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Cinquemila tifosi, davanti all’Hotel Gallia, sotto il sole di luglio. Galliani che prova le stesse emozioni “dell’87, quando arrivarono Gullit e Van Basten”. Striscioni dai toni roboanti: “Con questo Milan e l’Imperatore vinceremo il tricolore”, “Rui, Sheva, Pippo: ghe n’ è minga”. Più di 160 miliardi spesi per due giocatori. La campagna abbonamenti che va a gonfie vele. Mancano gli elicotteri e la Cavalcata delle Valchirie, ma i fuochi artificali all’inizio e nell’intervallo della modesta amichevole con il Varese sembrano non lasciare dubbi: il Milan è tornato con prepotenza, pronto a vincere tutto quello che c’è da vincere. Magari anche la Coppa Uefa, che manca nella bacheca di via Turati.
Al centro del progetto e di questa genuina ondata di entusiasmo popolare c’è il nuovo allenatore, Fatih Terim, l’Imperatore arrivato dalla Turchia via Firenze nell’estate del 2001, scelto da Braida e Galliani per “la sua capacità di coniugare i risultati con lo spettacolo”. Nonostante già nel giorno della presentazione qualcuno evochi il fantasma di Carletto (“Signor Terim, sa che Ancelotti è pronto ad approfittare dei suoi errori?”) lui, che ha vinto tutto o quasi con il Galatasaray, sembra sicuro di sè: “Ho questo vizio: sono sempre desiderato, difficilmente vengo cacciato. Con il Milan ho due anni di contratto ma sono convinto che tra due mesi Braida ed il presidente (sic) Galliani verranno da me non per mandarmi via ma con nuove proposte”.
La scelta di puntare sul tecnico di Adana risponde, tra le altre cose, alla logica del “se non puoi batterli, unisciti a loro“: Terim aveva infatti dato fastidio ai rossoneri in più occasioni, sia a Istanbul (3-2 nell’ultima partita del girone e conseguente eliminazione dalla Champions League 1999-2000), che in Toscana (4-0 in campionato ed eliminazione in semifinale di Coppa Italia nella stagione 2000-2001).
In una Milano sempre più ottomana (in nerazzurro approdano prima il Vieri di Adapazari, quindi il Maradona del Bosforo), a Terim viene concessa una campagna acquisti “al di sopra delle nostre possibilità”, per la quale “bisogna solo ringraziare la Fininvest”. Il turco non solo si porta da Firenze Rui Costa, Di Gennaro e Pazzagli, ma si toglie lo sfizio di ingaggiare Umit Davala, esterno destro che ha allenato per quattro anni a Istanbul (vorrebbe tra i suoi giannizzeri anche Hasan Sas e Umit Karon, ma a tutto c’è un limite). Viene inoltre saccheggiato il soprendente Deportivo Alaves (da cui arrivano Javi Moreno e Cosmin Contra), mentre dall’Inter arrivano Christian Brocchi e Andrea Pirlo (“Ringrazio la dirigenza milanista che ha creduto in me”) e dal Parma Martin Laursen, che da bambino andava in vacanza a Bibione e sognava di diventare forte come Maldini.
Normale che Zaccheroni che, solo qualche mese prima, doveva arrangiarsi con Giunti e Guglielminpietro, abbia qualcosa da ridire (“Bella squadra, avrei voluto allenarla io”), ma chi non romperebbe il salvadanaio per uno che “ricorda Sacchi” (cit. Maldini), è “quasi un maestro di musica” e “una via di mezzo tra Nereo Rocco e Oronzo Pugliese” (cit. Ramaccioni)? Uno, tra l’altro, a cui in Turchia volevano dedicare una statua (ma lui rifiutò, preferendo costruire una scuola) e che nel 2012 si vede omaggiare con coreografie in 3D dai tifosi del Galatasaray.
Salvato dalla meteora Aliyu alla prima uscita stagionale, l’Imperatore, alle prese con qualche problema tattico (Rui Costa può convivere con Serginho? 4-4-2 o il 4-3-1-2?), ma convinto della sua filosofia di gioco decisamente offensiva, comincia a ricevere critiche in piena estate. Dopo la sconfitta ai rigori nel Trofeo Berlusconi, sui giornali compaiono le prime accuse: con Terim si lavora poco, i giocatori passano più tempo a Montecarlo che a Milanello. Se la campagna abbonamenti va a gonfie vele e la popolarità del tecnico è tale da meritarsi l’imitazione di Maurizio Crozza a Quelli che il calcio, al tempo stesso qualcuno in società comincia a storcere il naso: “La squadra si sbilancia un po’ troppo, è vero. Qualche problema c’è ed è inutile nasconderlo”, ammette Galliani.
Senza troppa serenità, i rossoneri arrivano a disputare la prima di campionato a Brescia. Le rondinelle si portano addirittura sul 2-0 grazie ad una rara doppietta di Igli Tare, gli ospiti rispondono con Brocchi e Shevchenko; non bastasse il mezzo passo falso, Rui Costa si infortuna seriamente. Terim è già sotto accusa, gli si rimprovera di aver schierato Chamot titolare (l’argentino, lacrime agli occhi, chiede scusa). La successiva gara interna contro una Fiorentina diventa decisiva per il futuro dell’allenatore, che tuona in conferenza stampa: “Qualcuno prova a impiccarmi, ma non potrà riuscirci: la corda si spezzerà sempre”.
Non lo impiccano, anzi: il 5-2 inflitto ai viola è accolto con tanto di cori in onore dell’Imperatore, che mostra di apprezzare correndo sotto la Curva Sud a festeggiare. Le vittorie contro Udinese e Lazio, che consentono al Milan di agganciare la Juventus prima in classifica, sembrano cancellare le ultime perplessità: Terim dispensa pillole di saggezza (“Attaccate, giocate per divertirvi, non buttate via il pallone. E ricordatevi che potete vincere con chiunque”) e sogna di aprire un ciclo come quello di Sacchi.
Bastano una sconfitta, 3-1 contro il Perugia di Bazzani e Vryzas, e un pareggio interno con il Venezia, per rimettere tutto in discussione. Ariedo Braida si insedia a Milanello per osservare da vicino Terim. Sui cui modi, va detto, più d’uno ha avuto da ridire fin dall’inizio: conferenze stampe in bermuda e maglietta, ore ed ore passate dietro la scrivania (anche in piena notte) piuttosto che sul campo, per non parlare di quella volta che, seduto al tavolo con commensali illustri, si alza improvvisamente e se ne va, senza salutare. Molti sembrano anche perplessi dalle difficoltà del tecnico con la lingua di Dante (“i colloqui a pranzo non possono che essere di breve durata per problemi di lingua”, dice Galliani), che lo spingono a parlare per mezzo del fedele Sukru, più un segretario generale che un semplice interprete.
Quando mancano pochi giorni al derby che potrebbe anche costargli la panchina, Terim si fa prendere dalla nostalgia. Arese, dove ha deciso di abitare con la moglie Fulya, non è Istanbul, e nemmeno ci assomiglia: perchè non evocare allora l’atmosfera del Bosforo con una cena con i nerazzurri Hakan Sukur, Okan e Emre, ricordando i tempi del Galatasaray? All’Inter, dove il ricordo dello 6-0 brucia ancora, quella mangiata con l’allenatore nemico non viene presa bene: il caso si chiude soltanto dopo una telefonata di Galliani a Moratti.
La stracittadina, iniziata con lo striscione “Terim=Terun” in Curva Nord, finisce con un trionfo davvero imperiale: 4-2 per il Milan, doppietta di Shevchenko, gol di Inzaghi e Contra, la Sud che inneggia al tecnico, Berlusconi che fa i complimenti al telefono. Si divertono anche i cinquantasei tifosi turchi cui l’Imperatore ha regalato biglietto, viaggio aereo, albergo e ristorante (perchè “In Turchia l’ospitalità è sacra”). Maldini non trattiene gli elogi, evidenziando però un difetto del tecnico: il suo italiano, invece di migliorare, sembra addirittura peggiorare con il passare del tempo.
La fine, in realtà, si avvicina: dopo un altro pareggio, questa volta con il Bologna (“Non aspettatevi che la partita finisca 0-0” ammonisce il nostro eroe: vi lasciamo indovinare il risultato finale), il compito di staccare la spina spetta al Torino di Camolese. Al Delle Alpi il Milan, fino ad allora “bello di notte”, dimostra di poter perdere anche in notturna: i granata passano in vantaggio con Lucarelli, il Milan finisce il match con il tridente Inzaghi-Laursen-Simone, con Superpippo che ha un rigore per pareggiare i conti, ma calcia il pallone alle stelle. È l’ultima notte per Terim. Il giorno dopo Galliani e Braida si precipitano a casa Ancelotti a Felagara e lo mettono sotto contratto prima che questi possa ratificare l’accordo praticamente raggiunto con il Parma: “Non potevamo più attendere, è tornato a casa uno dei nostri”. Lo spettro che aleggiava su ogni non-vittoria rossonera si insedia a Milanello: il resto è storia.
In Turchia non la prendono benissimo: i quotidiani accusano i giocatori di aver tradito il tecnico e Inzaghi di aver sbagliato appositamente il rigore; parlato di un Terim “pugnalato alla schiena” e “divorato dalla mafia“, annunciano che i rossoneri avranno “65 milioni di nemici“. Fuori da un negozio di articoli sportivi a Kahramanmaras compare un cartello: “Non vendiamo più prodotti del Milan”.
Che le cose, tra Fatih e lo spogliatoio del Milan, non abbiano funzionato, si può intuire da alcune opinioni illustri: per Costacurta, Terim è stato “fuori luogo” e “presuntuoso”, per Gattuso “uno che non ha capito in quale società era capitato”, per Gandini (direttore organizzativo) “uno che aveva voluto fare l’Imperatore anche al Milan”.
Eppure, come ogni monarca che si rispetti, e nonostante un regno durato soltanto 112 giorni, un po’ di entusiasmo tra i sudditi è capace di suscitarlo ancora oggi. Vedere, per credere, il video del suo ritorno a Milano in occasione del derby del 3 aprile 2011. Stringe mani ai passanti, prende un caffè con l’amico Braida, dispensa carezze, fa foto con vari tifosi, raccoglie applausi e complimenti tra il pubblico di San Siro: “Fatih, Imperatore, grande!“.
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Post Originale:
Terim in rossonero: i 112 giorni dell’Imperatore