Ammettiamolo, agli italiani che a Ferragosto s’interrogano sui sacrifici lacrime e sangue necessari per evitare il crac del Paese potrà causare un certo prurito il discorso che stiamo per fare. Ma gli effetti sul calcio della manovra del governo non meritano di essere liquidati con una reazione di pancia del tipo: che ci importa di quei nababbi dei calciatori, paghino pure più tasse! Il contributo di solidarietà per le fasce medio-alte della popolazione — ammesso che passi al vaglio del parlamento, dove le fronde non mancano — non si tradurrà solo in un auto di lusso in meno per il Totti di turno. È, al contrario, un’altra grana «politica» per il litigioso mondo del pallone, oltre che l’ennesimo handicap per i nostri club in fatto di competitività internazionale: rischiano di andare in fumo diverse trattative di mercato. 
Di cosa si tratta? Il governo ha varato un prelievo fiscale extra per chi dichiara un reddito superiore ai 90 mila euro. Vale per il triennio 2011-13 (con un beneficio di 5 miliardi per le casse dello Stato) e comporta un contributo aggiuntivo del 5% per la quota di reddito che eccede i 90 mila euro e del 10% per la quota che supera i 150 mila euro. C’è però un tetto: l’aliquota Irpef complessiva non dovrà superare il 48%. Considerato che l’ultimo scaglione, per i redditi oltre i 75 mila euro, è fissato al 43%, la nuova misura rappresenta, al massimo, un 5% in più di carico fiscale. Facciamo un esempio: un calciatore che ha un ingaggio lordo di 1 milione dovrà versare un contributo extra di 46.250 euro (cioè il 5% sulla quota eccedente i 75 mila euro), anche se con le deduzioni si scende a 26.362 euro. La domanda è: chi paga? In teoria, il governo chiede questi sacrifici ai contribuenti ma nel calcio non funziona così. Conta cosa c’è scritto sul contratto che l’atleta firma con la società. 
Braccio di ferro Nella maggioranza dei casi, soprattutto per gli stranieri che arrivano in Italia, l’accordo si fa sul netto: le tasse sono cavoli del club. Il vecchio contratto collettivo, all’articolo 4 comma 2, concedeva tale facoltà al calciatore: «La retribuzione deve essere espressa al lordo, salva la facoltà delle parti di specificare, oltre all’importo lordo, anche il corrispondente netto e in tale ultimo caso se l’intesa tra le parti medesime è intervenuta sul lordo o sul netto». Durante le trattative per il rinnovo contrattuale, le società avevano chiesto e ottenuto dall’Aic di eliminare l’opzione del netto: si pattuisce lo stipendio lordo e, se la pressione fiscale cambia, cambia pure l’importo che entra nelle tasche del calciatore. Solo che la nuova bozza, a causa della querelle sui fuori rosa, non è mai stata firmata dai club, tanto che sulla prima giornata di campionato incombe la minaccia dello sciopero. Una specie di legge del contrappasso: adesso il sindacato, con la stangata all’orizzonte, potrebbe decidere di rimettere in discussione l’articolo 4. Questo 5% in più di tasse, che significa circa 50 milioni di costi extra per la Serie A (su un monte stipendi lordo totale di 1 miliardo di euro), è destinato a diventare il nuovo terreno di scontro tra le parti. Nell’assemblea di Lega di venerdì se ne discuterà senz’altro, i club non hanno intenzione di rimetterci. Ma saranno penalizzati comunque nell’ultima tornata di mercato. 
Ostacolo in più L’Inter vuole Tevez? Al Manchester City ha uno stipendio netto di 9,5 milioni netti: fino all’altro giorno, il costo per il club nerazzurro (incluso il 43% di carico fiscale) sarebbe stato di 16,7 milioni; col nuovo obolo, schizzerebbe a 17,6 milioni. Una bella differenza. L’aliquota massima italiana del 48% supera la spagnola (43) e la tedesca (45) ma non quella inglese (50). A ogni modo, è una palla al piede per le nostre società, impegnate nella sempre più proibitiva caccia ai top player.

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il milanista 

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