Qualcosa cambierà davvero? O al primo giocatore a terra si sentirà ancora il coro "devi morire"?

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Giornalista e anchor per Sportitalia. Opinionista per la trasmissione “Il Campionato dei Campioni” in onda su Odeon tv. Conduttrice su Radio Milaninter.

17.04.2012 00:00 di Gaia Brunelli   articolo letto 449 volte

© foto di Gaia Brunelli

E’ la seconda volta che il calcio si ferma per un lutto. Il primo fu legato a Papa Wojtyla. Questa volta a qualcosa di sconcertante. Rivedere quelle immagini è devastante. Per il cuore e per la mente. Per chi lo conosceva, o semplicemente per chi fa lo stesso mestiere o lo segue con passione. Chissà quello che ha provato Antonio Cassano ad esempio, pronto ad andare in panchina contro il Genoa, conscio di quello che è accaduto a Morosini, consapevole soprattutto di quello che ha subito lui con l’intervento al cuore. I giocatori erano sconvolti ed è difficile biasimarli. Ma, forse, quello che sarebbe servito per ricordare un giovane sfortunato, sarebbe stata proprio una sana giornata di sport. Gare giocate senza insulti verso l’arbitro, senza simulazioni, senza bestemmie, senza accoltellamenti o risse in curva tra tifosi. Senza mandarsi velatamente a quel paese in conferenza stampa. Senza recriminare. Ma semplicemente giocando a calcio e ricordando chi è morto cercando di inseguire un pallone. Perché Morosini tentava di rialzarsi, nonostante il malore, per seguire l’azione della propria squadra che si stava difendendo dal Pescara. Questo è lo spirito che va ricordato. Il calcio inteso come sport, ma anche come lavoro. Non si può esulare da questo aspetto. Non si può sobbalzare se qualcuno fa paragoni con gli operai che muoiono in fabbrica. Qui è la stessa cosa. Che piaccia o no. Il calcio è una professione. Sulla carta d’identità chi pratica questo mestiere scrive: calciatore. Ci sono sindacati e associazioni per difendere la categoria. Dati di fatto, non ipotesi. Morosini è deceduto cercando di portare a termine il proprio compito: non voleva crollare a terra perché dentro di sé sapeva di dover aiutare il Livorno. Il calcio aveva il dovere di rialzarsi e di onorare la scomparsa di un vero uomo, giocando delle vere partite di pallone. Con tutti quei moralismi che regolarmente vanno a farsi benedire. Ma perché non provarci almeno per una volta? Perché è così difficile rendersi conto che il calcio non può essere inteso solo come un gioco? Bisogna farsene una ragione. Anche perché a ricordarcelo tutti i giorni ci sono le solite lamentele, i soliti mugugni e i tentativi di portare l’acqua al proprio mulino da parte di tutti i rappresentanti del mondo calcistico. Basti pensare alle problematiche che si sono create con la sospensione della giornata dello scorso week end. Qualcuno è per il recupero il 25 aprile, ma la maggioranza vota lo slittamento. Ma come, scusate? Mi pareva che non si fosse giocato per onorare la scomparsa di Morosini. E invece ora è tutto come prima. Litigi, polemiche, scelte che comunque scontenteranno qualcuno. E si ritornerà a giocare, come prima. Dimenticando tutto velocemente. E se un giocatore della squadra avversaria sarà a terra, qualcuno avrà ancora il coraggio di cantargli “devi morire”. E questo non può essere ritenuto un gioco.

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