Il nuovo Milan e i rimpianti di Ibra: 100 milioni di motivi

11.10.2012 21:15 di Antonio Vitiello Twitter: @AntoVitiello  articolo letto 295 volte

Fonte: Di Andrea Losapio per Tmw

© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport

Zlatan Ibrahimovic scarica la bomba, Mino Raiola agisce da pompiere. E’ sempre stato così, fin dai tempi dell’Inter, e così sarà in saecula saeculorum. Nei secoli dei secoli, per chi non mastica il latino, come a dire per sempre. “Se il Milan avrà bisogno, saprà dove trovarmi”. Questa in sintesi la lettera d’amore spedita dallo svedese, già capocannoniere della Ligue 1 e assoluto protagonista di questo primo scorcio di campionato.
Ha tolto le castagne dal fuoco, Ibra. Con le sue frasi a effetto e il sorriso sornione, ha coperto le magagne di un Paris Saint Germain che ha faticato a ingranare, salvo poi prendere i giri e recuperare l’Olympique Marsiglia in men che non si dica. Insomma, viene da pensare che questa squadra sia l’unica competitiva in Francia per lo scudetto, nonostante per ora i marsigliesi siano comunque davanti di tre punti (e lo scontro diretto finito pari).
Viene però da pensare alla politica milanista nei confronti di Ibra e Thiago Silva. In due sarebbero andati a prendere circa 36 milioni di euro annui (se il brasiliano fosse rimasto), poco più di un terzo dell’attuale rosa che si attesta intorno ai 100 milioni. Impossibile trattenerli, a queste cifre. A meno che il Milan non avesse preso l’intenzione di una politica da franchigia NBA: uno o due superstipendi e poi giocatori di medio calibro, dei veri e propri portaborse al servizio dei due campioni. Il basket non è il calcio, è vero, ma in un campionato come quello italiano Thiago e Ibra hanno di fatto esaltato, da soli, una squadra altrimenti di livello medio. Quest’anno lo sta dimostrando senza prove d’appello, con Pato e Robinho fermi ai box, El Shaarawy è il più in vista di tutti pur guadagnando come un giocatore medio di Serie A: Nocerino è uno sparring partner, Boateng un’espressione che esprime dubbio (a scarso di equivoci “boh?”), Pazzini – che non ci sarebbe stato – trova spazio con qualche difficoltà.
Troppo poco per competere con la Juventus, ma forse pure con quelle formazioni di alta classifica che da tempo fanno di necessità virtù, come la Lazio. Passare da cicala a formichina è un passo difficile da compiere, ma è altresì probabile che il Milan avrebbe potuto comunque costruire una squadra competitiva cedendo altri prezzi pregiati e tenendosi i due investimenti più importanti. Perché scendere di 36 milioni di euro non è cosa semplice, ma Pato rimaneva comunque uno degli obiettivi del PSG: perché non tenersi almeno l’uomo copertina, il centravanti che spaccava le difese, e vendere il Papero che fra poco più di venti mesi andrà in scadenza contrattuale?
Vero è che vendere Ibra era un’occasione da adesso o mai più, ma è altrettanto pensabile che ora il Milan, con un bilancio in positivo, possa far gola a più di un acquirente. Servirà probabilmente la legge sugli stadi per dare la spinta decisiva ai vari imprenditori che seguono da vicino le situazioni rossonere.
Detto questo, per il nuovo Milan c’è l’opzione Guardiola, che assomiglia a una enorme operazione di marketing più che a un concreto obiettivo di mercato. Non tanto perché il tecnico non ami le sfide, o perché possa chiedere un ingaggio altissimo (i primi due anni al Barça non guadagnava nemmeno come le riserve), bensì a uno specchietto per le allodole: questo Milan non è semplice da rialzare, e non lo sarà finché penserà di potere dominare l’avversario. Tocca avere uno spirito da provinciale, onde evitare bruschi risvegli.

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