Da Rivera a Baggio, lo strano caso dei fantasisti scomparsi

Numero 10, fantasista, pallone d'oro. Come Roberto Baggio.

Numero 10, fantasista, pallone d’oro.
Come Roberto Baggio.

Fra i tanti frutti raccolti la sera della presentazione della biografia di Gianni Rivera c’è anche la nuova amicizia di Milannight con Davide Grassi. Appassionato di rock, pubblicista, scrittore e “riveriano” (stando ad una definizione che ha dato di se stesso) ha pubblicato alcuni libri sul Milan ed il milanismo. Un titolo per tutti: Rossoneri – Il manuale del perfetto casciavit. Ne volete un altro? Milano è rossonera
Ci siamo capiti, è uno dei nostri.

Qualche giorno fa ci ha mandato una sua riflessione sui fantasisti, che pubblichiamo volentieri, a cavallo fra la nostalgia ed il rimpianto. 
Buona lettura

Strano destino quello di Roberto Baggio, che pochi giorni fa ha compiuto 49 anni.
Pallone d’oro, uno dei giocatori più talentuosi della storia del calcio italiano. Eppure finì spesso in panchina sia al Milan sia all’Inter. Eppure alla Juventus Gianni Agnelli lo definì un “coniglio bagnato”. Eppure terminò la carriera in una squadra di provincia.
Strano destino quello di molti fantasisti. Quelli della mia generazione ricordano l’assurda staffetta ai Mondiali di Messico ’70 tra Sandro Mazzola e Gianni Rivera, anche lui Pallone d’oro – e a mio parere il più grande di sempre in Italia – che nella finale contro il Brasile giocò solo gli ultimi sei minuti.
E che dire di Gianfranco Zola (anche se non c’entra niente con il Milan, e aggiungo un purtroppo) finito in panchina al Parma per poi fare sfracelli in Inghilterra, tanto da essere soprannominato Trick Box?

Strano destino quello dei giocatori di maggior talento, spesso sacrificati in nome della tattica, dell’agonismo. Perché essere fuori dagli schemi non paga, neanche nel calcio.
O forse sì. Perché quando Baggio giocò la sua ultima partita a San Siro, con la maglia del Brescia, proprio il giorno dello scudetto del Milan del 2004, io c’ero e tutti – nessuno escluso – si alzarono in piedi ad applaudire. Perché Rivera dopo 37 anni dall’addio al calcio se lo ricordano tutti, in Italia e all’estero. E alla presentazione della sua biografia qualche giorno fa – a cui ero presente – la sala era strapiena, anche di giovani. Perché Zola è stato eletto miglior giocatore di sempre del Chelsea e in Inghilterra lo hanno fatto anche Baronetto.

Perché alla fine si dimenticano gli schemi, la tattica, perfino le vittorie. A restare nel tempo – nel calcio come in tutto il resto, anche nella vita privata – sono le persone che regalano emozioni. Quelle che lo fanno con una chitarra, un libro, un film, un pallone.
Quelle come Roby Baggio.

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