Avv. Di Cintio: "Contributo di solidarietà: ecco cosa può fare il calcio"

Milan news

23.08.2011 22:45 di Alberto Vaneria   articolo letto 7 volte

Fonte: TMW

© foto di Tommaso Sabino/TuttoLegaPro.com

Gentilissimi lettori,
l’estate calda del pallone, dopo Ferragosto, è diventata torrida tra lo sciopero ( minacciato) dei calciatori, i giudizi sportivi di secondo grado di scommessopoli ed il “contributo di solidarietà” varato dal Governo per tamponare la crisi economica che attanaglia il Paese.
Tuttavia, da un punto di vista giuridico, è interessante affrontare l’argomento riguardante la manovra anticrisi dato che del calcio scommesse e dello sciopero degli atleti abbiamo già trattato in altre occasioni.
Cosa è il “contributo di solidarietà”?
La manovra economica varata dal Governo, con decreto che dovrà esser comunque convertito in legge, è stata concepita per reagire alla grave crisi internazionale e, tra le misure assunte, è stato previsto appunto un “contributo di solidarietà” che dovrà gravare sulla fascia medio-alta dei redditi della popolazione residente in Italia.
Ed, infatti, per il triennio 2011-2013 verrà imposto un prelievo del 5% sulla quota del reddito superiore ad € 90.000 e del 10% sulla quota che eccede gli € 150.000 senza che, comunque, il carico fiscale complessivo possa superare la soglia del 48%.
Alla luce di quanto esposto anche il mondo del pallone di alto livello ha cominciato a fare i calcoli ed ha iniziato una sorta di scarica-barile tra società e calciatori su chi sarà tenuto a pagare e, quindi, su quale delle parti dovrà gravare il prelievo fiscale.
Ricordo che il provvedimento Governativo è stato emanato in assenza di un contratto collettivo calcistico per cui la diatriba si è accesa, da un lato, perchè i rappresentati delle società hanno iniziato a sostenere che a pagare dovranno esser gli atleti i quali, dall’altro, hanno cercato ovviamente di evitare questo onere ulteriore.
Il problema nasce essenzialmente dalla prassi sportiva che ha reso molto frequenti le cosiddette forme di “lordizzazione del carico impositivo” per cui le società, per un verso, e gli atleti, per l’altro, si sono sempre accordati avendo come punto di riferimento lo stipendio netto, indipendentemente dal carico fiscale.
La conseguenza di ciò è sempre stata che l’eventuale aumento delle tasse, in passato, ha consentito di far rimanere sempre invariato il monte salariale per il calciatore poichè era onere della società, in caso di addizionale, provvedere ad adeguare la retribuzione lorda.
Allo stato attuale, invece, la situazione appare differente per due ordini di motivi.
La prima ragione è che, l’assenza di un contratto che possa regolare la materia del contendere tra società e calciatori, lascia alla libera determinazioni delle parti la facoltà di scegliere, nella singola trattativa, di adeguare le cifre alle esigenze della parte contrattualmente più forte.
La seconda motivazione, che rappresenta forse l’argomento più pregnante, deriva invece dall’analisi delle norme varate dal Governo.
L’extra tassa è stata concepita come un contributo a carico dei cittadini con reddito superiore agli € 90.000 annui e, teoricamente, sarebbe dovuto dalle persone fisiche per le quali, peraltro, è prevista la deducibilità dal reddito complessivo dichiarato.
Ciò consente di evidenziare ulteriormente come la tassa, secondo il Governo, debba gravare sul singolo contribuente e non sulle società per le quali, nel decreto, invece non si è fatto cenno alcuno ad eventuali aliquote aggiuntive all’Irpef.
Quanto esposto per chiarire che, in assenza di accordi tra calciatori e società che possano dirimere la controversia, le norme palesano come il carico fiscale della extra tassa dovrà pesare, in attesa di modifiche in sede di conversione parlamentare del Decreto, sul portafoglio degli atleti.
Ad ulteriore conferma di quanto affermato soccorre poi la circostanza che, ai fini del calcolo del contributo di solidarietà, si dovrà fare riferimento al reddito complessivo prodotto il quale non potrà esser calcolato solo in base allo stipendio proveniente dal sodalizio sportivo ma anche in relazione ad emolumenti derivanti da altre fonti come ad esempio le pubblicità o le sponsorizzazioni.
Giusta o sbagliata che sia la previsione di questa imposizione fiscale poco interessa in termini sportivi se consideriamo che il calcio Italiano si trova a dover dirimere questa nuova controversia che rischia di allontanare ulteriormente dal nostro campionato i cosiddetti top players che, logicamente, preferiranno approdare in campionati, forse meno affascinati, ma dove i ricavi risultano maggiori.
Samuel Eto’o è l’esempio da prendere in considerazione per evitare altre fughe di campioni dal nostro torneo. Del resto chi non avrebbe fatto la stessa scelta del campione camerunense?
Il problema, a mio giudizio, è altro rispetto al “contributo di soliderietà”, che non può certo rappresentare un problema per chi guadagna molto, ma è l’incapacità del calcio italiano di innovare per reagire ai tempi che cambiano ove il fair play finanziario, volenti o nolenti, dovrà costituire la nuova filosofia gestionale alla quale sarà obbligatorio uniformarsi.

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