Il 19 ottobre 2013 ha giocato la sua ultima partita di calcio, un Montreal Impact-Philadelphia Union vinto 2-1: all’89′, costretto a lasciare il posto a Wandrille Lefèvre a causa di un infortunio, ha rifiutato di farsi portare fuori in barella. Era l’ultima, non poteva non andarsene sulle sue gambe, mentre sugli spalti e su Twitter il popolo di Montreal salutava il giocatore più forte mai visto da quelle parti.
Non è, quello di Montreal, il primo addio di Alessandro Nesta: il 13 maggio 2012 aveva salutato San Siro in un malinconico Milan-Novara, mentre il 23 agosto 2002 un’amichevole con il Deportivo Alavés era stata l’ultima occasione di vivere l’Olimpico da giocatore della Lazio, senza sapere cosa sarebbe successo di lì a pochi giorni.
Non il primo biancoceleste a fare fortuna in rossonero: ventidue anni prima del suo arrivo, Mauro Tassotti aveva fatto il viaggio dalla borgata di San Basilio allo stadio di San Siro. Ma era un ragazzo appena ventenne, mentre Nesta sbarca a ventisei anni, diciassette dei quali passati con la squadra per cui ha sempre tifato: ha vinto un campionato con la fascia da capitano al braccio, ha segnato un gol in finale di Coppa Italia contro il Milan, ha sollevato una Supercoppa Europea in faccia al Manchester United di Beckham e dei Calipso Boys, è entrato nel consiglio d’amministrazione della società e si è conquistato, probabilmente, un posto sul podio dei migliori giocatori di sempre della società capitolina.
Normale, quindi, che quel 1° settembre 2002, l’allora miglior difensore del mondo si senta un po’ spaesato: “Non ho vissuto bene quel giorno, non mi piace farmi vedere e mi hanno messo sul balcone”. Nelle immagini di Milan Channel, Nesta si infila la maglia rossonera, che secondo Cragnotti non gli dona; si guarda allo specchio, posa per le foto di rito, sistemandosi la pettinatura un paio di volte nel giro di un minuto. Un’abitudine che non sfuggirà, qualche anno più tardi, al tabloid amburghese Welt Kompakt, alla ricerca di stereotipi sui calciatori italiani in vista del Mondiale 2006: “Colpisce 817 palloni di testa a partita e ogni volta si rimette a posto l’acconciatura ripettinandosi i capelli dietro le orecchie”.
Di fronte alla folla che lo acclama di fronte all‘Hotel Gallia, il ragazzo scoperto inizialmente dal romanista Francesco Rocca, ma cresciuto nella Lazio per volontà della famiglia, sorride e sventola la casacca rossonera prima di lanciarla ai tifosi sottostanti, forse colpito da un entusiasmo che, assicura un Pellegatti in vena di paragoni, non si era visto a Milano nemmeno per gli olandesi; certamente frastornato dall’attenzione mediatica nei confronti di uno che tende a stare sulle sue, perché “la gente, a vedere sempre la stessa faccia sui giornali, si stufa”.
Anche Galliani, nella conferenza stampa di presentazione, sottolinea lo stato d’animo dell’ultimo acquisto, che dirà di essere arrivato a Milano da romano e molto prevenuto: “Mi rendo conto che sia un attimo di shock per lui, mi immagino se un Maldini o un Baresi fosse passato alla Lazio. Non deve fare salti di gioia, deve essere felice perché è un gran professionista, ma non puoi dimenticare, nessuno è un robot, le persone hanno dei sentimenti, hanno del cuore”.
Chi fa i salti di gioia, anche perché chi non salta, si sa, è nerazzurro, sono i tifosi del Milan, tutti fuori di Nesta, che poche ore più tardi, a San Siro per il derby amichevole per le vittime del disastro aereo di Linate, esprimeranno i loro sentimenti con striscioni zuccherosi: ‘Campagna acquisti 2002-2003: 10 e lode‘, ‘Grazie società’. L’attrazione di quella partita sta, più che nel risultato, nella passerella di Crespo e Nesta, arrivati a Milano su sponde opposte sul finire del calciomercato: “Che ci fai qui?”, chiede stupito il difensore all’argentino, con cui soltanto il giorno prima era impegnato in un torello nel centro sportivo di Formello.
Era stato un fine settimana frenetico per il capitano della Lazio, che rispondeva “Non è colpa mia” ai tifosi che gli chiedevano di stracciare il contratto ormai firmato. Che se ne sarebbe andato, a dire il vero, si era capito da mesi. I soldi di Cragnotti sono finiti e il giocatore, che nel maggio del 2001 ha rinnovato fino al 2006 per una cifra pari a 8,5 miliardi di lire a stagione, e resterebbe volentieri alla Lazio, interessa più meno a chiunque: Real Madrid, ma sopratutto Inter e Juventus. Le offerte non mancano: Davids più trenta milioni, Materazzi più quaranta milioni. In luglio sembra che il matrimonio con l’Inter sia ormai vicino, Cragnotti tratta con Moratti e la maglia numero 13 viene lasciata libera: ma la Lazio vuole 30 milioni più Cristiano Zanetti, che i nerazzurri non intendono lasciar partire.
C’è anche, in agosto, un primo contatto con il Milan: il 13 agosto Galliani a Porto Cervo presenta un’offerta di 26 milioni pagabili in tre anni, respinta da Cragnotti, che ne vorrebbe 43. Esce addirittura un comunicato, dove si legge che “la trattativa è da considerarsi chiusa“ e che “il presidente Berlusconi non si è mai occupato della vicenda Nesta”. E se qualcuno non ci credesse, lo stesso presidente, allora anche primo ministro, ribadisce il concetto in data 23 agosto, in occasione del meeting di Comunione e Liberazione: “Silvio, Silvio dacci la luce“ chiedono i ciellini adoranti, e qualcuno più pragmatico chiede anche l’acquisto di Nesta. La risposta? “No, non è possibile. Siamo arrivati ad un livello che non è più nulla né di economico né di morale. Bisogna ridare al calcio quell’essenza di sport che non c’è più”. Ancora il 28 agosto, superato il preliminare di Champions League con lo Slovan Liberec, Galliani è molto chiaro: “Torna Costacurta, il nostro mercato è chiuso”.
Eppure l’ad del Milan e Cragnotti continuano a telefonarsi: Galliani, allora, è anche presidente della Lega Calcio e la Lazio è in difficoltà ad iscriversi al campionato, non trovando i 24 milioni che dovrebbero andare al Chievo per l’acquisto di Eriberto e Manfredini. Alla fine si troverà un accordo, con l’annullamento della cessione di Luciano e una riduzione della somma da versare ai clivensi per Manfredini. Tutto ciò non è estraneo alla trattativa per Nesta, perché da qualche parte i soldi alla Lazio devono comunque arrivare: non a caso Cellino sostiene che Galliani abbia pagato qualcosa in più, chiedendo al presidente della Lazio di “sistemare quella faccenda del Chievo“. Qualcuno, poi, fa anche notare come sempre il Milan, cedendo all’Atletico Madrid ben cinque giocatori (Albertini, Coloccini, Contra, Javi Moreno, José Mari), ottenga la ritirata dei colchoneros da un’operazione che, con la partenza di Simeone, Claudio Lopez e Mendieta, avrebbe portato liquidi nelle casse laziali, rendendo non più necessaria la cessione dei gioielli di famiglia.
E così, alla fine, con l’autorizzazione di Berlusconi a “spostare risorse“ per l’acquisto di Nesta senza cambiare il budget, e nonostante il parere contrario della figlia Marina, l’affare si fa, sulla base di 30,2 milioni di euro, a cui si aggiungono i 3,5 milioni versati all’olandese Van Doorn, società olandese che nel 1998 aveva acquistato i diritti d’immagine del capitano laziale (con una discussa vicenda giudiziaria nei tribunali dei Paesi Bassi). L’ufficialità arriva alle 8.48 del 31 agosto, il sito del Milan va in tilt, Braida corre in Lega Calcio e prima delle 10 il contratto è depositato. Nesta passa per l’ultima volta da Formello prima di tornare, assediato da 500 persone, nella sua casa all’Olgiata: in serata non sarà all’Olimpico per l’amichevole con la Juventus, cosa che i tifosi non prenderanno bene, fischiandolo al suo ritorno a Roma a fine settembre. Per il numero 13 non ci sono problemi: Ibrahim Ba, gentilmente, lo lascia al nuovo arrivato. Qualche problema invece, per l’uscita di scena: ”Il mio sogno era quello di giocare per sempre con la Lazio, ma non c’è stata la possibilità. La Lazio doveva venderci per fare cassa, ma farmi passare addirittura per uno che voleva andare via non è stato proprio carino e mi ha ferito“.
I dieci anni che seguono sono storia ben nota. Nesta, dirà in seguito, non immagina di essere arrivato in una squadra così forte: al primo colpo conquista la Champions League, segnando su rigore, nella notte di Manchester, dopo gli errori di Seedorf, Zalayeta, Kaladze e Montero. Un altro gol, quasi altrettanto importante, arriva nel 2007, quando il Milan torna sul tetto del mondo dopo diciassette anni, ed è quello che riporta i rossoneri in vantaggio sul Boca Juniors dopo il pareggio di Palacio. Dieci le reti in totale con il Diavolo, tante quante quelle di Tassotti, per chi da bambino giocava in attacco e aveva come idolo Paolo Rossi; 326 le presenze in rossonero, più di Shevchenko, Dida, Inzaghi e Massaro, per un prestigioso 23° posto nella classifica all time rossonera.
Ma i numeri dicono poco, in fondo, e poco diceva lui. Non un aizzatore di folle o un lanciatore di proclami, mai retorico, timido ma in grado di intervenire al momento giusto, quando la gravità della situazione lo richiede, che sia per scagliarsi contro il Vaticano ai tempi della Lazio, chiedendo di spegnere Radio Vaticana ai tempi della controversia sulle emissioni, per invitare la nazionale ad assumersi le sue responsabilità dopo l’eliminazione all’Europeo 2004 (“finiamola di cercare sempre un Byron Moreno che giustifichi le nostre colpe”) o per strigliare la squadra, con piglio da capitano, al termine di un Atalanta-Milan pareggiato nel finale (la società vieterà agli altri giocatori di presentarsi ai microfoni). Non è un caso che, tra tanti senatori ormai lontani da Milano, sia uno dei pochi a non aver accusato nessuno, scegliendo di andarsene “per rispetto della società, che altrimenti prima o poi ci deve cacciare via“.
Dei tanti anni a Milano, passati giocando alla Playstation con il compagno di stanza e amico Pirlo, è giusto ricordare non solo quelli dell’era Ancelotti, l’allenatore più importante nella carriera del nostro (che, comunque, non dimentica Zeman, “il più bravo a insegnare calcio“), ma anche gli ultimi, dove dimostra di sapersi rialzare dai continui guai fisici. L’infortunio alla spalla della stagione 2006-2007, curato nell’esilio dorato di Miami, non gli impedisce di tornare in tempo per vincere la Champions League ad Atene; quindi un nuovo soggiorno in Florida, questa volta per un guaio alla schiena procuratosi prendendo in braccio il figlio, ed il ritorno in campo per l’ultima giornata di campionato della stagione 2008-2009, quando entra al posto di Favalli e corre “come un pinguino” per un quarto d’ora.
Smentendo Lotito, che gli aveva dato del “cotto“, si riprende e, con un Thiago Silva al suo fianco, torna a splendere: la doppietta messa a segno negli ultimi dieci minuti contro il Chievo, l’unica in carriera, evita una sconfitta in un momento molto difficile del Milan di Leonardo. In quei mesi qualcuno lo vorrebbe di nuovo in nazionale, abbandonata dopo il mondiale 2006 e dopo i tanti infortuni subiti con la maglia azzurra, ma lui declina l’offerta. Prima di scegliere il Canada, dove ritrova Di Vaio, amico e compagno di squadra già a otto anni sotto la guida di Volfango Patarca, fa in tempo a vincere un secondo scudetto da protagonista e a dimostrare, all’età di 36 anni, di poter uscire a testa alta dalle sfide con il Barcellona di Messi. Calciatore romano più vincente di sempre, tra i 125 migliori giocatori viventi secondo la Fifa, miglior difensore di quel che volete voi: o, semplicemente, Alessandro Nesta.
fonti: la Repubblica, il Corriere della Sera, la Stampa, Milan Channel, Sky Sport, sslaziofans.it, Guerin Sportivo
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