La ritirata strategica

Milan Night

oil dollars La ritirata strategicaChe non sappiano che pesci pigliare lo si intuisce leggendo i nomi che circolano sui giornali. Nomi e ipotesi che in buona parte rispecchiano la verità. Il tiro si sta abbassando giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Se prima si parlava di Tevez, oggi si sussurra di Matri. Se prima si sognava Xabi Alonso oggi si sonda Palombo.

Il velo di Maya calato sulle strategie rossonere, dopo le cessioni di Thiago e Ibra si sta rapidamente alzando, svelando una realtà amara, ma tutta da decifrare. Per ora di certo c’è soltanto un’evidenza. La società ha tirato i remi in barca, o meglio, sta smantellando la corazzata e la sta rimpiazzando con un canotto. Dietro a questa evidenza, però, si nascondono diverse chiavi di lettura, interpretazioni, che in questo momento valgono più di un colpo di mercato o di un innesto low cost.

Mettendo un attimo da parte l’incazzatura, tentando di non farsi condizionare dal triste spettacolo del tramonto degli Dei, appare di tutta evidenza che questo nuovo Milan non può avere futuro – almeno a certi livelli – e soprattutto non può più rappresentare un valore aggiunto per chi ci mette ancora i soldi. Che per pochi che siano, son sempre soldi investiti e che non tornano indietro nemmeno vendendo i pezzi migliori dell’argenteria di casa ogni due anni.

Questo ridimensionamento, quindi, si presta a una sola interpretazione: la proprietà sta vendendo, o meglio, sta tentando di vendere. E se per cedere una mansarda basta mettere un annuncio sul giornale, per vendere una villa di mille metri quadrati con piscina e dieci ettari di giardino bisogna prima metterla a posto, mettere a norma gli impianti, sistemarla per bene e darle pure una mano di bianco. Bisogna renderla appetibile a chi – e non sono tanti – ha nel portafogli la liquidità per acquistarla, a chi con molto meno può prendersi una catapecchia e trasformarla in un castello.

Vendere il Milan non è semplice. Per niente. Più facile cedere il Malaga o il Fulham, ancor più agevole, per gli investitori, acquistare una squadretta e renderla grande con palate di milioni freschi. Non è un caso se sceicchi e magnati vari abbiano preso City, Malaga e Psg – squadre senza storia, relegate fino a ieri nelle periferie del pallone – guardandosi bene dal mettere le mani su Manchester United, Real Madrid, Barcellona. Anche il Chelsea, prima dell’arrivo di Abramovic, aveva vinto poco o nulla.

Per convincere qualche fondo di investimento a mettere le mani sul Milan bisogna fare pulizia, ridurre all’osso, azzerare debiti e pendenze e sperare che ci sia qualcuno disposto a cacciare qualche centinaio di milioni di euro per accollarsi baracca e burattini. Sì, perché il Milan è valutato quasi un miliardo. E i debiti che la società ha contratto in questi anni con l’azionista di riferimento e con le banche non possono essere cancellati con un colpo di spugna. Vanno pagati. Perché saranno sempre numeri, ma a bilancio pesano eccome. Per farla breve occorre chiarire per bene un concetto che in tanti non hanno ancora afferrato. Il Milan non può essere “regalato”. Costa caro. Anche a volerlo “regalare”

Non voglio entrare nel dettaglio tecnico finanziario perché questa è materia per commercialisti. Provo a sintetizzare ciò che i commercialisti han tentato di spiegarmi: la società Milan è controllata integralmente da Fininvest. Che in questi anni ha “imprestato” parecchio denaro alla sua controllata. Denaro che a bilancio figura come un credito, esigibile, che Finivest vanta nei confronti del Milan. Soldi – e si parla di cifre che oscillano da 3 a 400 milioni di euro – che Fininvest inserisce nel proprio bilancio. E che non possono essere cancellati con un colpo di spugna. Oltre a questo credito Finivest ogni anno versa nelle casse della società i milioni di euro necessari a ripianare il bilancio, ovvero le perdite che ogni anno il Milan produce. Che quest’anno ammontano a circa 65 milioni.

Le cessioni di Thiago e Ibra, quindi, non vanno a coprire quel debito, ma soltanto le perdite di un anno. Il primo passo, nulla di più, quindi. Un passo però importante che unito alla riduzione del costo del personale – gli ingaggi – va nella direzione di sistemare i conti, di trasformare una società indebitata che ogni anno perde numerosi milioni di euro in una società indebitata ma sana, in pareggio se non in attivo. Tutto questo è sufficiente per attrarre investitori? Fose sì. Ma non è così scontato. Perché chi volesse mettere le mani sul Milan dovrà comunque pensare – come minimo – a sistemare quell’esposizione che la società ha verso il suo attuale azionista di riferimento. E siccome di questi tempi 300 e rotti milioni di euro sull’unghia sono tanti anche per arabi e russi, è realistico suppore che l’eventuale cessione del Milan non porterebbe un euro di guadagno nelle tasche del presidente e di Fininvest.

Il perché è presto spiegato: per acquistare il Milan un eventuale magnate dovrebbe come minimo restituire a Finivest quanto Finivest ha imprestato al Milan. Sempre che l’attuale proprietà decida di cedere la società senza guadagnarci un euro, accontentandosi di non rimetterci. A questi soldi vanno poi aggiunti quelli per il rafforzamento della squadra. E con le cifre che corrono – guardando gli esempi di Psg e City – è verosimile quantificare, come minimo, in 200 milioni la somma da investire per il rafforzamento della squadra, per portarla in pochi mesi al livello dell big europee. Esiste qualcuno disposto a spendere 600 milioni di euro malcontati per accollarsi il Milan, quando con un quarto di quella somma può ottenere gli stessi risultati acquisendo – ad esempio – il Marsiglia o il Tottenham?

La risposta è un’incognita, la speranza invece è concreta. I dati diffusi da Forbes mettono il Milan al primo posto tra le società italiane per valore del marchio. I trofei e la storia della società rappresentano un biglietto da visita da non sottovalutare. La speranza che l’articolo interessi non è poca, ma passa necessariamente dalla dieta forzata che stiamo vivendo.

Il futuro, a breve-medio termine è ancora un’incognita. Ma forse questa nuotata nello sterco rappresenta l’unica via per tornare su lidi sicuri e per poter rivedere la luce.

Marco Traverso

Twitter: @marcotraverso75

Post Originale:
La ritirata strategica

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