Le insidie di Natale: il Barcellona, Zeman e la testa in Brasile

22 Dic 2012 20:45
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Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.

21.12.2012 00:00 di Luca Serafini Twitter: @lucaserafini4  articolo letto 705 volte

© foto di Pietro Mazzara

Immediatamente il sorteggio di coppa, l’amico Andrea Torti – milanista doc come il suo gemello Marco Meloncelli – ci ha mandato un sms: “Bisogna rivedere la formula, non è giusto che il Barcellona vada fuori agli ottavi”. Bella ventata di ottimismo per una tifoseria che ad agosto temeva Zenit e Malaga. Senza sbagliarsi di troppo: con gli spagnoli un punto in 2 partite… La realtà è questa: siccome non era necessario spaventarsi per il Barcellona, bastava e avanzava un Celtic Glasgow qualsiasi per avere dubbi sul passaggio del Milan ai quarti, diciamo ai pessimisti di essere felici perché peggio non poteva andare, con gli ottimisti (siamo sempre tra questi, altrimenti perché giocare?) abbiamo molte più cose da condividere. Se vai fuori, sei andato fuori contro i più forti del mondo. Se vai avanti (Chelsea docet) hai fatto l’impresa della vita. Magari stavolta i catalani non avranno la fortuna di regalini dagli arbitri e da qualche difensore rossonero. Magari a gennaio arriverà qualcuno pratico di sfide al Barça, chi può dirlo. Certo è che ogniqualvolta l’urna ripropone questa sfida magnifica, possiamo garantirvi che a nemmeno a Barcellona fanno salti di gioia. Il Milan per loro è sempre il Milan, quindi cominciatelo a pensare sin da adesso anche voi che tifate Milan. E soprattutto non pensate che la Juve sia stata fortunata: i bianconeri hanno vinto il loro girone alla grande, anche il Milan pescava avversari più morbidi quando vinceva i gironi.
Ora però è necessario che la testa dei rossoneri resti salda all’impegno dell’Olimpico: la squadra di Zeman a nostro avviso ha una delle rose più forti del campionato in attacco, l’allenatore boemo, per il quale nutriamo profonda stima e rispetto, ha molte soluzioni per poter cambiare in corsa, sta facendo tornare i conti anche in difesa nonostante domani sia falcidiato dalle assenze. Emergenza che può solo far sorridere sarcasticamente Allegri, sempre alle prese con una miriade di infortunati più o meno cronici in tutti i reparti. Sarà una bella partita se i rossoneri si ricorderanno di giocarla dal primo minuto con la medesima attenzione, concentrazione e determinazione che ci hanno messo contro la Juve a San Siro qualche settimana fa. Non sono concessi black-out di nessun genere, perché costano cari contro un attacco come quello giallorosso. Sarà in qualche modo un bell’aperitivo, molto anticipato, rispetto alle sfide contro il Barcellona. Il sistema di gioco romanista è analogo, ma con il vantaggio di concedere un punto di riferimento al centro della prima linea.
La testa all’Olimpico, dunque. Lontana dalla Champions e dal mercato. Dal Brasile arrivano voci di offerte importanti per Pato e per Robinho. Sono voci, da pesare e verificare. E’ un peccato prendere atto che il Papero lo sbolognerebbero volentieri moltissimi tifosi, molti compagni di squadra, probabilmente Allegri e una parte della società non coinvolta in questioni extra-calcistiche. Era il cucciolo d’oro nel 2007, è rimasto un cucciolo, un po’ randagio, smarrito, come quando attraversano la strada senza avere la cognizione del pericolo, come quando non abbaiano nemmeno se ti entra in casa Diabolik e anzi gli vanno tra le gambe per giocare. Peccato, era uno da Pallone d’oro, con una carriera fenomenale all’orizzonte che invece gli è rimasta alle spalle. Già sembra tardi. Già sembra, non da oggi, che il suo tempo al Milan sia finito. Il rimpianto e la rabbia che accompagnano i nostri editoriali su Pato da almeno un anno, ci fanno dire oggi di non perdere il treno come un anno fa, quando la trattativa saltò (e Tevez rimase a Manchester, di conseguenza…). Diverso il discorso per Robinho: pensiamo con fermezza che un professionista, tra l’altro in un mestiere così importante, dovrebbe imporsi il sacrificio della distanza dalla famiglia sapendo che a 35-36 anni sarà in pensione, e che pensione, oppure imporra il sacrificio ai suoi come fanno gli emigrati da che mondo è mondo. Conosciamo filippini e cingalesi che per sopravvivere hanno lasciato dall’altra parte del mondo genitori, fratelli, sorelle, mogli e figli, li vedono una volta l’anno pagando fior di soldi per i voli. Non hanno possibilità di scelta, e a loro, in tutta onestà e al di là di retoriche populiste, non riusciamo a spiegare in maniera convincente come un giocatore del Milan, possa avere  nostalgia del Brasile. Proprio non ci riusciamo.
Vada pure, caro Robinho. E peccato che non ci sia nessun campione filippino o cingalese che possa vestire la sua maglia: loro, cingalesi e filippini, al massimo li pagano per andare a pulire gli spalti di San Siro, così magari da qualche parte possono trovare qualcuno dei palloni che lei ci ha scaraventato in questi 2 anni e mezzo.
(L’insidia della “testa in Brasile” poteva far pensare anche alla solita partita di fine anno, storicamente ricca di trolley nei garage per schizzare al mare al fischio finale: auguriamoci che non sia così e con l’occasione aggiungo sinceri auguri di Buon Natale a tutti voi).

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