La fatal Verona, due scudetti persi e uno …

Canale Milan

di Riccardo Zavagno

Ogni volta che il Milan gioca a Verona è immancabile il riferimento, e purtroppo il ricordo, alla fatal Verona, anche se oggi il posto dell’Hellas è stato preso dal Chievo. Fatal Verona, 20 maggio 1973, ultima giornata di campionato. Il Milan arrivava stanco e svuotato dalla finale di Coppa delle Coppe vinta contro il Leeds United 6 giorni prima, e perse la partita. Perse lo scudetto all’ultima giornata, lo scudetto della stella. Il Milan diretto da Rocco e Cesare Maldini, il Milan dei Rivera, Chiarugi, Anquilletti, Prati. Quel Milan perse e pianse con dignità.
E chissà se nascoste tra le gocce di pioggia cadute ieri al Bentegodi, c’erano anche le lacrime rimaste negli spogliatoi 30 anni fa. Mi piace immaginare che questa magia si sia compiuta e che ne sia nata una sorta di pozione magica che bagnando i rossoneri gli abbia conferito nuova linfa, nuova forza, nuove energie togliendo di dosso le scorie di polemiche e Champions League.

È stato bello vedere De Sciglio avere il coraggio di sbagliare un disimpegno, alzare le mani per chiedere scusa ed accanto scorgere Nesta che lo applaudiva, incoraggiandolo come un padre.
È stato epico seguire al 60’ la cavalcata di capitan Gattuso in versione “Braveheart”, che accerchiato dai giocatori del Chievo, si è prodigato in una cavalcata di 50 metri palla al piede. L’ha difesa finché ha potuto, finché aveva fiato, fino a che è stato costretto a chiedere il cambio. Certo mancava il cavallo, ma la bandiera che esibiva l’ha onorata e sfoggiata con orgoglio. Quella bandiera non la stava impugnando, bensì la indossava a pelle.
Fuori Gattuso dentro El Shaarawi, 14 anni di differenza ma il tema rimane lo stesso: remare sotto la pioggia tutti uniti nella stessa direzione.
Questa pioggia mista a ricordi è stata assorbita anche da Zambrotta, Seedorf, Emanuelson e Nocerino rendendo per quanto possibile indolore la fatica e le stanchezze accumulate fino ad ora.
Ha lavato le ferite della battaglia sul volto di Yepes, ed ha celebrato l’unico intervento della partita di Abbiati.

E che dire di Allegri, che tutti danno per partente, in rotta con il Presidente Berlusconi e con Ibrahimović. Esaltato anche lui dalla condizioni climatiche, forse anche per questo lo chiamano “acciuga”, ha estratto dal cilindro il coniglio, ovviamente bagnato, di Muntari frangiflutti davanti alla difesa, in stile Desailly. Promosso con lode e premiato con gol. Nonostante il vantaggio di un solo gol e con la squadra decimata dagli infortuni il tecnico rossonero non rinuncia a tenere una squadra col baricentro alto e votata all’attacco. Basta vedere i cambi.

Infine Robinho che in uno scatto ha intrecciato le sue gambe votate alle finte, ruzzolando a terra.
O forse è semplicemente inciampato sull’anima della maglia di Van Basten che si aggirava ancora in quel campo, che ancora oggi non si dà pace. Quella maglia che è stata maltratta per tutta la partita ed infine lanciata come segno di protesta a Lo Bello, che non esitò ad annotarne il numero sotto la colonna espulsioni. Questa è l’altra fatal Verona, quella del 1990. Quella delle 4 espulsioni, quella che fece perdere al Milan un altro scudetto.
De Sciglio ed El Shaarawy dovevano ancora nascere quando si consumò la fatal Verona di Sacchi, mentre Strasser forse aveva già preso un cartellino giallo, nonostante i suoi pochi giorni di vita.
Ma tutti e tre oggi comunque potranno dire di aver vissuto la loro Verona e di aver contribuito ad una partita che, a prescindere da come si evolverà il campionato, rimarrà indelebile nei cuori dei tifosi e negli almanacchi del Milan.

Per una volta le polemiche non ruberanno spazio alla celebrazione di una vittoria contro il Chievo Verona. Una vittoria che non sarà rinomata e prestigiosa come altre, ma sicuramente è intrisa di sofferenza, dolore, spirito di sacrificio, abnegazione ed infine gioia. Aggettivi da Milan, che devono trasformarsi in segni indelebili nella conquista dello scudetto.
Il forcone del Diavolo ha già assaggiato l’asino, l’aquila, il biscione. È giunta l’ora della zebra.

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