Ho affrontato la trasferta del Milan a Genova come, troppe volte, mi capita di fare. Un paio d’ore, inclusi recuperi ed intervallo, di annoiato disgusto per quello che il “fu Milan” è diventato. Non un sussulto, non un’emozione e, ormai, nemmeno più un moto di rabbia.
Il nulla.
Per una volta fortunatamente nobilitato, vista l’ora, da un piatto di trofie fresche condite con le acciughe sott’olio (preparate dalle mani sapienti di mia suocera) sfumate con un cucchiaio di brandy. Un interludio festoso, non saprei dire a quale minuto della partita fossimo giunti, replicato poco più tardi da una peccaminosa ciotola di gelato al gusto stracciatella. Oddio, peccaminoso! Che parolone! E’ stato proprio il medico a dirmi che la domenica possiamo dimenticare la dieta che, vivaddio, è sacrificio ma non martirio. Roba da cristiani in odore di santità , disciplina con la quale non ho alcuna dimestichezza. In troppi campi della vita.
A parte le gustose parentesi culinarie, ho assistito ad un niente emotivo punteggiato da piatti sbadigli e dalle preghiere che lo scempio finisse il prima possibile. Non mi viene un’altra parola per definire un gruppo di baldi ragazzotti con imbarazzanti lacune tecniche, palesi insufficienze caratteriali e inaccettabili limiti tecnici. Gente per cui il concetto di preparazione fisica consiste nell’addome piatto, nei pettorali scolpiti ed in una pettinatura “a la pà geâ€. Scempio è la sciagurata superficialità con cui Zapata “imposta†l’azione del Milan o quella con cui un portiere trentaquattrenne trova superfluo allenare i due ferri da stiro che gli fanno da supporto. Scempio è la sgraziata fatica con cui il capitano della squadra, da diverse partite, insegue (senza palla) gli avversari (con palla). Nella migliore delle ipotesi sembra di assistere alla versione, muta e buffa, della scena finale di “Momenti di Gloriaâ€; nella peggiore delle ipotesi siamo al vaudeville.
Sto per vedere la mia muta preghiera esaudita quando al novantamillesimo (prolungamento di tortura cortesia del peggior arbitro italiano) ecco l’improvvisa rivelazione, l’epifania. Cross di Balotelli e zuccata fuori di poco di Rodrigo Ely fuori di un soffio. Io sul divano, intento a meditare di chiedere alla Lega l’anticipo fisso all’ora di pranzo la domenica, non faccio una piega ancora vittima dell’indifferenza che mi causa il Giannino. Sugli spalti l’Amministratore delegato al “male necessario†(così è vista in casa Giannino l’attività di campo) si agita disperato come una delle mie acciughe prese nella rete e rosso come uno che si è scolato la mia bottiglia di cognac.
Porca miseria!!!
Ma allora ci crede veramente!!!
Trasecolo e, forse complice il caffè di una torrefazione calabrese che ho gustato pochi minuti prima, mi sveglio di colpo dal mio torpore. La differenza tra me e lui, a dispetto della pettinatura che ci accomuna, è abissale.
Vero è che, come la folgorante sagacia napoletana ha sancito, “ogni scarafone è bello a mamma sua†ma qui si esagera. Che cosa autorizza questo glabro gourmet settantenne a credere che un punto in più possa davvero sollevare il mostro a tre teste che ha creato insieme al suo protettore ottantenne al rango di squadra di calcio? Non ho detto al rango di Milan, sarebbe troppo. Davvero ritiene che un pareggio stiracchiato ottenuto con il gol dell’Ave Maria possa cambiare il giudizio che il mondo ha della squadra del ristorante vicino alla Stazione Centrale?
Sembra di si.
Sei certo Oscuro Signore di Condor?
Quello che io vedo è altro. Vedo una squadra che una volta era considerata una squadra che faceva calcio spettacolo mentre oggi viene sbeffeggiata da molti come squadra cabaret. Nella doppia accezione di “vassoio†(quello dove mettere i tramezzini che foraggiano la mefitica stampa serva) ed in quella di “forma di spettacolo che combina teatro, canzone, commedia e danzaâ€.
Teatro. Come la sceneggiata relativa allo stadio che ci ha coperto di ridicolo in buona parte del globo terraqueo.
Canzone. Come il nuovo inno in salsa rap che dovrebbe blandire le nuove generazioni oppure come quelle che canticchia il presidente con il prode chitarrista partenopeo.
Commedia. Come quella, che sconfina nel tragicomico, relativa alla cessione della società .
Danza. Come quella di Boateng vestito da Michael Jackson.
Qualsiasi cosa purchè non sia cercare di vincere un trofeo ufficiale conquistabile su un campo di calcio.
Che tristezza!
Il niente, il vuoto pneumatico di cui non riusciamo più nemmeno ad avere orrore. Mi è necessario per poter rivivere, almeno in virtù della vaga somiglianza cromatica, quello che era stato il mio amore per il Milan.
Un amore totale, gratuito ed inestinguibile almeno fino a quando è stato vivo il suo oggetto. Sparito il Milan, sparito l’amore. Semplice, geniale e pulito; invece di fare scomparire cinque milioni di assatanati è bastato eliminare la squadra di calcio sostituendola con un circo equestre a tre piste.
Niente, non è rimasto niente. Forse solo il ricordo, sempre più stinto, di quello che è stato nei decenni precedenti. Youtube non può fare miracoli…
Niente, non è rimasto niente. Nemmeno la soddisfazione di poter tramandare il proprio essere ai figli vittima della più vergognosa delle beffe: l’alternativa del diavolo. “Che squadra tieni papà ?†è domanda per la quale non esistono risposte sensate. “Milan†non va bene per mancanza dell’oggetto. Il resto sarebbe una bugia e, comunque, è concime naturale.
Niente, non è rimasto niente. Quattrocento partite allo stadio con il gelo, la nebbia ed il solleone. La tensione e la sofferenza, le lacrime e la gioia, le canzoni e le mani spellate. La curva ed il concetto di “fratello rossoneroâ€.
Niente. Forse solo qualche vago concetto, qualche parola così svuotata del proprio significato da diventare slogan buono perfino per un allenatore così interista da giurare che piuttosto che allenare il Milan avrebbe fatto la fame. Aveva ragione, oggi allena il Giannino…
Solo una cosa posso tramandare alle mie figlie.
Io non mi sono arreso a questo schifo, mi sono ribellato e l’ho combattuto fino a quando ho potuto pur con i miei poveri mezzi.
Fiero di essere (stato) milanista.
ANDATEVENE, MALEDETTI
Pier
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