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Ha ancora senso parlare di Alexandre Pato come calciatore? Oramai siamo di fronte a un caso che, più che sportivo, è umano. L’attaccante brasiliano, giusto la settimana scorsa, si era recato negli Stati Uniti per fare ulteriori accertamenti medici. Quando era tornato, Galliani lo aveva accolto con entusiasmo. L’amministratore delegato del Milan si era spinto ad affermare che era stata finalmente compresa la ragione dei tanti infortuni e che c’era da essere ottimisti.
Pato, un po’ a sorpresa, domenica era stato convocato da Allegri per la sfida di Champions League di Barcellona. Ieri è addirittura sceso in campo, un mese e mezzo dopo la sua ultima apparizione. Ma la partita del brasiliano è ancora una volta durata pochissimo: la miseria di 14 minuti, in cui ha toccato il pallone una sola volta.
Pato è dovuto uscire immediatamente. Nessun contrasto di gioco (i difensori avversari nemmeno lo marcano), ma problemi muscolari. Per la quindicesima volta il brasiliano è costretto ai box per infortunio. Per la quarta volta consecutiva si infortuna all’”esordio” dopo un altro infortunio.
Quello dell’attaccante è ormai un calvario, un mistero, un caso umano, che lascia nella disperazione società, compagni di squadra e tifosi. Cos’ha davvero Pato? Cosa gli impedisce, da due anni a questa parte, di essere un calciatore non dico fenomenale, ma almeno normale? Non sono riusciti a capirlo medici di fama mondiale, figurarsi se possiamo riuscirci noi.
Non ci resta che prendere atto che parlare di Pato come calciatore è in questo momento superfluo. Il Milan pensi a recuperare l’uomo. Il resto verrà da sè. Perché è chiaro a tutti che se il brasiliano sta bene, è ancora uno dei più forti al mondo nel suo ruolo. Le statistiche, escludendo l’ultima maledetta stagione, parlano da sole.
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Infortunio Pato, ormai è un caso umano