Boca: “Se c’è una squadra al mondo in cui mi vedo dopo il Milan, quella è il Boca Juniors. Ogni volta che vedo in tv il calcio argentino mi entusiasmo, se c’è il Boca ancora di più, mi immagino di entrare alla Bombonera e mi viene la pelle d’oca. Uno stadio fantastico per una tifoseria spettacolare, per me il Milan è il Boca d’Italia”. Per la gioia di Bianchi, che non aveva apprezzato l’atteggiamento un po’ snob del Bayern Monaco, anche Inzaghi mostra rispetto nei confronti degli avversari, a partire da Carlos Tévez: “Ho visto i suoi gol in tv, so che è giovane e Redondo ce ne ha parlato come di un vero crack“.
Anche gli argentini, da parte loro, dimostrano di conoscere i milanisti: tra gli otto giocatori che si sottopongono al test del giornale sportivo Olé è Guillermo Barros Schelotto, già allora grande studioso di calcio, oggi tecnico vincente del Lanús, ad indovinarne di più, riconoscendo anche Ambrosini, Tomasson e addirittura Simic. Meno esperto è invece Valentin Ivanov, l’arbitro russo che pochi mesi prima ha diretto uno dei derby in semifinale di Champions League e che, chiamato a dirigere l’Intercontinentale, rilascia interviste in cui dimostra di non saperne un granché: “Come si chiama l’allenatore del Boca? Bianchi? Come? Carlos Bianchi? Ah, certo che lo conosco, chiaro”.
Non serve conoscere il Milan, comunque, per amare la maglia rossonera: il nemico del nemico, specialmente nel calcio, può rivelarsi amico e così al Monumental, nello store del River Plate, sono in vendita le magliette di Maldini e compagni, mentre sugli spalti, ad un certo punto, compare anche uno striscione piuttosto esplicito: “Forza Milan”.
Allora, lontani i tempi in cui le simpatiche canaglie del Raja Casablanca possono creare scompiglio, per stabilire il campione del mondo bastano novanta minuti più eventuali supplementari e rigori: il viaggio in Giappone, comunque, all’interno di un calendario pieno di impegni, crea qualche problema. Che può essere aggirato, se vuoi vincere davvero: il Boca, anticipata la gara decisiva con il San Lorenzo, vince l’Apertura battendo l’Arsenal il 26 novembre e può così permettersi un po’ di turnover per le ultime due partite. Lo stesso accade al Milan, che in campionato viaggia a ritmi che non si vedevano dai tempi di Capello e che il 26 novembre conquista tre punti fondamentali ad Amsterdam, assicurandosi il primo posto nel girone di Champions League. Il 9 dicembre, nell’ininfluente gara con il Celta Vigo, giocano le seconde linee, se così le vogliamo chiamare: vittoria dei galiziani a San Siro e proteste del Bruges, ma intanto il giorno prima è partito un primo contingente di sette giocatori, Gattuso, Shevchenko, Pancaro, Maldini, Nesta, Cafu e Pirlo. Obiettivo, assicura il capitano, tornare da campioni del mondo. Gli altri giocatori, con Galliani, Confalonieri e qualche parente, arriveranno più tardi: viaggio tranquillo, senza svenimenti o attacchi di vomito, a differenza di quello degli avversari che, seppur contenti di fare scalo a San Paolo e Los Angeles come tre anni prima (ah, la scaramanzia), per problemi tecnici impiegano trenta ore per arrivare a desintazione.
Tra un Sacchi che riconosce al Milan di Ancelotti maggior qualità tecnica rispetto al suo, un Cascini che dice di odiare già tutti i giocatori del Milan, un Pampa Sosa che consiglia a Schelotto di innervosire Nesta e Maldini a colpi di parolacce ed un Bianchi preoccupato per la differenza a livello fisico tra le due squadre (1,82 m per 76 kg di media contro 1,76 per 74), si arriva ai giorni cruciali. I giapponesi stravedono per Inzaghi e Tévez, ma entrambi sono reduci da un infortunio ed il secondo, al centro di uno scontro che ha coinvolto la FIFA, la giustizia ordinaria e la federcalcio argentina, che l’avrebbe voluto ai mondiali under 20 e non in Giappone, è il primo a dire che, se fosse nel suo allenatore, non si schiererebbe.
Ancelotti, che teme l’Apache così come Sebastian Battaglia, alla sua ultima partita prima di trasferirsi al Villarreal, deve inoltre rinunciare a Nesta: spazio allora a Costacurta, che nelle settimane precedenti la gara aveva temuto di dover scontare la squalifica per l’espulsione rimediata con il Vélez nove anni prima, nella peggior partita della sua carriera, e alla coppia Shevchenko-Tomasson con Kakà trequartista nel più classico dei 4-3-1-2. Il Boca, che Berlusconi teme possa ripetere le scorrettezze messe in atto dall’Estudiantes nel ’69, si presenta con un 4-4-2 con Donnet e Cagna esterni di centrocampo per limitare le scorribande di Cafu e Pancaro sulle fasce ed il Flaco Schiavi a fare coppia con Burdisso in difesa ed il brasiliano Iarley in tandem con Schelotto in avanti.
All’International Stadium di Yokohama, quel 14 dicembre, si vede un po’ di tutto: milanisti con la maglia del River Plate, tifosi del River con quella del Milan, interisti con la azul y oro, tifosi del Boca con la casacca del Cienciano, squadra peruviana che sconfiggerà il River in finale di Copa Sudamericana, e persino qualche fan dell’Estudiantes con la maglia del Boca.
I rossoneri si presentano in campo con la tenuta bianca, che in teoria dovrebbe portare fortuna: la porterà, ma agli avversari, che già nel 2000 avevano dimostrato di non aver paura del bianco battendo le merengues. Al 22′ Pirlo sfugge per un attimo alla marcatura di Battaglia e serve in profondità Shevchenko, che lascia passare il pallone verso Tomasson: lo Scorpione Bianco infila sotto le gambe di Abbondanzieri e va a festeggiare sotto i tifosi milanisti. Pochi minuti più tardi, mentre il mondo viene a sapere della cattura di Saddam Hussein, Cafu perde palla, Aldo Serena sostiene che il brasiliano “non dovrebbe esagerare” e ha ragione: il Boca avanza rapidamente sulla sinistra, Schelotto crossa in mezzo per Iarley, Dida interviene sul brasiliano ma sulla respinta insacca Donnet: 1-1, è il 29′ e nessuno segnerà più su azione. Non serviranno gli ingressi di Tévez per Schelotto o di Inzaghi, Rui Costa e Ambrosini per Tomasson, Rui Costa e Gattuso, non basteranno nemmeno i tempi supplementari: la sfida alla fine si decide ai rigori. Battaglia è l’unico dei suoi a sbagliare, mentre Rui Costa è l’unico dei suoi a gonfiare la rete. Più degli errori di Pirlo e Seedorf, resterà nella memoria l’orrendo rigore calciato da Costacurta, subito sbeffeggiato da Maradona su Radio Mitre: “Costacurta se l’è fatta addosso, il Boca ha dato al Milan una vera e propria lezione di calcio. E io godo!“.
Nessuno immagina che quattro anni dopo si presenterà l’occasione per la rivincita, finalmente con Nesta e Inzaghi dal primo minuto e Bianchi lontano dalla panchina del Boca. Per il momento, prevalgono la delusione, le accuse reciproche e gli sberleffi. I tifosi della Juventus ringraziano il Boca con uno striscione, lo spogliatoio dell’Inter esulta, mentre Seedorf dichiara di essersi presentato sul dischetto per colpa di qualche specialista tiratosi indietro all’ultimo momento (i giornali sospettano di Inzaghi e Cafu).
Oltre al danno, poi, arriva anche la beffa per i giocatori del Milan, costretti a fare il viaggio di ritorno in compagnia di alcuni tifosi del Boca Juniors che fanno scalo a Milano sulla via per Buenos Aires e non si trattengono dallo sventolare bandiere e cantare cori durante il volo. Uno di loro, tale Nicólas Galli, racconta di aver scambiato due parole con Seedorf, Redondo, Shevchenko e Rui Costa prima della partenza, mentre a Gattuso, Ancelotti e Maldini “non si poteva parlare”. Quattro giorni più tardi, in un Milan-Sampdoria di Coppa Italia che avrebbe potuto essere l’occasione ideale per festeggiare una vittoria mondiale, uno striscione dice: “Grazie lo stesso”.
Tabellino
Boca – Abbondanzieri; Perea, Schiavi, Burdisso, Clemente; Cagna, Cascini, Battaglia, Donnet; Schelotto (73′ Tévez), Iarley.
Milan – Dida; Cafú, Maldini, Costacurta, Pancaro; Pirlo, Gattuso (102′ Ambrosini), Seedorf; Kaká (77′ Rui Costa); Tomasson (69′ Inzaghi), Shevchenko.
Arbitro: Valentin Ivanov
Reti: Tomasson 23′, Donnet 29′
Ammoniti: Perea, Cafu, Kakà
Fonti: Olé, la Repubblica
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