Esclusiva FG – Carlo Nesti: “Il Milan deve ripartire da Thiago, da Montolivo, da El Shaarawy e dal divin Ibra”

Canale Milan

Per chi, come noi, ha il calcio come virale espressione della propria morbosa passionalità, ci sono delle voci che non si dimenticano. Perché rappresentano la colonna sonora più professionale ed al contempo simbiotica dei momenti più belli che si sono vissuti, seppur indirettamente, su un campo di calcio. Alcune di queste voci, col loro familiare calore, sono poi diventate parte integrante del calcio stesso: e fra queste, manco a dirlo, c’è quella di Carlo Nesti.Giornalista, tele e radiocronista, scrittore; quasi 40 anni di carriera passati tra Guerin Sportivo, Tuttosport, 90° minuto,  Dribbling, Tutto il calcio minuto per minuto e, dalle poltroncine degli stadi di mezzo mondo, a raccontare agli italiani le vicende delle Nazionali e non. Oggi Carlo ha voluto dedicarci, in esclusiva, le sue opinioni, in un’intervista che, tra il serio e il faceto, ripercorre tanti anni della sua vita professionale: e quindi del calcio italiano. 

Alfredo De Vuono: Cominciamo col dire una cosa, Carlo: tu sei l’unico cronista italiano, dopo Carosio, ad aver vinto, come commentatore, ben due mondiali (1982 e 2006). Con gli Europei alle porte, ad un profondo conoscitore come te delle vicende azzurre, chiediamo: questa Nazionale, così giovane, vivace e diversa dalle altre, quale undici azzurro del passato ti ricorda?  

Carlo Nesti: La risposta è implicita nella domanda: in effetti questa Nazionale ha una sua unicità, ed è impossibile trovare delle vecchie versioni paragonabili a questa. Perché è figlia di due intelligenti considerazioni di Prandelli. Una è obbligatoria: è difficile, oggi, rispetto al passato, trovare giocatori italiani titolari nei ruoli chiave. Per cui fatalmente si è costretti andare a pescare tra giocatori riserve nel loro club (Giaccherini) ed in Serie B (Verratti). Ma è figlia anche d’un’altra considerazione: la Juve, con tutti i suoi limiti offensivi, ha dimostrato quanto siano importanti le motivazioni, la freschezza e la corsa per vincere. E Prandelli ne ha tenuto visibilmente conto, chiamando non solo molti della Juve ma anche tanti giovani. L’unica Nazionale che si può accostare a questa è quella del dopo fallimento dei Mondiali del ’74, di Bernardini, poi affiancato da Bearzot, che poi cominciò il suo ciclo. Nell’autunno del ’74 bisognava ripartire da zero, accantonando giocatori come Rivera, Mazzola e Riva, e furono necessariamente lanciati tantissimi giovani. Il confronto è comunque abbastanza velato, perché lì il lavoro si iniziava da zero, mentre oggi noi andiamo alla fase finale degli Europei con una squadra così innovata. 

A.D.V.: Dal punto di vista del tasso tecnico, forse, paragonabile solo alla Nazionale del ’90, quella di Mancini, Vialli, Baggio e Giannini.

C.N: Se ci limitiamo all’attacco, forse si. Prima, infatti, cercavo però un confronto collettivo. C’è solo un rammarico: all’epoca quello era il frutto del lavoro cominciato da Vicini nell’Under 21, e potevamo parlare in qualche modo di ‘programmazione’. Prandelli invece è stato costretto a fare molte scelte. Fino a poco tempo fa, ad esempio, il programma azzurro era diverso. Si parlava del centrocampo a rombo con 4 registi (Pirlo, De Rossi, Montolivo e Motta) che avrebbero dovuto ruotare tra loro. E poi c’è il vuoto lasciato da Giuseppe Rossi. Questo discorso adesso è finito: non possiamo parlare, dunque, né di ‘programmazione’, nè tantomeno di ‘improvvisazione’, perché le scelte sono comunque ragionate. Diciamo che è un buon compromesso tra un progetto e la necessità di arrivare, a Giugno, con gente fresca e molto motivata. E poi ci sono delle considerazioni anagrafiche da fare. In rosa c’è ad esempio Di Natale, che addirittura minaccia di lasciare il calcio – e secondo me non lo farà – dopo gli Europei. Che ha 35 anni, però garantisce un ottimo stato di forma, non ha la pancia piena, e quindi la sua presenza rende il discorso Nazionale assolutamente non ristretto a giocatori necessariamente al di sotto d’una certa età.   

A.D.V.: Carlo, a proposito di giovani: tu sei stato peraltro l’unico cronista ufficiale dell’ Under-21 ad avere annunciato le vittorie degli azzurrini, in tre Europei consecutivi (’92, ’94 e ’96, con Maldini in panchina). C’è stato un calo, dell’Under, dopo quel ciclo.

C.N: Beh, dopo il ’96 ci furono altre due vittorie (2000, Tardelli C.T. e 2004, Gentile). Io arrivai sino alla partita spareggio del ’99 con la Francia: tieni presente però che, a meno di casi rarissimi, le cose sono ben diverse tra Under e Nazionale maggiore. Nell’Under ogni biennio bisogna cambiare tutto, e lo stesso Maldini vinse tutto cambiando più volte squadra. Per questo è molto più difficile vincere con la nazionale giovanile. C’è un minimo comun denominatore, però, che tenne conto anche Lippi nel 2006, ed, oggi, Prandelli. Sulla scia di quanto fece Bearzot nell’ ’82, Maldini aveva tenuto in massima considerazione il concetto di gruppo, magari prescindendo da alcuni valori tecnici pur di avere la certezza d’avere a disposizione un gruppo solido, compatto e ben integrato, come insegna la classica scuola friulana, appunto di Bearzot, arriva a Maldini e passa attraverso Trapattoni, allievo di Rocco: era un modo, eterno, di intendere il calcio per cui si da la precedenza all’aspetto umano, all’empatia tra i giocatori, a costo magari di escludere elementi molto dotati – come nell’ ’82 Beccalossi – che però rischiano di non integrarsi bene nel gruppo. Basti pensare al secondo titolo di Maldini, nel ’94, quando fummo opposti in finale al Portogallo di Rui Costa e Figo. All’epoca avevamo un tasso tecnico che era forse la metà di quello dei nostri avversari, e non potemmo schierare gente come Vieri e Carbone: eppure col golden gol di Orlandini vincemmo ugualmente, mettendo in campo gli attributi, la grinta, l’umiltà.

A.D.V.: Ti chiedo adesso di raccontarmi un curioso aneddoto, che è rimasto particolarmente celebre. Quello della staffetta alla cronaca, tra te e Bruno Pizzul nella finale dei Mondiali del ’94.

C.N: E’ stato un momento talmente particolare che ne ho parlato in due libri (‘CalcIo’ ed ‘Il mio circuito si chiama Paradiso’). Quei minuti me li ricorderò finché campo: Pizzul doveva essere la prima voce, ed io l’opinionista, perché in quel ciclo Rai la seconda voce era un giornalista e non un ex giocatore, o allenatore…

A.D.V.: Mi permetto di interromperti solo per una mia considerazione personale: forse era anche meglio…(ridiamo, n.d.r.)

C.N.: Guarda, funzionava talmente bene che Radio Rai ancora continua a farlo. Ricordo la coppia Cucchi-Gentili, ad esempio, oppure la coppia di voci più bella del mondo, quella formata da Ameri e Ciotti, con Ezio Luzzi a bordocampo. Ma torniamo al racconto: Pizzul fu chiamato da Irene Pivetti, allora Presidente della Camera, perchè voleva che leggesse, all’inizio della partita, un discorso del Presidente Scalfaro. Il problema è che la chiamata avvenne tardi, a soli 30 minuti dall’inizio del match, il tutto in uno stadio completamente esaurito e dove la vigilanza era spietata. Pizzul purtroppo dimenticò il biglietto – allora non bastava l’accredito, che lui aveva al collo – quando andò in tribuna d’onore, e purtroppo non riuscì a tornare in tribuna stampa, perchè non volevano farlo passare! I tecnici allora mi chiesero di prepararmi, perché la telecronaca cominciava un quarto d’ora prima della finale. E quindi iniziai, in maniera molto soft, ad introdurre la partita ed anche Pizzul, facendola così sembrare una cosa quasi voluta. La gente non si accorse di nulla, ma noi c’accorgemmo eccome di quanto era accaduto: Bruno, che è una persona molto serena e distaccata, arrivò in condizioni mai viste, accaldatissimo e spaventato…Per fortuna arrivò, e dopo la pubblicità riprese la parola. Ho provato lo stato d’animo che prova un calciatore quando è in panchina e vede un suo compagno, magari il migliore, che si fa male: da un lato sei preoccupato per quanto sta accadendo a lui, ma c’è anche un sentimento opposto: perché ti rendi conto che hai la tua grande opportunità.

A.D.V.: Certo, immaginarsi una persona posata come Pizzul in un momento come questo…

C.N.: Io l’ho sempre visto come la persona più tranquilla del mondo: solo quella volta, con 40 gradi, in uno stadio completamente scoperto, con quella tensione…Arrivò con una faccia da infartato! Ma dopo pochi minuti, con la sua grande professionalità, portò avanti la telecronaca splendidamente.  

A.D.V.: Carlo, quest’anno il tuo sito ufficiale (Carlo Nesti), che gestisci anche mediante la tua pagina facebook ufficiale, compie dieci anni. Una lunghissima carriera in Tv, in radio, sul cartaceo, che sei riuscito a riproporre, così bene, in un mondo, quello del web, che non gli apparteneva, fino a qualche tempo fa. 

C.N.: La decisione di aprire il sito è avvenuta in un’estate particolare, nella quale è andato in pensione proprio Bruno Pizzul. Io, all’epoca, in RAI, ero in corsa per diventare il telecronista. Per tutta una serie di motivi, mi sono ritrovato da una potenziale posizione n° 1 o n° 2, alla posizione n° 5. In questi casi o ci si lascia andare alla delusione, oppure si reagisce. Io, con carattere e temperamento, ho reagito, andandomi a cercare gli spazi che purtroppo, in RAI, non avevo più. E le conseguenze di questa scelta sono state due: anzitutto ritrovare, in un web in grande crescendo, lo spazio perduto, con un sito tutto mio. Poi, ho potuto così trovare spazi anche al di fuori dello sport: nel 2006 sono diventato scrittore cattolico, per le Ed. San Paolo, tant’è che ho appena pubblicato il mio quarto libro in sei anni: “Anche la fede ha il suo alfabeto”. Quando capitano eventi negativi, nella vita, bisogna sempre reagire, seguendo il proverbio dei nostri nonni, ‘ si chiude una porta, si apre un portone’.  Se allora fossi divenuto il primo cronista della RAI sicuramente mi sarei seduto, non potendo avere nuovi interessi, ed avrei pensato solo a quello. Probabilmente mi sarei impoverito, dal punto di vista culturale. Ed invece, pur non essendo un ragazzino, mi sono cercato nuovi spazi, ed ho allargato a 360° la mia capacità di scrivere. E’ stato un passaggio doloroso, ma che ha portato dei bei frutti.

A.D.V.: Passiamo all’attualità calcistica. Parliamo di Inter: in uno dei tuoi ultimi pezzi descrivi l’esperienza di Gasperini, all’Inter, come quella dell’uomo giusto al momento sbagliato. Solo adesso, l’Inter, compra infatti gli uomini che avrebbe chiesto lui: ma la sua Inter, con Palacio e forse Lavezzi, dove sarebbe arrivata? 

C.N.: Sicuramente sarebbe stata una stagione diversa. Lui avrebbe impostato la fase offensiva, determinante nel suo gioco, in maniera migliore. Con Lavezzi, Palacio, Eto’o, Milito, Pazzini, beh, avrebbe avuto una rosa d’attaccanti straordinaria. Se a Gasperini, integralista del 4-3-3 e del 3-4-3, con due attaccanti esterni ed uno centrale, non si mettono a disposizione gli uomini che chiede, non ha senso chiamarlo. Anche perché Gasp fu la settima/ottava scelta, venne chiamato tardi, con la campagna acquisti già iniziata. In questo senso ha avuto molte più responsabilità la società che non Gasperini. Di lui si può dire magari, rispetto a Conte, che non avendo a disposizione il materiale umano richiesto, avrebbe potuto rinunciare in partenza al suo disegno tattico. Ma questo, ovviamente, col senno di poi.

A.D.V.: Passiamo al Milan: tu recentemente hai ‘consigliato’ al Milan di ripartire da tre punti fermi, Thiago Silva, Montolivo ed El Shaarawy. Non citi Ibrahimovic.    

C.N.: In quell’occasione volevo solo parlare di quei giocatori perché parlavo di mercato, e di giocatori da non cedere, il discorso era un pò diverso. Non ho citato Ibra perché escludo che il Milan se ne possa privare: è giusto, quando hai uno dei tre giocatori più forti del mondo, ripartire anche da lui. Quest’anno, poi, è impossibile contestare uno che ha segnato, in totale, ben 35 gol complessivamente. A lungo, peraltro, in testa alla classifica degli assist, chiudendola poi in quarta posizione. Come scrissi una volta, Ibra è ‘uno e trino’ , perchè segna, apre i varchi ed è un ottimo rifinitore…Cosa gli si può chiedere di più? Tecnicamente, nulla. Ibra è oramai un giocatore fatto, anche come uomo, e difficilmente potrà cambiare. Gli si potrà solo chiedere un po’ più di coinvolgimento sentimentale e professionale nelle vicende del Milan. ma se avesse anche questo, sarebbe forse il più forte del mondo.

A.D.V.: Andiamo alla Juve. Recentemente hai discusso del bomber che la società prenderà: uno tra Higuain, Drogba, Van Persie, Suarez, Cavani…Ma, potendo scegliere, chi sarebbe preferibile per il calcio di Conte?

C.N.: Comincio dicendoti che ho saputo da fonti certe che Drogba non rientra assolutamente nei piani della Juve. Con certezza ti dico che se i dirigenti della Juve potessero scegliere, prenderebbero Cavani, sicuramente. Ed i dirigenti della Juve continuano a lavorare per trovare una soluzione: anche se sui giornali si parla di altro, nonostante Marotta abbia detto che prenderà uno tra Higuain, Suarez e Van Persie. Non ha potuto dire la verità, ma il giocatore perfetto per Conte è proprio Cavani. Sono d’accordo tutti: il problema è che è un sogno irrealizzabile, perché il Napoli non si priverà sia di lavezzi che di Cavani. In questi casi non scordiamoci, però, che le volontà dei calciatori, hanno un grosso peso: se fanno capire ai dirigenti che vogliono andare altrove, fanno di tutto per riuscirci. E Cavani ha un doppio grande rammarico: quello di non fare la Champions, e di non avere un ingaggio adeguato. So che la Juve arriverebbe a spendere 30 milioni in 5 anni, 6 milioni all’anno: molti di più di quelli che prende al Napoli. Con la certezza d’esser titolare. Lui è un bomber molto mobile, anche di Matri e Borriello: sarebbe la punta centrale ideale.  

A.D.V.: Domanda secca, Carlo: quanti scudetti ha la Juve? 

C.N.: E’ presto detto: la Juve ha trenta scudetti vinti sul campo. Adesso c’è un elemento in più, al di là della convinzione dei tifosi, per poterlo dire. La giustizia ordinaria ha deciso che i comportamenti di Moggi non hanno influenzato i risultati delle partite prese in considerazione dalla giustizia sportiva. Dunque è giusto farsi forti d’una decisione ufficiale, per dire che gli scudetti sono stati, tutti, vinti sul campo. Io, però, ho un gran rispetto morale ed ideologico per le istituzioni, soprattutto in quest’epoca della ‘morale fai-da-te’, in cui non possiamo accettare anche la ‘giustizia fai-da-te’. Se ognuno si facesse giustizia per conto proprio sarebbe una giungla. La giustizia sportiva dice che gli scudetti sono 28: ma detto questo la giustizia sportiva ha il dovere di riaprire quel discorso,perché se quella ordinaria dice un’altra cosa, questo è più che sufficiente per riaprire quel capitolo, e ridiscutere quel processo sportivo, che fu frettoloso ed assolutamente incompleto. Comprensione per chi dice che gli scudetti sono 30, ma rispetto per la giustizia sportiva: però, invitandola a prendere atto di quella ordinaria, che le è superiore.   

A.D.V.: Chiudiamo parlando di Alex Del Piero, che ieri ha salutato la Juve con la sua ultima conferenza ufficiale. C’è una cosa che vi accomuna: hai scritto il tuo primo articolo da giornalista nel novembre del ’74: proprio quando nacque Alex… 

C.N.: Non c’avevo mai pensato, lo sai ? Scrissi il mio primo pezzo su una rivistina locale, ‘Calciofilm’…

A.D.V.: Insomma: la tua intera carriera professionale si sovrappone alla vita di Del Piero: il destino vi associa. Ho avuto peraltro il piacere di ascoltare la tua cronaca della sua partita d’addio, commovente quanto il suo saluto alla Juve. Raccontaci i suoi momenti più belli.

C.N.: Umanamente ho il ricordo che risale alla sua esperienza in Under. Aggregato molto più giovane rispetto agli altri, era già determinato, riservato, prendeva tutto molto sul serio: stava nascendo un gran professionista. Professionalmente i momenti sono tre: uno è il gol contro la Fiorentina del ’94-’95, perchè oltre che bellissimo, quel gol servì alla Juve per capire che stava tornando ad essere una grande squadra, fornendole autostima e convinzione nei propri mezzi. L’altro è il gol di Tokyo, in finale di Intercontinentale, ed infine il gol dello 0-2, che segnò contro la Germania ai Mondiali del 2006: Alex in Nazionale non era mai stato fortunato, aveva già superato la trentina…Ed io stesso non avrei mai scommesso che sarebbe divenuto Campione del Mondo con l’Italia. E invece c’è riuscito, apponendo anche la sua firma: non è uno dei suoi gol più belli ma ha un’importanza ed una profondità eccezionali.

A.D.V.: Chiudo con una curiosità, che riguarda il Torino, appena tornato in Serie A: ricordi l’episodio della buca di Maspero? Come lo inquadri?

C.N.: Ricordo la partita, ma nei servizi non ne parlai perché la cosa venne fuori poi, leggendo i giornali. Nel calcio ci sono cose scritte e cose non scritte che determinano la lealtà sportiva. Quelle non scritte sono dettate dal buon senso: è naturale che un gesto del genere non è leale nei confronti dell’avversario. ma volendo dare un’altra chiave di lettura, probabilmente un giocatore d’un’altra squadra non l’avrebbe fatto. Il Torino, contro la Juve, per tutta la sua storia, ha sempre vissuto i derby come grandi occasioni di riscatto verso il destino. Per poter ottenere il riscatto, il Toro è sempre stato disposto a tutto: ed al di là del massimo impegno dei giocatori, ci mettiamo anche quel perdonabile ‘trucchetto’. Un episodio certo non da insegnare, ma nello stesso tempo spiegabile così. 

Salutiamo Carlo, e lo ringraziamo per la bellissima chiacchierata, in cui i contorni del calcio sono stati toccati tutti, con la grande passione e competenza che lo contraddistinguono. Invitiamo tutti voi a continuare seguirlo sul suo sito ufficiale, CarloNesti.it .

Alfredo De Vuono per Fantagazzetta

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