E Berlusconi si arrabbia pure…?

Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

02.11.2012 00:00 di Luca Serafini Twitter: @lucaserafini4

© foto di Pietro Mazzara

Dopo 4 mesi dal raduno ancora non c’è una formazione titolare. Non una coppia di centrali fissi, non una coppia di mediani, non una coppia di esterni, non una coppia di attaccanti. La navigazione a vista somiglia a uno sbandamento cieco, testate ai muri e ai lampioni. Il mercato è strafinito il 31 agosto, anche se quello del Milan in realtà non è mai cominciato: venduti i mobili, presi in prestito letto, tavoli e sedie. Per campare, con la lampadina attaccata al soffitto con un filo. Meglio se si usa la candela, peraltro. Si risparmia sulla bolletta. Dalle 19 del 31 agosto, era fondamentale puntare su un gruppo e lavorare su quello, in attesa che le vacanze, il letargo, le tossine post-Europeo venissero smaltite da alcuni degli interpreti sui quali erano riposte le maggiori aspettative. Invece, un frullato di moduli e uomini ha portato a un annebbiamento estremo di idee già confuse in origine.
Era (è) umano sperare, pregare, anelare che Boateng, Robinho, Pato dessero una mano a una squadra desolatamente mediocre. Insistere non ha senso. Che guariscano, che si sveglino, che si chiariscano le idee, che resuscitino. Nel frattempo, avanti un altro.
Era lecito illudersi che se Nocerino non si fosse ripetuto, fosse almeno quel macinino asfissiante di Palermo capace sovente di imporsi proprio sulla pelle del Milan. Era lecito puntare su Acerbi che aveva dimostrato niente di meno rispetto ad Astori o qualche altro simil-difensore in prospettiva.
Era una scommessa puntare su Zapata, recuperato da una retrocessione dalla Liga.
Aveva un senso la scommessa Constant nella speranza fosse quello di Verona e non quello di Genova, mettere una fiche su De Jong.
Ad oggi, il solo Montolivo è cresciuto, sta imponendo la sua ultima versione in viola e azzurro, mentre El Shaarawy è esploso e Bojan – al di là della valutazione sulle prestazioni e soprattutto sulle presenze intermittenti – ha sempre dato segni di vitalità che, nella nebbia, fanno filtrare un filo di luce. Il resto è una danza immobile di controfigure e replicanti, con poco nerbo o comunque pochissimo spirito. Nella spirale del disarmo che avrebbe stordito anche il più impavido dei condottieri, Allegri è finito inesorabilmente, pagando mentalmente anche il crollo nel finale dell’ultimo campionato, in cui ha perso – oltre a uno scudetto vinto – le residue certezze. Quando, per inciso, Nesta Thiago Zambrotta Gattuso Seedorf Van Bommel Inzaghi Ibrahimovic Cassano c’erano ancora tutti.
Confermato più dalla ragione del rinnovo contrattuale (ragione economica, dunque) che dal sentimento del grande capo, l’allenatore sta provando a guidare una scialuppa alla deriva, l’armatore della quale resta invece convinto si tratti ancora di un vascello regale. La rabbia di Berlusconi dopo Palermo fa sorridere e semmai scuotere il capo: cosa si aspettasse il presidente-fantasma dopo lo scempio estivo, al di là dei proclami di facciata, è difficile sapere e soprattutto capire. L’unica certezza che ha consegnato al Milan da più di 6 mesi è la sua assenza dai seggiolini di San Siro e dalla pista di atterraggio dell’elicottero a Milanello. Vero che i continui cambi di modulo e formazione non sono frutto di duttilità tattica, ma di un disorientamento preoccupante cui non viene messa la parola fine. Ma è soprattutto vero che la guida, prima che dalla panchina, manca dall’alto. E la bussola è impazzita.
Ora ci sono Chievo e Malaga per dire se in campionato il Milan può galleggiare in acque piatte e se in Champions può ragionevolmente sperare almeno in un’appendice di febbraio. L’unico modo per provarci è andare avanti con un modulo e un gruppo. Con una formazione titolare, insomma. E basta.

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