Adel Taarabt, il mercuriale marocchino

QPR v Cardiff City - npower Championship

Dovendo esprimere l’essenza di Adel Taarabt in una parola è obbligatorio, a dare retta alla stampa britannica e alle telecronache di Stefano Borghi, scegliere l’aggettivo mercuriale. Mercurial: per chi se ne intendesubject to sudden or unpredictable changes of mood or mind, soggetto ad improvvise o imprevedibili variazioni di umore.

Volendo usare altri aggettivi qualificativi per descrivere il marocchino, poi, si potrebbero prendere in prestito quelli scelti da Neil Warnock, suo allenatore ai tempi del QPR: “talentuoso, entusiasmante e frustrante”. Taarabt è il giocatore che ti può risolvere la partita con un colpo di genio, di quelli che mette in pratica senza pensare, di puro istinto: perché, almeno a sentire lui, puoi allenarti quanto vuoi, ma è Allah che ti regala il talento di fare finte e doppi passi e la possibilità di fare un gol come quello allo Swansea.

Entusiasmante, quindi, non solo per i tifosi degli hoops, che non vedevano uno cosi bravo con la loro maglia dai tempi di Rodney Marsh e Stan Bowles, ma anche per i giocatori stessi. Shaun Derry, centrocampista difensivo e suo compagno di squadra al QPR, sembra essersi divertito parecchio: “A volte, anche se stavo giocando, c’erano partite in cui mi sentivo un tifoso. Quando abbiamo avuto bisogno di un tocco di magia per recuperare una partita, lui ci ha dato la scossa segnando o creando un’azione da gol”.

Tutto bene, quindi, se non fosse che anche a Loftus Road, dove ha vissuto i momenti migliori della sua carriera, hanno dovuto fare i conti con il suo caratterino. Cresciuto giocando a calcio per strada, Adel ha mantenuto la tendenza a voler stupire tutti, la voglia di far vedere al mondo cosa può fare con una palla tra i piedi, senza curarsi troppo di passarla ai compagni di squadra o di tornare a difendere. Può smettere di correre quando vuole essere sostituito o prendere a calci bottiglie a bordo campo se l’allenatore lo toglie dal campo contro il suo parere; può anche lasciare lo stadio, se sostituito alla fine di un primo tempo andato male, ritrovandosi alla fermata del bus a fare foto con i suoi tifosi e a chiedere il risultato della partita.

Perché, se ancora non si fosse capito, quando le cose non gli vanno a genio Taarabt se ne va; e magari si porta via pure il pallone. Come nel giugno 2011, quando scopre che non sarebbe stato titolare in un cruciale Marocco-Algeria, valevole per le qualificazioni alla Coppa d’Africa, e abbandona il ritiro della nazionale: “Nessun giocatore marocchino aveva fatto meglio di me: ero il miglior marcatore, il miglior assistman, l’unico ad aver vinto un titolo. Quando ho visto che non avrei giocato titolare, sono esploso. E poi, francamente, amo il mio paese, ma non è che mi ecciti andare a giocare in posti come il Gabon…”. Quattro mesi dopo è di nuovo in nazionale, segna alla Tanzania e bacia la maglia: è fatto così.

Nato a Fes, in Marocco, il 24 maggio 1989, عادل تعرابت si trasferisce con la famiglia a Berre-l’Etang, località poco distante da Marsiglia, prima di compiere un anno. Inevitabile il tifo per l’OM e la venerazione per Zinedine Zidane (“il mio Maradona”), come lui musulmano, francese, marsigliese e nordafricano: non ci vuole molto prima che Taarabt diventi, per i poveri di fantasia, l’ennesimo nuovo Zizou.

Comincia a giocare a calcio per caso, con gli altri bambini del quartiere. Adel e i suoi amici si appostano nei pressi dei campi di calcio per impossessarsi dei palloni calciati troppo alti e poi improvvisano partite quattro contro quattro: “Tre gol e continuavi a giocare: odiavi perdere, perché sapevi che avresti dovuto aspettare venti, trenta minuti prima di tornare in campo, impazzivi. Presto la gente inizia a bussare alla porta di casa Taarabt per avvisare i genitori di quanto sia bravo quel ragazzino. Papà e mamma, in realtà, non sono amanti del calcio, quanto dell’Islam: Adel è musulmano praticante, non beve, non fuma, prega prima delle partite, digiuna durante il Ramadan, porta magliette con la scritta “I love Allah” e ha un cugino che, di tanto in tanto, gli legge passi del Corano.

La sua filosofia è semplice: se ti capita qualcosa di positivo è merito di Dio, in caso contrario hai sbagliato qualcosa tu. Forse reso più forte da queste convinzioni, all’età di undici anni, quando già è passato per qualche squadra locale, viene notato da un osservatore che gli concede la possibilità di crescere nel settore giovanile del Lens: i genitori non sono troppo d’accordo, ma si fa. Adel si trasferisce al nord, scuola al mattino e allenamenti al pomeriggio. E, ovviamente, discussioni: in occasione di una partita con la squadra riserve litiga con tutti e due i giocatori della prima squadra presenti. Sidi Keita lo accusa di tenere troppo il pallone, Gregory Vignal lo sgrida dopo un dribbling inutile, con la palla che esce dal campo: lui, come è nel suo stile, risponde abbandonando il campo. Riesce a debuttare in Ligue 1 il 17 settembre 2006, a due minuti dalla fine di un Sochaux-Lens, e a raccogliere un’altra presenza tra i professionisti prima di lasciare, nel gennaio 2007, per il Tottenham: prestito con diritto di riscatto per una cifra vicina ai quattro milioni di euro. I tifosi Sang et or non hanno dubbi: altro che nuovo Zidane, questo neanche diciassettenne è destinato a finire come un Le Tallec o un Sinama-Pongolle qualunque.

A portarlo a Londra è Daniel Comolli, che già lo seguiva quando lavorava per l’Arsenal. L’impatto con l’Inghilterra non è dei migliori: alle tre del pomeriggio è già buio, non sa una parola d’inglese ed i compagni di squadra urlano cose che non capisce (“in Francia i giocatori non parlano”); per di più, l’arbitro non fischia quelli che, secondo Adel, sono falli. Per fortuna c’è Assou-Ekotto, conosciuto a Lens, ma dopo due settimane il nostro avrebbe voglia di tornare in Francia. Resta con gli Spurs fino a marzo 2009: Jol lo fa debuttare, Juande Ramos non gli concede nemmeno un numero di maglia, Redknapp gli consiglia di andare in prestito.

Dopo un anno al QPR, nella seconda serie del calcio inglese, trova in panchina Neil Warnock, che attorno al mercuriale marocchino, poi acquistato a titolo definitivo, costruisce la sua squadra, destinata a salvarsi nel 2010 e ad ottenere la promozione in Premier League nel 2011. Appena arrivato, Warnock viene subito messo in guardia dallo staff: “Quel marocchino ti farà esonerare, non si allena”. Taarabt, che ha l’abitudine di telefonare direttamente a Flavio Briatore, l’uomo che l’ha consigliato al Milan, quando qualcuno lo relega in panchina, costringe l’esperto allenatore a rivedere alcune sue convinzioni: “Devo ammettere che si tratta del tipo di giocatore che quando ero più giovane avrei estromesso subito. Un bravo ragazzo, ma inaffidabile: non combatteva e non tornava indietro, ma poteva inventare un passaggio dal nulla. Certe volte è frustrante, ma se dovessi pagare per vedere un giocatore pagheresti per vedere lui. Abbiamo bisogno di gente come Taarabt per entusiasmarci. Adel, che parla di Warnock come di un padre, è il bambino più dotato e come tale viene trattato: se sbaglia qualcosa, l’allenatore intima agli altri giocatori di non dirgli nulla, perché a Taarabt non piace che i compagni gli urlino brutte cose.

La stagione 2010-2011 è trionfale: Taarabt, cui viene concessa anche la fascia da capitano, si esalta nel 4-2-3-1 e va a segno 19 volte, regalando 16 assist e meritandosi il premio di miglior giocatore della Championship. Non vivrà più una stagione così esaltante, alternando prestazioni da applausi a infortuni, tiracci a caso e litigi, venendo criticato pubblicamente dal nuovo capitano Joey Barton e dallo stesso Warnock. Eppure gli innamorati di Taarabt non mancano, a partire dai proprietari qatarioti del Paris Saint Germain, che nell’estate del 2011 sono pronti a offrire 11 milioni più bonus: Leonardo, però, non si spinge oltre gli 8 milioni (“sparlò in giro di me” sostiene Adel) e l’affare non si fa, nonostante le telefonate tra il giocatore e Nasser Al Khelaifi.

A sentire lui, poi, più o meno tutte le grandi squadre europee ci hanno provato: negli anni ha parlato dell’interesse del Barcellona e dell’Anzhi Makachkala, di contatti con l’Arsenal, con il Chelsea, con squadre spagnole. Per finire, poi, al Milan, lasciando Londra (che adora, e nella quale passava il tempo libero con l’amico e connazionale Marouane Chamakh) ed il Fulham, dove si era spostato dopo gli ennesimi problemi disciplinari. Dopo aver chiuso la stagione con la retrocessione e 60000 sterline di multa per essersi rifiutato di salire sulla bilancia e aver fatto tardi a qualche allenamento, nel luglio 2013 si presenta infatti in ritardo al ritiro del QPR in Devon: Redknapp, che lo ha defifinito un “genio“, ma anche un “fuori di testa” (fruitcake), lo manda a casa.

E così, per i soliti scherzi del destino e del calciomercato, a fine gennaio Taarabt si ritrova al Milan, l’unica squadra italiana per cui avrebbe rinunciato alla Premier League. “Se Boateng gioca da 10 ho qualche chance anche io”, affermava in un’intervista ormai celebre alla Gazzetta dello Sport, risalente al dicembre 2012. Ora il 10 è di Honda e Adel porterà sulle spalle il 23, che fu di Nocerino e ancora prima di Ambrosini.

©RIPRODUZIONE RISERVATA. È consentita esclusivamente citando la fonte, Canale Milan o www.canalemilan.it

Fonti: bbc.co.uk; l’Equipe; Gazzetta dello Sport; Evening Standard; The Telegraph; N. Warnock, The Gaffer; H. Redknapp, Always managing.

Follow @marcomaioli1

URL breve : http://www.canalemilan.it/?p=119218

NEWS

Scritto da il feb 5 2014 . Registrato sotto Blog, Generali, In evidenza, iphone focus, News .

Recommend0 recommendationsPublished in Milan News