Canale Milan
Come già abbiamo avuto modo di anticipare nell’Editoriale di questa settimana, Fantagazzetta ritiene opportuno affrontare il caldissimo ed attualissimo tema delle morti nel mondo dello sport acquisendo le conoscenze e la professionalità d’un esperto del settore della cardiologia medica interventistica, al fine di districare alcuni tra i più cocenti dubbi relativi al tragico caso della morte del giovane PierMario Morosini. Abbiamo per questo deciso di contattare il Dott. Leonardo Misuraca, cardiologo dell’ Università di Pisa, che già qualche tempo fa c’aveva fornito una lunga serie di interessanti spunti in riferimento al malore che colpì Antonio Cassano.
Dott. Misuraca, ci ritroviamo tristemente oggi, a distanza di qualche mese dal nostro ultimo incontro, nel quale discutemmo delle cause del malore che colpì Antonio Cassano. Oggi, la nefasta attualità, parla d’un ragazzo di soli 25 anni, morto in campo a causa d’un malore che, con l’autopsia ancora da fare, è stato identificato in prima analisi come aritmia cardiaca. L’ingresso, forse con qualche minuto di ritardo, in campo, dell’ambulanza, il tentativo di defibrillazione, la disperata ipotesi di applicare un bypass provvisorio, il coma e, pochi minuti dopo, la morte. A bocce ferme, ma a stati d’animo ancora così caldi, la diagnosi è ancora in bilico, tra la cause cardiache e quelle neurologiche. Lei avrà sicuramente visto le immagini: che impressione s’è fatto?
Le immagini sono agghiaccianti. Il ragazzo si accascia al suolo, tenta di rimettersi in piedi ma, inevitabilmente, si riaccascia e perde coscienza. La perdita di coscienza persiste nel tempo, per cui si instaura uno stato di “arresto cardiocircolatorio” (e non una sincope – uno “svenimento” transitorio per intenderci), una condizione cioè in cui il flusso di sangue agli organi vitali si azzera, con conseguente danno irreversibile degli stessi (del cervello in primis). Direi, con tutta probabilità, che la causa della morte di Morosini sia di origine cardiaca. Si parla comunemente di “infarto”: ebbene il termine è inesatto, poiché l’infarto è una patologia con precise connotazioni ed è solo una delle possibili cause di arresto cardiaco. Anzi, è poco probabile che sia stato un infarto miocardico a causare un arresto cardiaco in un ventenne altrimenti sano e allenato. Altre patologie cardiache possono causare morte improvvisa nel giovane: malattie del muscolo cardiaco (“miocardiopatie”), alterazioni congenite del tessuto cardiaco (“displasie”), malformazioni congenite delle arterie coronarie (i vasi sanguigni che portano il sangue al tessuto cardiaco), malattie genetiche. Queste alterazioni costituiscono un terreno fertile per lo sviluppo di “aritmie” ventricolari, cioè condizioni in cui i ventricoli cardiaci si contraggono in modo caotico e disordinato, compromettendo la funzione di pompa del cuore, con conseguente arresto cardiocircolatorio. Ci tengo però a precisare che l’infarto miocardico vero e proprio nel soggetto giovane può essere causato dall’uso di cocaina, che è quanto di più micidiale possa esistere per il cuore. Certamente non è questo il caso del povero Morosini.
Le idee, inevitabilmente, sono ancora assolutamente confuse. Si parla di tragica fatalità: ma quanto può incidere la fatalità nei casi di morte improvvisa, ovvero fino a che punto può, oggi, spingersi in tal senso nella prevenzione di casi del genere? Tanto per entrare nel merito: elettrocardiogramma, radiografia del torace, esami ematici sono oggi alla base dell’attuale fase preventiva nel campo dello sport. Test del genere vengono fatti ogni sei mesi circa. Possono bastare, considerato il livello di stress cui sono sottoposti gli atleti?
Nessun intervento medico con finalità preventive può azzerare il rischio che una patologia o un evento infausto possano verificarsi. E’ possibile però ridurre drasticamente il rischio di morte improvvisa effettuando scrupolosamente alcuni esami: in ambito cardiologico, una accurata visita e un elettrocardiogramma possono fornire preziosi indizi di una malattia cardiaca sottostante e silenziosa, che potrebbe esordire con modalità tragiche e del tutto inaspettate. Ci sono poi esami più approfonditi che, effettuati in seconda istanza sulla base di un sospetto diagnostico, confermano o escludono con certezza alcune condizioni potenzialmente letali: l’ecocardiografia, per esempio, permette di identificare molte delle malattie del muscolo cardiaco che predispongono allo sviluppo di morte improvvisa cardiaca (ad esempio, la “miocardiopatia ipertrofica”). Alcune gravi malformazioni (per esempio anomalìe coronariche congenite), purtroppo, non possono essere riconosciute nemmeno con uno screening accurato, in quanto richiederebbero esami di complessità tale da non consentirne l’utilizzo come strumento di screening.
In campo, ieri, è entrato con qualche attimo di ritardo, a prestare le cure del caso, l’ambulanza. Solo qualche settimana fa, caso simile, il calciatore Fabrice Muamba, colpito da attacco cardiaco, è stato salvato grazie alla tempestività dell’intervento. Quanto, quindi, incide in casi del genere la ristrettezza dei tempi dell’intervento medico?
In situazioni del genere, è imperativo essere rapidi. Fronteggiare un arresto cardiaco richiede tecniche semplici, che possono essere messe in atto da chiunque sia stato istruito, e non necessariamente da medici: il massaggio cardiaco e la defibrillazione. Molti dei defibrillatori attualmente disponibili funzionano in modalità semiautomatica o automatica: basta accendere il dispositivo e seguire le istruzioni fornite dal defibrillatore stesso.
La statistica ci dice che, negli ultimi decenni, i casi tragici sono diminuiti. La statistica, però, riflette sul rapporto matematico numero di casi/calciatori in attività. In realtà non sono diminuiti i casi di calciatori affetti da crisi cardiache, ma è notevolmente aumentato il numero dei calciatori professionisti ad abbassare la percentuale dei casi. Numericamente l’aggravio è evidente. Ma cosa può aver potuto, negli ultimi anni, rendere il problema così incidente? La massimizzazione degli sforzi in allenamento richiesti agli atleti? L’aumento esponenziale delle partite che giocano nell’arco di una stagione? C’è altro?
E’ una domanda cui è difficile rispondere, Alfredo. Ti assicuro che, purtroppo, l’arresto cardiaco è sempre esistito e sempre esisterà. Oso pensare che la risonanza che giustamente i mass media danno a tali tragici eventi giochi un suo ruolo nel fenomeno che tu correttamente descrivi. Con molta cautela, e da non esperto di calcio, credo che gli allenamenti strenui e i ritmi serrati cui sono sottoposti oggi i calciatori, forse più che in passato, possano favorire l’insorgenza “crisi cardiache” in soggetti portatori di patologie misconosciute. Con sicurezza, invece, ti esterno la mia preoccupazione che scaturisce dalla necessità che i calciatori attuali hanno di fornire prestazioni sempre più competitive, il raggiungimento delle quali può spingere all’uso di sostanze poco “ortodosse”…
In tal senso, quanto possono incidere eventuali alterazioni e/o deviazioni dei processi farmacologici cui vengono sottoposti i calciatori? Esistono sostanze, ritrovabili in alcuni farmaci più o meno legali, che siano direttamente riconducibili in quanto cause o concause di problemi cardiaci?
Sostanze stimolanti amfetamino-simili possono scatenare problemi cardiaci. L’eritropoietina è un ormone normalmente prodotto dal nostro organismo che, quando somministrato dall’esterno per migliorare le prestazioni fisiche di un atleta (sembra che Marco Pantani ne facesse uso), rende il sangue più incline a formare coaguli che possono ostruire le arterie del cervello o del cuore. Ormoni anabolizzanti, assunti con lo scopo di aumentare la massa muscolare, sono dannosi per il sistema cardiocircolatorio. Non mi stanco di ripetere e sottolineare che un acerrimo nemico del cuore, e quindi della vita è la cocaina.
Siamo di fronte, nuovamente, ad un caso di morte improvvisa in campo. Ed impazza il tam tam delle proposte, delle innovazioni per minimizzare i casi come quello di Morosini. La maggior parte di esse, però, sono di difficile realizzazione logistica, per via dei costi delle strumentazioni, che molte società calcistiche, soprattutto di non primissima fascia, possono permettersi. In pochissime, però, anche ad alti livelli, sono munite di vere mini-strutture di pronto intervento cardiaco (oltre che generico) all’interno o in prossimità degli stadi. Quanto sarebbe importante munire ogni struttura pubblica, nelle quali quindi accedono di frequente decine di migliaia di persone, di vere e proprie sale d’intervento?
Ritengo che pensare di munire gli stadi di sale di pronto intervento cardiaco sia inutile e costoso. Questa è una mia opinione personale e ne fornisco la motivazione. Per prevenire l’arresto cardiaco (o meglio ridurne il rischio) in campo e per fronteggiarlo bastano poche cose:
– uno screening semplice ma scrupoloso diretto agli atleti, cercando di identificare quelli portatori di patologie potenzialmente letali;
– effettuare un massaggio cardiaco efficace (il “basic life support”- BLS-dovrebbe essere materia di insegnamento nelle scuole superiori);
– avere pronta disponibilità del defibrillatore;
– essere rapidi nell’applicare queste semplici misure.
Il trattamento della patologia che ha causato l’arresto cardiaco è un’altra questione e viene dopo la risoluzione efficace dell’arresto stesso.
Domanda banale, ma che si allaccia a quella precedente. Sarebbe possibile utilizzare delle strumentazioni di bassissimo costo (per renderle appunto facilmente accessibili) per effettuare controlli ad ogni singolo giocatore che mette piede in campo, pochi istanti prima delle partite? Aiuterebbe nella prevenzione?
Sarebbe troppo bello per essere vero. A quel che mi risulta, non esistono strumenti del genere. Ripeto con forza che l’arresto cardiaco in campo va anzitutto prevenuto, identificando i portatori di cardiopatie silenti. In seconda battuta, in caso di arresto cardiaco, è essenziale che poche persone qualificate (e non decine di persone che inutilmente circondano lo sfortunato atleta) forniscano quelle semplici misure in grado di fronteggiarlo e risolverlo (massaggio cardiaco e, ove indicato, defibrillazione).
Chiudiamo con un messaggio di speranza. Solo qualche giorno fa, sulla base dell’O.K. degli impianti medici ufficiali, è tornato in campo Antonio Cassano, dopo l’intervento di cui abbiamo già discusso. Cosa può dire in merito al suo rientro?
Cassano era affetto da una alterazione cardiaca congenita relativamente benigna (“Forame Ovale Pervio”), che sembra essere stata correttamente trattata. E’ una situazione completamente diversa rispetto a quella che ha ucciso purtroppo tanti giovanissimi calciatori professionisti. Con buona probabilità, Cassano continuerà a giocare senza ulteriori problemi.
di Alfredo de Vuono per Fantagazzetta.
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Post Originale:
Esclusiva FG – Caso Morosini, intervista al cardiologo: “Immagini agghiaccianti. Alcune malformazioni non riconoscibili”