Chi semina raccoglie

Milan Night

Simo Folletti Chi semina raccogliePrimi allenamenti e amichevoli: gli staff  delle squadre stanno coltivando ed innaffiando quella base fisica sulla quale poi i team dovranno germogliare in termini di gioco e risultati; la differenza più grande sta nella comunicazione tra tecnici e il nuovo responsabile dei preparatori.

Promoveatur ut amoveatur, dicevano quei volponi dei Latini e, la dove si lavorava su binari vicini ma paralleli, determinati dal lungo regno Tognaccini, la comunicazione tra le due componenti che gestiscono quest’anno la preparazione della squadra è certamente meglio concertata. Abbattere il numero di infortuni non traumatici, declinarne la loro logica da patologica a fisiologica, il primo obbiettivo.

La prima differenza la apprendiamo dai report da Milanello: le percentuali che compongono il lavoro sono mutate e, sotto la guida di Simone Folletti, la parte di attività svolta in palestra ha lasciato più spazio a quella basata sulla parte aerobica; si può pensare ad una svolta anche tecnica sotto questo punto di vista?

Ogni preparatore atletico o chiunque di noi conosca qualcosa di più che l’ ABC di questa componente sa che svolgere un lavoro più attento a sviluppare una tolleranza maggiore alla fatica, piuttosto che allo sviluppo della potenza, può non corrispondere al trovare poi un gruppo maggiormente dinamico in campo per tutta la stagione; tanto dipenderà dalle riprese atletiche che il calendario concederà, dal coefficiente delle partite che si concentreranno attorno ad una pausa o ad un trittico nei 7 giorni, ad esempio.

Esaminando la composizione del centrocampo del Milan ad oggi, oltre alla solitudine di Montolivo per quel che concerne la voce “qualità” -nei piedi e nella visione di gioco-, notiamo come da una maggioranza di giocatori di un certo passo il reparto sia caratterizzato dalla presenza di uomini che… vanno: Nocerino, Flaminì, Traoré, Boateng, Emanuelson, Constant e lo stesso Ambrosini, pur frenato dagli acciacchi e da compiti nuovi che il ruolo prevede… Non facile trovare la corretta combinazione di profondità e ampiezza, se non componendoli in un centrocampo a tre.

Con undici –!- aggregati in un periodo delicato e “formativo” del genere, è possibile lavorare su una base comune di squadra piuttosto che di reparti che solo poi, in un successivo momento, dovranno combaciare? Non c’è scelta e Mister Allegri ha già organizzato sedute di tattica mirate in questo senso: reparto per reparto con tutte le varianti del caso (a ranghi ridotti, “distanze” da trovare con e senza palla): la voglia non dovrebbe mancare, l’augurio è che non manchino le qualità tecniche e… mentali.

Degli uomini che andranno a completare la rosa non ci si potrà permettere di acquisire giocatori “da formare”, ma con sufficiente esperienza/conoscenza calcistica per inserirsi in un meccanismo già preparato: conoscenza dei sistemi di gioco quindi affinata sul campo, disponibilità a tradurre sul campo l’idea che intende sviluppare l’allenatore.

E’ prematuro parlare di scelte definitive circa il modulo base e la sua variante: la possibilità di migliorare alcuni atteggiamenti può andare di pari passo col fatto di disporre di uomini che si sono affermati sotto la guida di Allegri, slegati da quella formazione calcistica comune legata ad un calcio differente della “vecchia guardia”.

Ripartire dalla concretezza è sempre da preferirsi ad uno sperimentalismo fine a se stesso; il successo Stramaccioniano poggia sull’aver rimesso le cose al loro posto, nulla di più… praticamente “tutto”, essendo la stagione dell’Inter partita ad handicap sull’utopico disegno di Gasperini che, forse tradito nelle promesse, peccava nel supporre che una grande piazza conosca l’arte della pazienza.

Giocare un calcio più verticale è un passo che il Milan deve fare; ritrovare il gusto di soffrire in campo, nel lottare per vincere anche 1-0 e non appiattirsi sulle goleada che hanno caratterizzato l’anno passato, portando la squadra a credere che… tutto fosse facile; la squadra, da outsider, dovrà e potrà tornare a saper aspettare l’avversario e riformulare su un concetto “attuale” la tradizione di quel calcio europeo che ha connaturato in sé dal 1963, a Wembley. E ripartire.

Anfry

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