Cerci-Milan, si chiude a fine agosto. Ma a Inzaghi serve altro

31 Ago 2014 20:45
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L’EDITORIALE

Giornalista, ideatore e conduttore giugno di “Passione Rossonera” su Radio Radio, l’unico programma radiofonico esclusivamente dedicato al Milan

Riprendo esattamente da dove avevo concluso l’editoriale della scorsa settimana, la mia domanda diretta a Silvio Berlusconi: «Caro presidente, ma lei è intimamente soddisfatto di come stanno andando le cose al Milan?».
L’ennesima scoppola subita in terra americana per mano della squadra C del Manchester City (imbottita di giovani, giovanissimi e riserve) diffonde, per quanto possibile, una luce ancora più inquietante sul futuro del Milan. Siamo alla terza estate consecutiva che torniamo dagli States con l’ormai consueta “manita”, rimediata dal Real Madrid o dai Citizens poco importa, ed è sconcertante che il presidente Berlusconi, dalle segrete stanze di Villa San Martino, animato da un moto di sano orgoglio, non alzi la testa e gridi al mondo «Adesso basta!». È sconcertante come si stia procedendo a passi veloci verso il progressivo sgretolamento non solo di una squadra di calcio – il Milan – ma di un mito del calcio mondiale, senza la minima reazione viscerale, quasi come si trattasse di un fatto ineluttabile di fronte al quale c’è poco da fare.
Eh no, caro presidente, ci sarebbe molto da fare, soprattutto se lei lo volesse. La sgradevolissima sensazione che ci resta invece è che, finita la sbornia di entusiasmo dell’inaugurazione di Casa Milan e della promozione di Pippo Inzaghi sulla panchina rossonera, con tutta la sua carica di “alta tensione”, siano svaniti nel vento tutti i buoni propositi di rilancio, di ritorno alla vittoria, di apertura di un ciclo e bla bla bla bla…
 
Una volta il Milan era famoso per l’operatività assoluta, poche chiacchiere e tanti fatti. Bei tempi, sembra una vita fa. Adesso si riempiono pagine e pagine di giornali con i proclami bellicosi di Berlusconi, che fanno il paio con le frenate di Galliani. Intanto la squadra è sempre più in balia della tempesta e lo sguardo disperato di Pippo Inzaghi, nel bel mezzo della raffica di sberle prese dal Manchester City, regala l’esatta sensazione di quale sia lo stato d’animo dell’intero popolo milanista di fronte a questa situazione sempre più incresciosa.
 
Domanda: è lecito pensare che un club glorioso come il Milan sia tenuto in scacco dalle bizze di un quasi ex-calciatore come Robinho? Ovvio che no, il giocatore sta facendo solo – legittimamente – i suoi interessi. Mica è colpa sua se gli è stato fatto firmare un contratto scandaloso, viste le sue prestazioni in campo ormai da tre anni, contratto che nessun’altra squadra al mondo potrà mai riconoscergli. Il brasiliano sta solo difendendo ciò che gli spetta e non può essere colpevolizzato per questo.
Il problema semmai è che il Milan abbia bisogno di cedere Robinho per potersi permettere di prendere un altro calciatore. La leggendaria frase «Se non parte nessuno non arriva nessuno» l’abbiamo ormai imparata a memoria (pare sia entrata in ballottaggio con altre due pietre miliari di Galliani, «Siamo a posto così» e «Siamo ultra-competitivi» per essere incisa sulle nuove magliette rossonere al posto dell’ormai datata «Il club più titolato al mondo»), ma é grazie a queste scellerate imposizioni della proprietà che Milan si è lasciato sfuggire un tipetto come Tevez, solo per citarne uno.
 
Ora a rischio c’è Alessio Cerci, oggetto di ammiccamenti discreti da parte del Monaco (l’Atletico Madrid per fortuna sembra essersi defilato), ma senza escludere inserimenti a sorpresa di altre big italiane ed europee. A parziale rassicurazione dei tifosi milanisti c’è una sorta di accordo non scritto tra Cairo e Galliani, secondo cui l’attaccante di Valmontone arriverà in rossonero dopo aver disputato i preliminari di Europa League con il Torino (al Milan la cosa interessa poco visto che è fuori da ogni competizione internazionale), ma il pericolo è dietro l’angolo ed è rappresentato dalla classica offerta a sorpresa che non si può rifiutare e  che metterebbe a serio rischio l’affare tra i granata e il club di via Aldo Rossi.
Apro una parentesi su quanto si legge in giro a proposito delle cosiddette alternative rossonere: pensare che al Milan si stia considerando seriamente, nella malaugurata ipotesi di veder sfumare Cerci (dopo Iturbe, Lavezzi e Douglas Costa), di virare su tal Campbell, ragazzino di proprietà dell’Arsenal, assurto agli onori della cronaca per un (dico 1) gol segnato al mondiale contro l’Uruguay, mi lascia esterrefatto. A questo punto mi tengo Niang che almeno è già nostro.
 
L’aspetto più grave della faccenda è che i ragazzi di Pippo Inzaghi stanno manifestando una serie di problemi che hanno poco a che fare con la fantasia in attacco che garantirebbe Alessio Cerci. Questa squadra è debole, per non dire debolissima, dalla cintola in giù e sta accusando limiti evidenti che erano purtroppo preventivabili. Il Milan sembra uno di quei condomini d’epoca che decide di rinunciare al portiere per affidarsi al citofono. Agazzi contro il Manchester City è stato imbarazzante, né più né meno di Gabriel ogni volta che il brasiliano è sceso in campo, e non si può certo pretendere che nonno Abbiati, già l’anno scorso più volte fermo ai box per acciacchi di vario genere, possa da solo togliere le castagne dal fuoco ai rossoneri. Eppure la prospettiva di andare a cercare un portiere “vero” e portarlo a Milanello è stata immediatamente scartata, naturalmente perché costosa. Esattamente come l’idea di cercare un buon difensore centrale, un terzino affidabile e un centrocampista capace di abbinare qualità e quantità, tutte necessità primarie per questa squadra.
 
Il Milan è della famiglia Berlusconi, tutto ciò è innegabile, ma appartiene anche ai circa 6 milioni di tifosi in Italia (per non parlare dei quasi 100 milioni sparsi per il mondo) che hanno il diritto di vedere rispettata la loro fede. Ed è su questo che la dirigenza rossonera adesso ha il dovere di meditare.
 
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