I perché di Kakà, Aquilani e di uno sciopero giusto

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Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

26.08.2011 00:00 di Luca Serafini   articolo letto 1164 volte

© foto di Pietro Mazzara

A metà luglio la Fiorentina aveva praticamente concluso l’ingaggio di Aquilani. Mancavano le firme, giornali prudenti e meticolosi come “La Nazione” si erano sbilanciati sull’ormai imminente avvicinarsi dell’ufficialità, quando una fonte vicinissima ai viola ci disse: “Lo prende il Milan”. Dalle fonti rossonere invece trapelò soltanto la voce secondo cui un centrocampista era stato effettivamente bloccato, potendosi considerare già preso e che le condizioni erano talmente favorevoli, che il suo acquisto non avrebbe precluso l’eventuale conclusione della trattativa per Fabregas. Oggi il quadro è chiaro: Fabregas è stato accontentato, troppo forte la sua volontà di tornare a casa; Aquilani pure, preferiva il Milan alla Fiorentina. Il Milan continuerà a seguire Ganso e qualche altro centrocampista in prospettiva. Aquilani non è un ripiego, è un’alternativa gradita ad Allegri convinto di regalare all’ex romanista quella continuità che gli è finora mancata in carriera. Aquilani dal giorno del suo esordio è rimasto nel limbo delle promesse, dei talenti inespressi, arginato anche da una fragilità fisica allarmante. La qual cosa, sommata all’infortunio di Flamini, all’integrità minata di Gattuso e Ambrosini, all’anagrafe di Van Bommel e Seedorf, alle cessioni di Merkel e Strasser, asciuga il reparto di centrocampo al limite. Vero è che che Boateng è sempre passibile di arretramento, Thiago Silva di avanzamento ed Emanuelson di utilizzo, ma si tratta in 2 casi su 3 di aggiustamenti e non di soluzioni. E’ lecito pensare che in via Turati stiano lavorando di conseguenza, avendo intonato come unico refrain dell’estate il fatto che il mercato si chiuderà il 31 agosto alle 19 e quindi fino ad allora tutto può accadere.

Diverso il discorso che riguarda Kakà. Come nel caso di Shevchenko qualche anno fa, Berlusconi lo attende a braccia aperte. Ma aperte, appunto, non essendo disposto a tenderle in avanti: o il Real accetta la formula dettata dal Milan e che riguarda sia il costo del cartellino (zero) sia l’ingaggio del giocatore (ne pagherebbe solo una parte), o non se ne fa niente. Anche perché Allegri, con in casa Cassano, Inzaghi in recupero, El Sharaawy in prospettiva, di un altro attaccante e per di più delle caratteristiche di Riky da aggiungere a Pato, Ibra, Robinho e allo stesso Boateng che fino a prova contraria occupa uno dei 3 posti in prima linea, non sa che farsene. E non avrebbe molto tempo per sperare di vincere infine la scommessa di rimetterlo in piedi dopo 3 stagioni lontanissime dal suo rendimento. A noi restano soltanto l’affetto e la simpatia per Kakà, un’immagine serena e pulita del calcio. Ma un’immagine, appunto. Detto tutto, non ci pare che il mercato rossonero, senza cessioni e con l’ingaggio di Mexes, Taiwo, El Sharaawy e Aquilani, con qualche altra operazione in preventivo (magari anche a gennaio) sia stato peggio di quello delle rivali in campionato. In Europa il gap resta ancora alto, ma Ibra e Pato potrebbero limarlo con decisione.

Lo sciopero che i calciatori di serie A minacciano da mesi, molto diverso nei contenuti da quello della Liga, non può suscitare soltanto frasi populiste come quella secondo cui, in un momenti di crisi economica e di recessione così grave che attraversa il mondo, la serrata dei milionari è indecente. Ci siamo chiesti perché ultratrentenni con il conto in banca gonfio come Tommasi, Gattuso e Oddo si diano tanto da fare e ci è venuto il sospetto che si battano per una causa che non riguarda loro, ma colleghi meno abbienti. Ci siamo chiesti se nel nostro calcio, i ricchi che sprecano, sbagliano, ci assordano con le loro incoerenze e le loro arie di infallibili prepotenti, buttano soldi nello sciacquone come se fossero mozziconi di sigaretta, siano i giocatori appunto, o i presidenti. Rispondiamo che sono i presidenti. Sono loro, che allestiscono rose di 30 e più giocatori e poi vogliono metterne qualcuno fuori rosa senza giusta causa. Sono loro, che strapagano i contratti e poi se ne pentono. Sono loro, che cacciano gli allenatori in agosto e ne tengono a libro paga anche 3 in una sola stagione. Sono loro, che litigano in Lega, che si avventano sui diritti tv, che accumulano debiti, che non riescono a riempire gli stadi e a coltivare campi da gioco decenti, che si disinteressano dei tifosi ma sono complici delle frange più violente, che gestiscono la quinta azienda italiana come se fosse il loro personalissimo Luna Park. Nella sua conferenza stampa di presentazione, il DG della Roma Sabatini a fine maggio disse che Borriello era un problema per la Roma. Perché dopo tre mesi lo hanno fatto giocare 10 minuti in Europa League, precludendosi da soli molte opportunità di mercato? Chiedete a Galliani come mai in un Paese che lui sbandiera sempre come privilegiato nel calcio per i regimi fiscali, esistano società sull’orlo del fallimento e che non pagano stipendi, non onorano i contratti, mandano a rotoli la Liga. Chiedete a Galliani perché in Italia la gente non va allo stadio, il marketing non sfiora nemmeno i fatturati inglesi, ma in Germania il Bayern Monaco impone ogni giorno a due suoi giocatori di fermarsi a firmare cartoline, magliette e fare fotografie con i tifosi comuni che li aspettano fuori dal campo di allenamento.

Bisogna leggere nelle pieghe di questo sciopero annunciato, non fermandosi in superficie: questo sciopero non è per i miliardari viziati né contro i presidenti, ma per normative sbagliate. E’ comunque uno sciopero che si ritorce contro di loro, contro i veri ricchi arroganti, supponenti, che sono i presidenti e non i giocatori. Già solo per questo, è uno sciopero giusto. Giustissimo.

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