di Alfredo De Vuono
18 Settembre 2002: dieci, esatti, anni fa, ero in un pub, a mangiare collosi panini con gli hamburger ed a bere birra annacquata finché le budella mi sostentavano. Ero poco più che un ragazzino. La barba che oggi coltivo, noncurante, allora era rada ed infantile. I capelli erano più lunghi di quelli di oggi, certo, ma lo spirito non è poi così diverso.
In TV, ed in mezzo al caos d’una massa indefinita di tavoli pieni e strapieni, quella sera, c’era il Milan. Ma non un Milan qualunque, no. C’era il Milan che, con quella partita, inaugurava un decennio. Un decennio di sospiri, di respiri affannosi, di urla strozzate in gola, di trionfi straripanti, di gloria e di melassa.
18 settembre 2012: io, ieri, ero nello stesso pub di dieci anni fa, che però non vende più mefistofelici panini a base di animali preistorici e soprattutto dove non bevo più birra, ma solo aromatici amari e whiskey raffinati. I capelli sono corti e da boy-scout, e soprattutto, tradiscono non radi ciuffetti in cui il grigio fa cupolino, lieve, a ricordarmi che la soglia dei trenta è dietro l’angolo. Nel TV – che oggi ovviamente è a LED – c’era il Milan. O, forse, il Milan che ha chiuso un decennio. Un decennio di sospiri, di respiri affannosi, di urla strozzate in gola, di trionfi straripanti, di gloria e di melassa. Insomma, sempre quello di prima.
Tradiscono i decenni, diceva quel trombone di Amedeo Minghi. E non necessariamente a torto.
Dieci, spaccati, anni fa, un rinnovatissimo Milan, quello del primo anno di Nesta, Seedorf, Rivaldo, e dei primissimi di Inzaghi, Pirlo, Shevchenko, Gattuso e Rui Costa, giocava in casa, proprio come oggi, contro il Lens, la sua prima europea. Lo speaker, allo stadio, annunciava così gli undici di Ancelotti: Dida; Simic, Nesta, Kaladze, Maldini; Gattuso, Pirlo, Seedorf; Rui Costa, Rivaldo; Inzaghi. Il Milan, quella partita, la vinse 2-1, con doppietta di Inzaghi.
Oggi, il Milan, quello del decennio che verrà, invece, la prima partita in casa di Champions contro una squadretta che ogni altro Milan del vecchio decennio avrebbe annichilito con antico furore e moderna noncuranza, la pareggia a reti bianche.
Forse, semplicemente, perché è passato un decennio. Forse perché il miglior libero del vecchio decennio è stato spedito a svernare in Canada. Forse perché il capitano del vecchio decennio è stato abbandonato a se stesso, come un appestato. O forse perchè il miglior centravanti del vecchio decennio è stato relegato ad allenare gli allievi. O magari perché il miglior mediano di rottura del vecchio decennio è stato mollato in Svizzera. Oppure, ancora, perché il miglior regista del vecchio decennio è stato regalato agli avversari più ostici del vecchio decennio. Fors’ancora perchè i calci da fermo, nel vecchio decennio, se li contendevano Pirlo, Seedorf, Rui Costa e Rivaldo, mentre quelli del nuovo decennio, nella migliore delle ipotesi, se li litigano Emanuelson, De Jong e De Sciglio. Oppure perché, come dice il cantore dai capelli d’argento che probabilmente saranno i miei, tra qualche decennio,
…fatico a ritornare, ed erano anni miei, decennio che è passato,
sfrecciato, andato via. Questi anni non li avrai. Tradiscono i decenni.
Tradiscono, tradiscono eccome. Soprattutto per i deficienti come me che pensano che i decenni siano tutti uguali. Ed a cui poi basta alzare lo sguardo, addocchiare il tabellone, e leggere i nomi di quelli lì, altri protagonisti del decennio che fu, che intanto sorridono altrove, ma soprattutto fanno sorridere altri deficienti come me, in altri pub, in altre città, ed in attesa di nuovi, attesissimi, decenni.
Che tanto passano molto più rapidamente di quanto si possa credere.
Soprattutto quando sono così belli. Almeno quanto la foto d’un decennio fa, su cui passare i polpastrelli per tirar via la polvere, e che più che in rosso-nero, per l’epoca a cui rimanda, tanto che par remota, sembr’essere in bianco e nero.
Quelli bravi la chiamano malinconia. Io li chiamo decenni.