Il Doping nel calcio e i limiti della sicurezza negli stadi italiani

Rossonerosémper

Il Doping nel calcio e i limiti della sicurezza negli stadi italiani

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La morte in campo di Morosini

La morte di Morosini è stata una tragica fatalità. Nel titolo di questo post è presente anche la parola doping. In questo caso forse non si dovrebbe parlare di doping, ma è opportuno entrare in un discorso un po’ più profondo, senza però fare proclami senza senso. Intanto lunedì si doveva riunire anche l’AIC, ma l’incontro è stato rimandato. Damiano Tommasi ha detto: “Vogliamo capirne di più, torneremo sull’argomento”.

MALORI IN CAMPO – Sono troppi i malori in campo, ve ne sarete accorti. In nessun altro Sport stanno capitando queste situazioni al limite del surreale. Vi ricordate Foè, il centrocampista del Camerun, deceduto durante la Confederation Cup del 2003? Nel 2004 ad andarsene fu Paulo Sergio “Serginho” del Sao Caetano, stessa dinamica. E che dire del calciatore spagnolo Antonio Puerta, morto a 22 anni nel 2007 all’inizio del campionato spagnolo? Le morti in campo sono state tante, in Italia se ne trova traccia anche negli anni ’60 e ’70. Giuliano Taccola, pisano, di Uliveto Terme, ex calciatore della Roma, morì in campo, non senza avvisaglie. I medici e il”mago” Herrera scelsero comunque di farlo giocare nonostante gli fosse stato diagnosticato un vizio cardiaco. Un caso di scelleratezza e mala sanità. Un altro caso di morte improvvisa fu quello che accadde nel 1977 a Renato Curi, all’epoca 24 enne, che esattamente come Morosini, dopo uno scatto, si accasciò e morì per arresto cardiaco. Muamba invece è stato più fortunato, ormai quasi morto, è stato riportato in vita e preso per i capelli.

Giuliano Taccola

DOPING? – Il problema del Calcio però è anche la poca attenzione al Doping. Pensate che fino a 2 anni fa in Champions League i controlli antidoping si intensificavano solo a partire dalle semifinali, mentre adesso a partire dalle gare a eliminazione diretta iniziano a esserci controlli più severi, e, invece dei soliti test a sorpresa, da pochissimo tempo in Champions si controllano tutti i giocatori, vera novità per il calcio europeo, anche nella fase a gironi. In Serie A invece il più delle volte avvengono controlli con sorteggio. Insomma, rispetto al ciclismo, dove i controlli a sorpresa da molti anni sono all’ordine del giorno, e i corridori vengono sorpresi anche di notte o la mattina presto per eseguire tali test, nel calcio si continua invece a ignorare questo problema, forse per i troppi soldi in ballo. È così che rapidamente in Spagna, per quanto riguarda il ciclismo, la Federazione ha permesso più volte ai dopati di proseguire e continuare a correre e alcuni medici coinvolti in operazioni importanti, come l’Operación Puerto, hanno dichiarato di essere stati vicini ad alcune squadre di rilievo. Il più famoso di tutti, Eufemiano Fuentes, dichiarò nel 2010: “Se parlassi del calcio, non ci sarebbero né Europei né Mondiali per la Spagna”. Una frase di due anni fa che ovviamente nel Calcio è stata fatta cadere nel dimenticatoio, mentre nel Ciclismo è prassi continuare a indagare. Due pesi e due misure.

Eufemiano Fuentes, il “Dottor Doping”

MOROSINICosa c’entra però il Doping con Morosini? Apparentemente nulla. Il problema più grande in questo caso è la malasanità e la poca attenzione alla salute dei calciatori. A volte i certificati medici vengono fatti sulla fiducia, altre volte ci si accanisce troppo sul fisico degli stessi calciatori per permettergli di giocare grandi quantità di partite. È il caso di Batistuta, che ha dichiarato di non poter più riuscire a correre, per via delle troppe infiltrazioni che gli sono state fatte negli anni. Ma perché accadono tragedie come quella di Morosini? Cosa porta a questo aumento così improvviso di casi negli ultimi anni di arresti cardiaci? Perchè i calciatori sono i più colpiti dalla SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, che ha fatto tante vittime specialmente tra i calciatori del Como degli anni ’70 e ’80 e, non ultimo, anche l’ex calciatore Borgonovo, condannato a questo supplizio? Tante domande che non trovano risposta, forse perché non si vuole indagare a fondo. Esisono delle indagini in merito, la speranza è che anche nel calcio non si abbia quella paura di farsi domande che il ciclismo ha fortunatamente messo da parte, per cercare di salvaguardare la salute dei propri atleti prima di tutto.

Maurizio Alberti con altri tifosi pisani

SICUREZZA – Altro problema grosso connesso alla morte di Morosini è quello della sicurezza negli stadi. Sì, avete capito bene. La morte di Maurizio Alberti, tifoso del Pisa, a cui è intitolata la Curva dello Stadio Romeo Anconetani, morto a Febbraio nel 1999 durante La Spezia – Pisa a causa del ritardo dei soccorsi non ha insegnato nulla. Intanto si continuano a usare inutili tessere del tifoso, tornelli e i quartieri vengono sigillati quasi ermeticamente durante le partite. In Italia dovrebbe cambiare qualcosa da questo punto di vista. Altro che sicurezza negli stadi, se poi i vigili sono i primi a parcheggiare dove non devono. Intanto si preferisce magari chiudere un quartiere e accanirsi sui tifosi, con uno spreco non indifferente di forze dell’ordine, spesso impiegando più unità del dovuto in contesti più che pacifici, mentre l’attenzione dovrebbe essere rivolta altrove. Ed ecco che mancano inspiegabilmente i defibrillatori in campo, quando il costo di un singolo defibrillatore è di 200 euro, e avrebbe potuto salvare la vita del calciatore del Livorno, come in questo caso. Solo il tempestivo intervento di due medici e l’utilizzo del defibrillatore ha salvato la vita al calciatore dilettante Massimo Proietti.

Articolo pubblicato anche su michelebufalino.com

Il dottor Maurizio Cecchini, cardiologo e docente dell’Università di Pisa lancia un j’accuse per il mancato utilizzo del defibrillatore in campo:

“Guardate come viene trasportato verso l’ambulanza. Non un defibrillatore, non un massaggio cardiaco, non e’ incubato. Solo un pallone Ambu, non messo in azione.” Prosegue Cecchini: “Il DAE ci deve essere. Se c’e’ un medico lo usa il medico ma ci deve essere. se il medico non l’ha incubato e o massaggiato se ne deve assumere le responsabilità’ (se c’era il kit incubazione sulla ambulanza).”  E ancora, sulla sua pagina Facebook: “Non c’e’ defibrillatore, non e’ massaggiato non e’ intubato. La devono smettere di giocare a medici e soccorritori […] quei medici sportivi non sanno la differenza tra una DAE ed un tostapane. Niente defibrillatore, niente massaggio cardiaco, non incubazione. Come avrebbe potuto sopravvivere?” Infine, la filippica termina con una riflessione a freddo: “è l’ignoranza che miete vittime, la faciloneria, l’approssimazione. La conoscenza, lo studio riducono la mortalità’. Sono 5 anni che propongo all’Ordine dei Medici di poter tenere un corso sulla defibrillazione precoce, obbligatorio per tutti i Colleghi, in modo che sappiano usare i DAE (ne ho messi 54 nei vari campi sportivi, palestre, scuole ,etc..di Pisa). Nessuno mi ha mai ascoltato. Voi pensate forse che sappiano davvero le potenzialità’ di queste banali macchine? Che saprebbero usarli nella confusione di un arresto cardiaco per strada? Si pensa che l’emergenza sia un gran correre, darsi da fare. L’emergenza non e’ niente di tutto questo. Gestire l’ emergenza e’ il sapere, la conoscenza, la fatica di studiare e di insegnare.”

 Parole dure, che lasciano presagire il fatto che potrebbe essere aperta un’inchiesta in merito.

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